MESSINA. Si è tenuto lunedì 15 Gennaio, presso l’Istituto superiore “G. Minutoli”, l’incontro organizzato dal Comitato Genitori sul tema “Il fenomeno mafioso a Messina dagli anni Ottanta ad oggi”.

La conferenza è iniziata con la presentazione del criminologo Marcello La Rosa che, sulla base di quanto scritto nel suo recentissimo libro “Il fenomeno mafioso” ha analizzato la mafia messinese quale era negli anni Ottanta e qual è oggi, dalla prima guerra di mafia, avvenuta tra la famiglia Costa (di Giostra) e i Cariolo (di Camaro) fino al Clan Mangialupi, il clan egemone per lo spaccio a Messina.

A seguire, è stato il procuratore capo di Messina, Maurizio De Lucia, a mostrare la capacità delle associazioni mafiose di adattarsi alla loro controparte (lo Stato), che non riesce ad avere una continuità in questa lotta dove ad ogni azione criminale vi è una reazione.

Ma perché si diventa mafiosi? Perché si vuole esercitare il potere e perché si vuole diventare ricchi, ha spiegato il Procuratore ai ragazzi. E quale deve essere invece il ruolo dello Stato? Le istituzioni, per reagire, devono puntare alla confisca dei beni, che devono essere ceduti ai comuni e restituiti ai cittadini, “strappando così una fetta di legalità alla criminalità”,  commenta De Lucia, che fa un appello ai politici, affinché sappiano dire di no alla corruzione, e ai docenti, perché educhino i ragazzi alla giustizia svolgendo un lavoro di prevenzione.

A presiedere, nel tavolo dei relatori, non poteva di certo mancare Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, vittima di attentati mafiosi. Nell’Aula Magna del Minutoli si è sfogato, tirando fuori tutta la rabbia e la forza con cui combatte questa terribile realtà, dando una spiegazione su come la mafia riesca a racimolare somme di denaro inestimabili: “Lo Stato ha finanziato la mafia per 10 anni”. Secondo una legge statale, infatti, ogni cittadino aveva la possibilità di partecipare a bandi europei mostrando una semplice autocertificazione per somme al di sotto di 150mila euro: una “tara legislativa” sfruttata dalla criminalità organizzata per creare società ad hoc, con le quali, infondendo paura, riuscivano ad aggiudicarsi il bando per poi acquistare ettari di terreno che fruttavano il 2000%  di incremento sull’investimento iniziale (su 1000 ettari, pagati 36,40 euro, ricavavano dai 36.400 a 1.300.000 euro l’anno).

Oggi tutto ciò non è più possibile, perché persiste un protocollo che permette maggiori accertamenti anche per chi non supera la cifra stabilita. “Questa terra non ha bisogno di eroi – urla Antoci -, ma di cittadini che facciano il loro dovere”. Uno sfogo che introduce il discorso dell’onorevole Francesco D’Uva, parlamentare della Commissione Antimafia, anche lui presente in aula. “La vita da mafioso è una strada che non porta da nessuna parte e che si muove sul filo della corruzione e dell’intimidazione”, ottenuta tramite l’estorsione. Ma è l’esempio dei cittadini che vince sempre, perché “con semplici azioni, possiamo ostacolare la mafia”. Come? Ne dà un esempio Enrico Pistorino, dell’associazione “Addio Pizzo”, che si è posta l’obiettivo di segnalare tutti i negozi che si rifiutano di pagare il pizzo, così da poter acquistare i prodotti senza pagare indirettamente la mafia. L’incontro si è concluso con un video in onore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

 

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