Di Ivan Tornesi e Bruno Rodi

Qualche anno fa ci siamo impegnati a ricostruire la storia di nostro nonno Antonino Rodi, arruolato nel marzo del 1943 e pochi mesi dopo internato nei lager nazisti, dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943. Non avendolo conosciuto in vita, siamo dovuti partire dai documenti conservati in un cassetto della sua vecchia casa e dai racconti fatti ai nostri genitori: trame spesso frammentate e interrotte dalla rabbia verso i nazisti ma anche dal silenzio, rispetto alle cose più orribili che i suoi occhi avevano visto e che per pudore non riusciva a raccontare ai figli, cresciuti nel periodo di speranza e ottimismo del boom economico.

E allora grazie alle indicazioni dell’amico Giampiero Neri, che ha svolto lo stesso tipo di ricerca per suo nonno, anche lui ex internato, abbiamo messo insieme: la copia del Foglio Matricolare del distretto di Messina (il documento che contiene data di arruolamento, trasferimenti e tutto il trascorso militare), le tessere dell’Anei (Associazione Nazionale Ex Internati), alcune lettere che scrisse durante il periodo militare ai suoi parenti fino al Foglio di congedo illimitato del 1946.

Una volta ricostruita la vicenda dell’arruolamento e della deportazione del nonno, abbiamo compilato e inviato un’istanza al Comitato Risconocimento ex IMI, istituito presso la Presidenza del Consiglio, per la concessione di una medaglia d’onore, una sorta di risarcimento simbolico e morale riconosciuto da una legge del 2006 a tutti i cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale (articolo 1 commi 1271 – 1276 della Legge 296 del 27 Dicembre 2006 “Legge finanziaria 2007”).

La consegna della medaglia d’onore, conferita con decreto del Presidente della Repubblica Mattarella del 12 maggio 2022, è avvenuta ieri, giovedì 26 Gennaio 2024, in occasione della “Giornata della Memoria”, organizzata dalla Prefettura in collaborazione con la Consulta degli Studenti di Messina, presso la Sala Laudamo. Nel corso dell’evento in cui sono state commemorate le vittime dell’Olocausto, è stata ricordata anche la storia dei militari italiani deportati ed internati nei lager nazisti, attraverso la lettura di alcune note biografiche relative al periodo della deportazione del nonno.

 

Antonino Rodi (detto Nino), nato a Messina, il 18/02/1923, fu arruolato nel marzo 1943 come marò, nel Reggimento San Marco della Regia Marina Militare. “Ho fatto la guerra senza sparare un colpo”, raccontava ai nostri genitori. Pochi mesi dopo l’arruolamento, infatti, il 12 settembre del 1943, venne catturato dai tedeschi a Pola, in Croazia, nel clima di smarrimento che caratterizzò i giorni che seguirono l’armistizio. Di Pola ricordava il senso di umanità, il coraggio e la solidarietà degli abitanti, che, anche a rischio delle proprie stesse vite, non esitarono a privarsi del poco cibo che avevano per sfamare tutta quella massa di prigionieri. In quell’occasione, furono migliaia i soldati italiani catturati dai tedeschi, per l’ordine del comando italiano di consegnare le armi e non opporre alcuna resistenza ai nazisti, nonostante il netto vantaggio numerico. L’alternativa, per sfuggire alla deportazione, era provare a giurare fedeltà al regime nazista e alla Rsi (Repubblica Sociale Italiana), ma molti militari italiani rifiutarono. Trasferiti a piedi o caricati in vagoni come merce, attraversarono l’Europa, incrociando i loro destini con quello degli ebrei e degli altri deportati. Arrivati nei campi di concentramento furono costretti ai lavori forzati, privati di assistenza sanitaria, servizi igienici e malnutriti. I tedechi identificarono i militari italiani come “internati”, per distinguerli dagli altri prigionieri: a loro Hitler aveva negato lo status di prigionieri di guerra, con le tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e l’assistenza della Croce Rossa Internazionale. Dopo un anno di detenzione, Nino fu deportato ad Albstadt, una cittadina del Baden-Württemberg, dove fu sottoposto ai lavori forzati nell’assemblaggio delle ali degli aerei da guerra. Lì trascorse quasi un altro anno, assistendo all’orrore delle esecuzioni sommarie, compiute anche solo per pretesti di igiene. D’inverno dovette lavarsi con neve sciolta, mentre d’estate dovette ripararsi dagli intensi bombardamenti Alleati che liberavano il fronte occidentale. Dopo quasi due anni di prigionia, Nino fu finalmente rimpatriato il 23 agosto 1945.

 

 

Con il passare degli anni, uno dei periodi più drammatici della nostra storia non avrà più testimoni diretti. Le attuali e future generazioni hanno dunque il dovere civico e morale di custodire e trasmettere questa memoria, rendendo concreto l’impegno contro ogni forma di recrudescenza del nazifascismo ed ogni forma di negazionismo, che purtroppo continuano ad aggredire le fasce di popolazione culturalmente fragili.

 

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