Un lunedì strano, in cui abbiamo aperto Netflix per gustarci una serie tv, siamo finiti su altri show e abbiamo chiuso con un fortissimo coacervo di rabbia. La playlist odierna, vista da fuori, può sembrare slegata ma non lo è affatto, anche eliminando i riferimenti alla cultura pop di cui sono intrise le prossime righe. C’è un’identità comune in tutti i sei artisti dei prossimi brani, perché tutti loro hanno coltivato la propria discografia spesso riscrivendo, in grande o in piccolo, le regole del gioco in cui si stavano inserendo. E per questo abbiamo selezionato loro, perché è iniziata la primavera e ci teniamo a spargere musica polline che vi faccia venire l’allergia alla quotidianità.

 

Massive Attack – Paradise circus

 

 

Netflix mi ha permesso di colmare una grande mancanza della mia vita: ho amato The Wire, e tra tutti i personaggi adoravo Stringer Bell, interpretato da Idris Elba. Tra una cosa e l’altra non avevo mai recuperato però Luther, serie inglese con protagonista proprio Elba, un detective sui generis, brillante quanto impulsivo. La prima cosa che mi ha colpito di Luther, però, è stata la sua sigla, che inizialmente non avevo riconosciuto; alla terza o quarta puntata, però, ho unito i puntini che si erano creati nella mia mente e l’ho individuata (bastava cercare, sì, lo so). E quindi si inizia così, questa settimana apriamo con i Massive Attack

 

Ghemon – Impossibile

 

 

Inesauribile fonte di ispirazione, The Wire: solo un paio di anni dopo aver ascoltato Confessioni di una mente meticolosa di Ghemon (Qualcosa è cambiato, 2012) ho capito che era tratto da lì il dialogo iniziale (e che scena, signori miei, che scena). Però, parlando di Ghemon, ci spingiamo sulla sua nuova era, quella più slegata dall’ambiente rap per incarnare l’artista black più black d’Italia. “Impossibile” è la traccia di apertura di “Mezzanotte”, il disco che porterà in tour anche a Messina il prossimo 5 aprile, ed è il manifesto perfetto sia dell’album che della rivoluzione musicale che sta imponendo con la sua passione e i suoi sacrifici, perché “io sbaglio o faccio bene, ma non ho mai detto ‘provo’: datemi il trono”.

 

Luchè – O’ Primmo Ammore

 

 

Se l’America ci ha regalato The Wire, in Italia abbiamo cercato di cavarcela con un paio di altre ottime serie, tra cui Gomorra; proprio lì, nella seconda stagione, ho sentito per la prima volta questo pezzo che l’ex Co’Sang ha lanciato in puntata prima ancora che sui canali tradizionali. Se quello di Ghemon è un tentativo di spostarsi dai canoni rap, quello di Luchè è un atto di fede, un’affermazione di presenza forte da parte di uno che ha fatto una gavetta straordinaria con il suo ex gruppo e da qualche anno difficilmente sbaglia una strofa. Malammore è un disco da ascoltare a tutti i costi per capire la complessità della sua scrittura e, perché no, anche il suo buon gusto nell’azzeccare i produttori.

 

Linkin Park feat Jay Z – Points of Authority / 99 Problems / One Step Closer

 

 

È stata una scelta dura perché di Collision Course, anche quasi quindici anni dopo, non ho ancora capito quale sia il brano che mi gasi di più. Terzo brano rap-related di fila, tutti diversi tra loro, qua si sbarca in America con Jay Z supportato da una band che al tempo tirava giusto un po’, quei Linkin Park che la scorsa estate sono rimasti orfani di Chester Bennington — autore, nel live ufficiale che accompagnava la release registrato al Foxy Theater, di una mega performance proprio su questo brano. Chester, nell’ultimo minuto, consuma le sue corde vocali sbraitando con furia tanto da lasciare basito proprio Jay-Z lì di fianco a lui, in quella che divenne un’espressione quasi emblematica di una coppia tanto strana quanto efficace.

 

Rage Against the Machine – Bulls on parade

 

 

Link finale quasi automatico, perché sì, è inevitabile: questa roba delle chitarre ad accompagnare un tizio che sputa parole forse i RATM l’hanno fatta come nessun altro, e se qualcun altro l’ha fatta come loro non era comunque come loro. Un’attitudine indelebile e irripetibile, De La Rocha te lo immagini col sangue agli occhi tutto il tempo mentre carica come non mai sul riffone di un Tom Morello per cui una collezione di cuori non basta. “Terror rains drenchin’, quenchin’ tha thirst of tha power dons”, un atto di accusa verso il sistema americano forte e chiaro, messo in pratica anche durante la performance al Saturday Night Live (censurata e accorciata dalla rete) quando, nel ’96, stavano promuovendo il loro secondo disco, Evil Empire. Una mossa che ha attestato una volta di più, qualora fosse necessario, il prepotente impatto della rabbia contro la “macchina”.

 

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