MESSINA. Prosegue il viaggio virtuale fra le bellezze peculiari dello Stretto, dalla zone di pesca alla flora, dalla conformazione geologica alla fauna, passando per i miti classici, la grande tradizione letteraria e i relitti abbandonati. Un tour che ci conduce alla scoperta di stranissime creature caratterizzate da  bocche enormi, denti lunghi e affilati, organi luminescenti e occhi grandi quanto tutta la testa.

Sono i pesci batipelagici, meglio noti (più impropriamente) come pesci abissali: piccoli mostricciattoli dalle fattezze quasi surreali che hanno dovuto adattarsi all’habitat “alieno” e ostile dei fondali più profondi. Un variegato “bestiario” di biodiversità che non sfigurerebbe fra le pagine del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini.

Alcuni fra questi esemplari sono osservabili ogni giorno (dal lunedì al venerdì) nei locali del museo d’arte contemporanea “Horcynus Orca – Macho”,  creato dall’omonima fondazione all’interno del parco letterario di Capo Peloro. A guidarci al suo interno è Giacomo Farina, che nel video sottostante spiega le caratteristiche più curiose dei “mostriciattoli” dello Stretto (ma anche la storia del delfino “Lillo”),  i cui primi ritrovamenti risalgono ai tempi della Rivoluzione Francese.

 

 

Ma quali sono le caratteristiche peculiari dei pesci batipelagici? E come è stato possibile scoprirli e analizzarli? A spiegarlo è Marilena Sanfilippo, biologa marina della stazione zoologica “Anton Dohrn”, che insieme al collega Pietro Battaglia descrive le caratteristiche peculiari dello Stretto di Messina, il fenomeno fisico dello “spiaggiamento” e la storia dei ritrovamenti. In basso, infine, le schede delle specie più comuni che popolano i nostri fondali (sempre a cura di Marilena).

 

Pesci batiali spiaggiati lungo il litorale messinese. Foto di Francesco Costa

 

Il fenomeno dello spiaggiamento

 

Lo spiaggiamento di pesci tipici di acque profonde – spiegano – è un fenomeno ricorrente e caratteristico dello Stretto di Messina. In questa zona, infatti, il particolare sistema idrografico e le correnti di risalita, insieme all’influenza del vento, sono le principali cause dello spiaggiamento dei pesci mesopelagici. Morfologicamente, lo Stretto ha la conformazione di un imbuto rovesciato, largo circa 17 km nella zona meridionale (da Capo Alì in Sicilia a Capo dell’Armi in Calabria) e 3,3 km (la parte più stretta) in quella settentrionale (da Capo Peloro in Sicilia a Punta Pezzo in Calabria). All’interno di questi confini, le profondità cambiano bruscamente e il fondale varia dagli oltre 1.000 m di profondità al largo di Capo Alì a circa 80 m nella parte meno profonda (zona nord).

 

La particolare morfologia dei fondali dello Stretto

 

Le diverse fasi di marea dei due bacini, insieme alle particolari caratteristiche geomorfologiche dello Stretto, determinano il forte idrodinamismo di questa zona, accentuato dalle diverse caratteristiche fisico-chimiche delle masse d’acqua ioniche e tirreniche. L’intensità di questi fenomeni dipende, inoltre, anche alle fasi lunari.

L’affioramento delle acque intermedie ioniche nella parte settentrionale dello Stretto di Messina provoca vortici e turbolenze e consente la risalita della fauna mesopelagica profonda della zona. Questo fenomeno, insieme alle migrazioni nictimerali (spostamenti verticali giorno/notte) effettuate da questi pesci lungo la colonna d’acqua, principalmente per la ricerca del cibo, fa sì che essi si ritrovino in superficie e poi vengano trasportati verso la riva, dove spiaggiano.

 

I “pesci diavolo” dei marinai

L’alto livello di turbolenza delle acque dello Stretto è noto fin dall’antichità, come riportato già nella mitologia greca dall’Odissea di Omero, che rappresentava le correnti locali come i mostri “Scilla” e “Cariddi”. Fin dal XIX secolo, l’interesse scientifico per i pesci “abissali” del Mediterraneo è stato stimolato da racconti di pescatori e marinai che descrivevano pesci mostruosi e luminescenti, spesso chiamati in volgare “pesci diavolo”. Nonostante la mancanza di conoscenze scientifiche avanzate, di tecnologia e di moderni strumenti di ricerca, lo studio di questi organismi è stato reso possibile proprio grazie alla presenza di esemplari spiaggiati sulla riva in quelle poche aree del Mediterraneo caratterizzate da correnti di risalita, come appunto lo Stretto di Messina.

Grazie alla raccolta di esemplari spiaggiati, morti o ancora vivi, Anastasio Cocco (1799-1854), ittiologo, medico, farmacologo, entomologo, botanico e agronomo messinese, considerato uno dei più illustri scienziati europei dell’800, ha fornito il primo contributo pubblicato alla conoscenza e alla tassonomia della fauna profonda del Mediterraneo. Nei primi anni dell’800, lo Stretto di Messina è stato la meta prediletta da numerosi studiosi per la raccolta di esemplari per le loro ricerche. Tra questi, August David Krohn (1803-1891) ha sottolineato l’importanza della zona, descrivendo lo Stretto come “il paradiso degli zoologi”. A tal proposito, anche lo zoologo tedesco Anton Dohrn (1840-1909) fu in visita a Messina ed ebbe proprio in riva allo Stretto l’idea del suo grande progetto di coprire il globo con una rete di stazioni di ricerca biologica, analoghe alle stazioni ferroviarie, dove gli scienziati avrebbero potuto fermarsi, raccogliere il materiale, realizzare osservazioni ed esperimenti, prima di spostarsi alla stazione successiva. Dopo aver tentato di realizzare il suo progetto a Messina, decise che Napoli sarebbe stato il posto ideale per la sua Stazione, fondata nel 1872.

 

 

Nelle tenebre dei fondali

Nelle acque profonde le condizioni di luce sono piuttosto scarse, così come la presenza dell’ossigeno, mentre la pressione si innalza sempre più. Nonostante ciò, grazie alla loro vastità i fondali profondi costituiscono un habitat d’importanza non indifferente per la vita sulla Terra e sono popolati da strane creature che per sopravvivere hanno dovuto adattarsi a un ambiente “ostile”, sviluppando particolari “abilità”. Data la scarsità di cibo, innanzitutto, i pesci abissali sono sempre in competizione tra loro: la lotta per la vita dipende dalla rapidità di individuare il pericolo e sfuggirlo. Non hanno bisogno però di vedere, dato che per procurarsi il cibo usano gli altri sensi. Hanno infatti l’olfatto molto sviluppato come pure l’udito. Per difendersi dai predatori, sovente li abbagliano con spruzzi di luce improvvisa, espediente che distrae per un attimo il predatore, offrendo la possibilità alle prede di darsi alla fuga. Anche la capacità di potersi mimetizzare con l’ambiente è importante per non essere visti: di solito questi pesci sono molto scuri, neri, bruni o rossi.

Un esempio eclatante di adattamento alla vita nei fondali è lo sviluppo di stomaci estremamente dilatabili e bocche enormi, denti lunghi e affilati, sproporzionati al resto del corpo, così da potere ingerire in una sola volta bocconi molto grossi, in attesa della successiva opportunità di un buon pasto. Alcune varietà di pesci riescono addirittura ad ingerire prede più grosse di loro spalancando le mascelle in modo incredibile (es. Chauliodus sloani).

Un’altra serie di curiosi adattamenti riguarda la poca luce presente nei fondali: molti pesci non hanno occhi; altri invece ne hanno di particolarmente grandi, in grado di percepire anche i più piccoli luccichii prodotti dagli “organi luminescenti” (fotofori) posseduti da parecchi animali abissali e che rappresentano essi stessi degli adattamenti all’oscurità. Altri animali hanno risolto il problema ospitando nei loro tessuti speciali batteri simbionti in grado di emettere la luce.

Altro adattamento dei pesci batiali è quello alle alte pressioni: Io scheletro di questi pesci è dotato di una certa elasticità e forme spigolose che aumentano la superficie corporea rispetto al volume, distribuendo maggiormente la pressione; alcuni pesci hanno uno scheletro fragile o non ce l’hanno affatto.

 

Alcuni fra i pesci batipelagici più comuni nello Stretto:

 

Nome comune: Ascia d’argento

Nome dialettale messinese: Pisci accetta

Nome scientifico: Argyropelecus hemigymnus (Cocco, 1829)

Caratteristiche: fu il primo reperto di fauna batifila studiato nel 1829 dal medico messinese Anastasio Cocco. È chiamato Pesce accetta perché la sua forma ricorda quella della mannaia dei macellai. Ha piccole dimensioni (4-6 cm lunghezza) ed è abbondantissimo nello Stretto. In altre località può spingersi fino ai 3000 metri di profondità.

 

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Nome comune: Vipera di mare

Nome dialettale messinese: Pisci vipera

Nome scientifico: Chauliodus sloani (Bloch & Schneider, 1810)

Caratteristiche: raggiunge i 30-35 cm di lunghezza e vive tra i 300 e i 700 metri di profondità. Ha denti assai allungati, ricurvi ed appuntiti ed è capace di sganciare la mascella dell’apparato branchiale formando un’apertura di 180° dalla quale possono passare prede molto più grosse della sua bocca e del suo stomaco. Il primo raggio della pinna è allungato e porta all’estremità una ghiandola luminosa.

 

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Nome comune: Boccatonda

Nome dialettale messinese: Muccu

Nome scientifico: Cyclothone braueri (Jespersen & Tåning, 1926)

Caratteristiche: è tra i pesci batifili più abbondanti nello Stretto. Può spingersi fino ad elevate profondità, oltre i 2000 metri. Non supera i 25-28 mm di lunghezza ed è sottile come un cerino. La bocca, paragonata al corpo, è enorme, gli occhi sono piccolissimi. Lungo la parte ventrale sono presenti numerosi piccoli fotofori.

 

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Nome comune: Elettrona

Nome dialettale messinese: Pisci diavulu

Nome scientifico: Electrona risso (Cocco, 1829)

Caratteristiche: non supera i 7-8 cm di lunghezza. Predilige le isobate di 500-600 metri, ma si può spingere anche fino ai 2000 metri di profondità. Ha corpo molto alto, corto e di forma ovale; è ricoperto di scaglie grandi e persistenti. Presenta numerosi fotofori lungo tutto il corpo.

 

 

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Nome comune: Pesce lampadina

Nome dialettale messinese: Pisci diavulu

Nome scientifico: Hygophum benoiti (Cocco, 1838)

Caratteristiche: le prime notizie di questa specie risalgono al 1938 quando Anastasio Cocco lo descrisse per la prima volta. Nello Stretto di Messina spiaggia soprattutto nei mesi invernali, può raggiungere le dimensioni di 80 mm di lunghezza e vive a quote batimetriche elevate. La testa è moderatamente grande ed è occupata quasi per intero dall’occhio.

 

 

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Nome comune: Maurolico

Nome dialettale messinese: Pisci divulu

Nome scientifico: Maurolicus muelleri (Gmelin, 1789)

Caratteristiche: il Maurolico, così chiamato in onore dell’illustre matematico messinese, è un pesciolino di modeste dimensioni (massimo 40 mm di lunghezza). I fotofori presenti hanno una colorazione rosso-porpora con luminescenze verdastre ed emanano un caratteristico odore di ozono che si sente anche a distanza.

 

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Testi consultati:  “I pesci batiali dello Stretto di Messina e zone viciniori” di Francesco Costa e Lucrezia Genovese (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero. Maggio 2009).

Articoli scientifici sull’argomento del dottor Pietro Battaglia della Stazione Zoologica Anton Dohrn.

 

In memoria di Giuseppe Sanò

 

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