MESSINA. Si è conclusa da poco presso la Galleria Spazioquattro, riscuotendo un grande successo, la mostra “Trasfigurazioni” del pittore e scenografo messinese Piero De Francesco. L’esposizione, inaugurata il 3 gennaio 2025, presentata in un testo a cura di Vincenzo Bonaventura, con un estratto letto da Monia Alfieri in occasione del vernissage, ha visto protagoniste 19 opere dell’artista messinese che si collocano nel solco tra astrazione e figurazione, contraddistinte dalla capacità di evocare mappe emotive e concettuali che riescono a rapire l’osservatore per accompagnarlo in un dialogo intimo e profondo. Tele singole, un dittico e un trittico, con una palette cromatica che spazia dal blu, declinato in tutte le sue tonalità, ai contrasti accesi del giallo, del rosso e del nero, per una pittura estremamente materica, pratica e concreta, che parte dall’osservazione spaziando dal quotidiano, all’imprevisto, alla rievocazione del mito, all’amore per la propria isola e per il mare.

Com’ è nato il tuo rapporto con la pittura e quel è stato il tuo percorso?

“La pittura è sempre stata fondamentale, una necessità direi. Ed è sempre stata presente nella mia vita, ho iniziato a disegnare e dipingere sin da piccolissimo. Crescendo, ovviamente, i miei studi hanno in un certo senso rispecchiato la mia grande passione: l’Istituto d’ Arte Basile di Messina dove ho fatto Decorazioni Pittoriche, e da là essendo molto interessato alla progettazione, dopo un primo anno nella Facoltà di Architettura, ho iniziato l’Accademia delle Belle Arti laureandomi in Scenografia dapprima a Reggio Calabria e successivamente a Venezia. Il mio lavoro di per sé è quello a teatro, nel campo della lirica, ma la pittura è un qualcosa di imprescindibile che mi accompagna sempre. Negli anni ho fatto diverse mostre personali e collettive, sia a Messina che in altre città come Venezia,Trieste e adesso era arrivato il momento giusto per dare vita a “Trasfigurazioni”.”

Qual è la pittura di Piero De Francesco?

“La pittura come ho già specificato per me è necessità. La mia è una pittura gestuale, fortemente materica: oli su tela, i formati variano da quadri piccini a grandi, anzi in realtà inizialmente faccio dei piccoli dipinti che poi porto in scala ingrandendoli, ed utilizzo pennelli, spatole, mani, dita.  Una pittura, quindi, con una matrice informale e gestuale, che come reference parte dai pittori americani fondamentali, ma che poi si riduce in un’attenzione dove il gesto istintivo si trasforma in gesto controllato e, dunque, una pittura che va dall’ oggettivo al soggettivo, dall’ irrazionale alrazionale, dalla distruzione al sogno, dove eros e caos si uniscono.Inoltre la mia pittura, la pittura che mi interessa, è evocativa: non deve descrivere ma deve andare a scatenare la suggestione di un momento”.

Perché “Trasfigurazioni”?

“Perché ogni tela è uno specchio, dove ci si può riflettere e dove in primis mi rifletto anch’ io proprio come tutti coloro che si ritroveranno ad osservarla. Ogni tela è uno specchio dove ci si riflette con stati d’ animo ed un’urgenza interiore. Per lo più le mie tele vengono identificate come paesaggi, chiaramente occupandomi di scenografia sono molto interessato allo spazio ed infatti ci sono delle visioni a 360° di quello che può essere un paesaggio sia quasi come mappa, come dice Bonaventura nella presentazione della mostra. In “Trasfigurazioni” c’è un dittico, un trittico e quadri singoli di varie dimensioni, per lo più grandi. La scelta dei colori varia, ovviamente, rispetto a quello che devo rappresentare ma anche rispetto allo stato d’ animo. Osservo molto l’architettura e mi interessa molto il rapporto con il luogo, in questo caso specifico a maggior ragione: non vivo a Messina ma tutte le volte che ci torno il mio rapporto con la città e con la sua storia è sempre più forte. Nei miei dipinti credo ci sia un forte rapporto con la città di Messina, soprattutto come ricostruzione: una città, uno spazio, che ha perso identità e che ha dei connotati minimi, dove allora diventa fondamentale l’aspetto onirico ovvero il sogno che ti porta ad immaginare ciò che non c’ è. E tutto ciò lo traduco nell’ immaginare una ricostruzione proprio in quei luoghi che si sono persi. Il blu è un colore predominante in questo caso, è il colore del mare ma anche dell’onirico: cerco di unire realtà e sogno. Ma ci sono anche i colori della terra, del cemento o di alcuni materiali che fanno parte del nostro quotidiano. Ci sono dei quadri in “Trasfigurazioni” in cui il focus è il rapporto tra figurazione ed astrazione, e dove la figurazione nasce anche da una trasfigurazione avvenuta già prima: è da questa forma che se ne genera un’altra.”

Qual è la giusta chiave di lettura per “Trasfigurazioni”?

“È molto personale ma sicuramente è tutto legato agli stati d’animo: amore, malessere, ricostruzione, distruzione. Chi ha visto i dipinti spero che si possa essere ricordato di qualcosa, dato che il ricordo provocato da uno stato reale o da uno stato inconscio è molto importante nella pittura proprio per il suo lato legato alla psicanalisi. Ed è stato interessante e divertente chiacchierare con molti visitatori della mostra che piano piano davano voce alle loro visioni, visioni che potevano essere molto vicine alle mie o totalmente opposte: chi ha visto una barca, chi una città chi una feluca e così via.”

Hai il super potere di poterti sdoppiare: con chi andresti a vedere una tua mostra?

“Con me stesso”.

 

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