MESSINA. “I consiglieri hanno agito in virtù di una prassi consiliare documentata dai verbali”. Lo ribadisce più e più volte Nino Favazzo, nell’arringa finale prima che il collegio si riunisca in camera di consiglio e ne esca fuori con la sentenza sul caso Gettonopoli, che un anno e mezzo fa ha investito come un treno il consiglio comunale e che oggi pomeriggio potrebbe mutarne il volto ad un anno dalla scadenza naturale.

“Questo processo non sarebbe nemmeno dovuto iniziare – ha argomentato Favazzo – alla luce del decreto di archiviazione di quello precedente, il cosiddetto stralcio. Se non ci fosse stato il discrimine del tempo trascorso in aula, ci sarebbero stati trentanove imputati”: tutti i consiglieri, esclusa la presidentessa del consiglio, che non percepisce gettone ma ha un’indennità fissa. “Nei fogli di presenza – ha continuato l’avvocato – assimilati in questo procedimento ai badge marcatempo, non c’è alcuna indicazione di ingresso o uscita dall’aula. Questo foglio ha una qualche funzione accertativa? Ciò che si contesta è il mero allontanamento dalla seduta, comportamento che non è sanzionato dalla legge”.

“E quindi – ha concluso il legale –  la domanda è: quei comportamenti ritenuti reati di falso e truffa, rientrano nella casistica degli uffici consiliari? La risposta è si, la condotta rientra ampiamente nella casistica”. Per questo, Favazzo ha chiesto l’assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste, per tutti i suoi  assistiti. Gli altri avvocati sono intervenuti per brevissime integrazioni, così come anche il pm Francesco Massara, che ha precisato un passaggio registrato a verbale ma che poteva dare adito a qualche fraintendimento, circa l’assoluzione richiesta, in ordine all’abuso d’ufficio, solo ed esclusivamente per i presidenti di commissione, e non per tutti i casi.

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