MESSINA. C’è il simbolo del potere di Michelangelo Alfano, boss nativo di Bagheria, morto suicida nel 2005 e referente messinese di Cosa Nostra, quattrocento metri quadrati, piscina olimpionica, protetta dagli sguardi, indicata con un gesto della testa ed un sussurro, “hollywoodiana”. Una villa confiscata, a Rodia.
Michelangelo Alfano non era il solo a subire il fascino del villaggio marinaro. Nelle acque del Tirreno amava fare il bagno anche il boss messinese Luigi Sparacio, che a Rodia possedeva una villa che si affaccia sulla statale 113, al km 28,225. Anchʼessa sequestrata.
Ci sono i due appartamenti di Lillo Sollima (personalmente mai condannato per mafia) il primo allʼisolato 22 di via Roosevelt e gestito da AddioPizzo (intestato a Maria Sparacio, sorella di Luigi), il secondo in via Roma, allʼangolo di via Don Orione, ma anche case a mare, ad Acqualadroni.
E poco fuori città, tra Villafranca a Torregrotta, ci sono ventiquattro tra abitazioni, locali, cantine, box, terreni di Santo Sfameni, che aveva a disposizione più beni di un’agenzia immobiliare.
C’è la mappa dei trent’anni di criminalità organizzata messinese, nell’elenco dei beni confiscati e assegnati al Comune di Messina. Sedici in tutto i beni che palazzo Zanca dal 2010 ha incamerato nel proprio patrimonio, sette già utilizzati e nove ancora indisponibili, per varie ragioni: dalla mancata destinazione da parte di palazzo Zanca, all’occupazione abusiva da parte di qualcuno dei precedenti proprietari, fino all’impossibilità di utilizzo dovuta al fatto che sono totalmente abusivi, sconosciuti al catasto, costruiti in spregio a qualsiasi norma e legge.
A disporre dell’utilizzo è un regolamento, approvato prima in giunta e poi in consiglio durante l’amministrazione di Giuseppe Buzzanca. All’epoca, vi furono scintille tra lʼassessore al Patrimonio Franco Mondello e quello al Risanamento Pippo Rao per via dellʼinterpretazione sulle competenze (la spuntò Mondello).
Il concessionario ha una serie di sedici obblighi codificati dallʼarticolo 6: dalla stipula di polizza assicurativa a quello di tenere costantemente informato lʼente concedente, quindi il Comune di Messina, sullʼattività svolta, lʼobbligo di rispettare le norma in materia di lavoro, assistenza e previdenza e quello di mantenere inalterata la destinazione dʼuso del bene concesso. Dal punto di vista dellʼordine pubblico, il concessionario ha obbligo di denuncia di qualsiasi evento che turbi “lo stato e la natura” del bene e quello, quasi lapalissiano, di trovarsi in ordine con la normativa antimafia. Parecchi anche gli oneri. Tra i quali le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e le spese per le utenze necessarie alla gestione.
A controllare sul corretto andamento della concessione (quasi sempre comodato d’uso per sette anni, rinnovabili con proroga di 40 mesi) è la Polizia municipale. Fuori dallʼimmobile, una targa di sessanta centimetri per trenta, in caratteri rossi su fondo bianco con al centro lo scudo di palazzo Zanca, recita la frase: “bene confiscato alla mafia, patrimonio del comune di Messina”.
(Clicca sulle icone nella mappa in basso per conoscere gli immobili sequestrati alla mafia: in verde quelli utilizzati, in rosso quelli inutilizzati. Fonte comune di Messina)