MESSINA. È stata una settimana devastante, quella appena trascorsa, per le ordinanze comunali emanate dal sindaco Cateno De Luca, sottoposte a cancellazione, sospensione o commentate in maniera non lusinghiera dal Tar.

Ha iniziato, mercoledi, il prefetto Maria Carmela Librizzi, che ha annullato l’ordinanza con cui De Luca “chiudeva” l’hotspot di Bisconte, cosa che in realtà non poteva fare perché non di sua competenza: e infatti la rappresentante del Governo ha firmato un provvedimento in cui motiva la decisione spiegando che la materia dell’immigrazione è di competenza dello Stato, non dei Comuni.

Non passa nemmeno un giorno, e dal tribunale amministrativo di Catania arriva una cattiva notizia. Un’altra. La compagnia telefonica Vodafone ottiene la sospensione dell’ordinanza emanata in pieno lockdown (e annunciata dal Coc della Protezione civile in una delle dirette incentrate sulla Covid) che impediva l’installazione delle antenne per il 5g sul suolo comunale. Anche qui, il Tar, fissando la data dell’udienza di merito al 3 dicembre, motivava spiegando che la materia non è di competenza comunale.

Non è finita qui. Ieri, infatti, un decreto presidenziale urgente ha annullato i cinque giorni di chiusura inflitti dalla Polizia municipale come sanzione accessoria al lido Tarea di Pace: la multa di 400 euro e la chiusura erano state elevate ai sensi dell’ordinanza “coprifuoco”. Il provvedimento da parte del Tar sostiene che la tipologia della contestazione contenuta nel provvedimento impugnato è “non direttamente ricollegabile al mancato rispetto delle disposizioni relative all’emergenza sanitaria”.

L’ordinanza “coprifuoco” in vigore è stata adottata in sostituzione di un provvedimento più “draconiano” che era stato ritirato dopo le feroci contestazioni da parte di cittadini e commercianti, che hanno obbligato l’Amministrazione a un parziale dietrofront, con la modifica degli orari di chiusura imposti agli esercenti.

La madre di tutte le ordinanze annullate tuttavia è quella per cui si è adoperato il Presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella, che ha demolito la banca dati “si passa a condizione” con un decreto presidenziale in esecuzione di una decisione del Consiglio di Ministri, che ha proceduto sulla scorta di un parere del Consiglio di Stato sollecitato dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: in piena emergenza covid-19, nel corso di una pandemia mondiale, in pratica, il provvedimento di De Luca è riuscito a scomodare due dei tre poteri che garantiscono l’equilibrio democratico (esecutivo e giudiziario, manca il legislativo), e pure la figura di garanzia del Capo dello Stato.

Sempre in tempo di lockdown, un De Luca in piena sindrome competitiva con il governo della Regione e dello Stato era stato costretto a ritirare in tempi record una delle innumerevoli ordinanze emesse, la 60 dell’11 marzo in cui “chiudeva” praticamente tutto tranne tranne supermercati, panifici e farmacie, dichiarandone la validità a partire dal 13 marzo. nel frattempo arriva il decreto della presidenza del consiglio dei ministri, firmato da Giuseppe Conte, che norma le chiusure. Prima dell’entrata in vigore della sua ordinanza, De Luca la ritira e si adegua al dettato nazionale.

Il 18 marzo è volta dell’ordinanza anti attività fisica: in contrasto con la norma nazionale (che la prevedeva), ma congrua con l’ordinanza regionale emanata da Nello Musumeci (che non la prevedeva, e che aveva potere di normare la materia).

Poi c’è l’ordinanza del 20 marzo in cui obbligava l’Asp a garantire h24 l’attività nei laboratori per le analisi dei tamponi, sebbene l’Azienda sanitaria provinciale non sia soggetta al potere istituzionale del sindaco. Emessa il 20 marzo è stata revocata il giorno successivo. “L’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza – si legge nella motivazione – ha comunicato per le vie brevi al sindaco che la città di Messina è stata autorizzata alla validazione dei risultati del tampone”.

 

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