di Marino Rinaldi

MESSINA. Dopo la prima puntata dedicata ai relitti sommersi (qui la seconda parte, ndr), prosegue il viaggio fra i fondali dello Stretto, dalla zone di pesca alla flora, dalla conformazione geologica alla fauna, passando per i miti classici e i riferimenti letterari. Un viaggio virtuale “sott’acqua” che ci conduce alla scoperta di un variegato paradiso di biodiversità e ricchezza, fra centinaia di specie diverse, grandi cetacei, flussi migratori, pesci rari e un tripudio di forme e di colori.

 

Foto di Domenico Majolino

 

Foto di Domenico Majolino

 

Sotto le acque dello Stretto di Messina si nasconde infatti un piccolo ecosistema sommerso, talmente peculiare da rappresentare “un laboratorio naturale di tutto il Mediterraneo”, grazie soprattutto alla sua funzione di “crocevia” fra i due bacini del mare nostrum e alle particolari caratteristiche idrodinamiche e chimico-fisiche.

 

Foto di Alessandro Pagano

 

Foto di Alessandro Pagano

 

Noto nell’antichità come “stretto di Scilla e Cariddi”, dal nome dei due mostri che secondo le leggende funestavano la navigazione tra Calabria e Sicilia, il breve tratto di mare che separa Reggio e Messina brulica di vita 365 giorni l’anno, ospitando una vastissima varietà di esemplari diversi, fra cui cernie, castagnole, ricciole, saraghi, dentici, pesce San Pietro (soprattutto nel periodo invernale), pesce sciabola, costardelle e il bellissimo e imponente pesce luna (detto “mola”), attratti dall’intenso idrodinamismo del mare, dalla bassa temperatura e dall’abbondanza di sali di azoto e fosforo, che rendono queste acque simili a quelle atlantiche.

La sua particolare conformazione e la posizione di confine tra il Mar Ionio e il Mar Tirreno, inoltre, rendono lo Stretto un punto eccezionale di osservazione dei flussi migratori di numerose specie che si spostano tra i due bacini. Tra queste i “grandi nuotatori” quali il tonno (Thunnus thynnus), la palamita (Sarda sarda), l’aguglia imperiale (Tetrapturus belone) e il pescespada (Xiphias gladius). Lo Stretto è anche un punto di passaggio privilegiato di numerosi cetacei,  quello che i Cetologi definiscono un “whale gate”, cioè un passaggio obbligato e una naturale strettoia che delfini, balenottere e capodogli attraversano per raggiungere la zona delle Isole Eolie per riprodursi. Presenti nello Stretto anche diversi selacei, come la verdesca (Prionace glauca), il pesce vacca o squalo capopiatto (Hexanchus griseus), qualche raro esemplare di squalo bianco (Carcharodon carcharias) o l’aquila di mare (Myliobatis aquila). Numerosi, negli ultimi anni, gli “avvistamenti” di cetacei e grandi predatori, fra cui delfini, squali, balene e persino orche (in basso alcuni video).

 

Foto di Domenico Majolino

 

 

Ma a cosa è dovuta una tale biodiversità? A spiegarlo è Marilena Sanfilippo, biologa marina: «L’elevato idrodinamismo delle acque dello Stretto e le particolari correnti che lo caratterizzano, con un continuo e incessante spostamento e lento rimescolamento di acque – racconta –  rendono questo ambiente ricco di specie ittiche che prediligono ora acque più calde, ora più fredde, ora più salate, per riprodursi e vivere. Le correnti caratteristiche dello Stretto, la “montante” (da Nord a Sud) e la “scendente” (da Sud a Nord), nascono proprio grazie all’incontro/scontro tra i due mari Ionio e Tirreno, che presentano caratteristiche chimico-fisiche diverse tra loro, e rappresentano un fattore fondamentale nella diffusione delle specie in quest’area. Quando il Mar Tirreno presenta bassa marea, il contiguo Mar Ionio si trova in fase di alta marea ed il contrario avviene al successivo cambio di marea. Questo dislivello che si viene a creare, determina che periodicamente le acque dell’uno e dell’altro bacino si riversino in quello contiguo. In particolare, in fase di “corrente scendente” le acque tirreniche più leggere (a minore densità) scorrono su quelle ioniche più pesanti (a maggiore densità). All’opposto, con il predominio della “corrente montante”, le acque ioniche più pesanti affondano sulle acque tirreniche più leggere che, in precedenza, occupavano lo stretto per versarsi quindi nel Tirreno».

 

«La particolare geomorfologia dello Stretto e i fenomeni conseguenti alle correnti, come l’upwelling (risalita di acque profonde), unita ai forti venti di scirocco e alle condizioni lunari favorevoli – prosegue Marilena – danno origine anche a quello che è un fenomeno tipico e caratteristico delle nostre coste, ovvero lo “spiaggiamento” di specie batipelagiche che hanno reso nel passato lo stretto di Messina famoso in tutto il mondo meritando l’appellativo di “paradiso degli zoologi”. Tali specie, che normalmente vivono a profondità elevate (ben al di sotto dei 200 metri) a causa anche delle loro migrazioni nictimerali (spostamenti giorno/notte lungo la colonna d’acqua principalmente per la ricerca del cibo), si ritrovano in superficie e poi finiscono spiaggiati ad opera del vento, del moto ondoso e delle correnti superficiali». Ma questa è un’altra storia (che racconteremo nella prossima puntata).

 

 

Foto di Alessandro Pagano

 

Foto di Giovanni Laganà

 

Le specie più caratteristiche:

 

PESCE LUNA, detto  “mola”. Nome scientifico: Mola mola (Linneo, 1758)

Ha il corpo a forma di disco molto schiacciato ai lati e una pinna dorsale unica molto alta simile ad un triangolo e la pinna anale, anch’essa unica, opposta alla dorsale. Può misurare più di 3 metri e pesare fino a 2 tonnellate. Curiosità: compare soprattutto nei mesi estivi ed è particolare per i suoi salti fuori dall’acqua e anche perché si addormenta in superficie.

 

 

PESCE SCIABOLA, in dialetto “spatola”. Nome scientifico: Lepidopus caudatus (Euphrasen, 1788)

Ha corpo molto allungato e sottile ai lati, molto simile ad una grossa cintura. Ha una coda piccola, forcuta e a lobi appuntiti; ha un colore argenteo e può arrivare a 2 metri di lunghezza. Curiosità: è talmente abbondante nello Stretto di Messina che viene commercializzato lungo le spiagge perfino nei giorni festivi. Per sottolineare la bontà delle sue carni in dialetto viene chiamata signurina du mari.

 

 

PESCE SAN PIETRO, in dialetto “Pisci San Petru” o “jaddu”. Nome scientifico: Zeus faber (Linneo, 1758)

Ha il corpo alto molto compresso ai lati. Occhio grande e ovale posto quasi sul dorso. Ha una pinna dorsale unica distinta in due porzioni: una formata da raggi spinosi, allungati e appuntiti; l’altra formata da raggi molli e poco allungati. Al centro di ogni lato presenta una macchia tondeggiante brunastra. Curiosità: le macchie lungo i bordi secondo la leggenda rappresenterebbero le impronte delle dita di San Pietro che aveva preso il pesce allo scopo di ricavarne l’obolo per il tributo. Scientificamente si chiama Zeus (Giove), in quanto era stato consacrato al Re degli Dei, e faber che significa artefice

 

 

AGUGLIA, in dialetto “augghia”. Nome scientifico: Belone belone (Linneo, 1758)

Ha il corpo allungato di forma quasi cilindrica e mascelle molto allungate simili a un becco. Può arrivare fino a 100 cm di lunghezza. Vive di solito al largo tranne in primavera (periodo riproduttivo), quando si avvicina alle coste. Curiosità: le sue uova sono tra le più grandi di tutti i pesci ossei e non sono galleggianti ma si attaccano alle alghe con dei lunghi filamenti di cui sono munite. Spesso in alcuni tratti di mare è facile vedere le Aguglie saltare fuori dall’acqua, soprattutto quando sono inseguite dalle palamite (Sarda sarda).

 

 

 

AGUGLIA IMPERIALE, in dialetto “augghia ‘mperiali”. Nome scientifico: Tetrapturus belone (Rafinesque, 1810)

Ha corpo affusolato nella parte anteriore e compresso ai lati. Le ossa premascellari e nasali sono saldate tra loro a formare un rostro allungato piuttosto appuntito. Misura massimo 2 metri, compreso il rostro. È una specie pelagica e migratoria ed è molto comune nello Stretto di Messina, dove spesso vien catturata con le feluche adibite alla pesca del Pescespada. Curiosità: questo pesce è spesso “accompagnato” da due/tre Remore, pesci che si attaccano con le loro ventose agli opercoli e si sganciano all’istante quando il pesce viene catturato.

 

 

Foto di Alessandro Pagano

 

Foto di Giovanni Laganà

 

I video

La danza dei delfini a pochi metri dalla riva:

 

Uno squalo mako che addenta un manta 

 

 

 

Due balene che nuotano fianco a fianco nello Stretto

Uno squalo ripreso da pescatori

Per realizzare questo articolo abbiamo consultato il libro “Atlante dei pesci dei mari italiani”, di Francesco Costa, da cui sono tratte le foto dei pesci più caratteristici.

Tutte le immagini presenti sono scattate nello Stretto. Foto in copertina di Alessandro Pagano.

Si ringrazia per la preziosa collaborazione Domenico Majolino, Sergio De Cola e soprattutto Marilena Sanfilippo (autrice delle schede sui pesci).

In memoria di Giuseppe Sanò.

 

Foto di Giovanni Laganà

 

Foto di Giovani Laganà

 

Foto di Alessandro Pagano