MESSINA. I sentimenti, le emozioni, le soluzioni interiori che hanno innervato le azioni realizzate sotto lo sferzare della pandemia, faccia-a-faccia con situazioni nuove e imprevedibili: sono i temi messi sotto la lente d’ingrandimento da “Help who helps”, l’indagine condotta dal Centro servizi per il volontariato (CESV Messina) e dal CeRIP (Centro di Ricerca e di Intervento Psicologico) dell’Università di Messina.

La ricerca, che è stata presentata in un incontro online giovedi 3 marzo, ha fatto emergere che durante l’epidemia i volontari sono stati chiamati ad aiutare nel trasporto dei malati e nella creazione dei presidi per fornire medicinali, assistenza e beni di prima necessità, avendo maggiori probabilità di essere infettati e sostenendo condizioni di lavoro estreme (orari lunghi di lavoro, circostanze incerte, il fronteggiare un’emergenza nuova e di portata globale) che avrebbero potuto minarne il benessere psico-fisico e incrementare il rischio di stress. Ma la ricerca ha fatto emergere anche che i volontari si sono sentiti orgogliosi di aver svolto il compito e averlo portato a termine nonostante le sfide e che hanno saputo effettivamente adottare quelle “strategie” in grado di supportarli e di contenere il livello di stress.

A rispondere al questionario posto al “cuore” dell’indagine sono stati 130 enti, distribuiti su 27 Comuni e suddivisi quasi equamente tra zona tirrenica (62) e zona jonica (68), nella quale è conteggiata anche la città di Messina. Tra i partecipanti, il 64,6% è donna e il 35,4% uomo, il 39% ha conseguito la laurea e un altro 39% il diploma di maturità. Nel campione sono rappresentate le diverse fasce d’età, ma la prevalenza è del range 50-60 anni (27,7% del totale) e del range dei giovani al di sotto dei 18 anni (24,6%). Dall’altro lato della statistica, oltre alla presenza comprensibilmente ridotta della fascia dei 70-80enni (5,4%), a essere meno presenti sono anche i 30-40enni (9,2%). Quasi pari, infine, i 18-30enni (15,4%) e i 40-50enni (17,7%). In quanto ai settori in cui si esplica il volontariato, il 34% dei soggetti opera nell’ambito socio-sanitario, quasi il 32% per la tutela dell’ambiente, il 17% nella protezione civile, poco più dell11% nel campo socio-culturale-educativo, quasi il 5% nella tutela dei diritti, l’1% circa per la protezione degli animali. E se questa è la fotografia della situazione, l’immagine in “movimento”, quella che registra le attività realizzate durante la pandemia, racconta che le organizzazioni nel 73% dei casi hanno attivato azioni specifiche in risposta all’emergenza, mentre un altro 7% non solo le ha attivate ma le sta realizzando tuttora, e un altro 1% semplicemente non ha mai “chiuso”. La percentuale che si è fermata a causa della pandemia è del 3,8%, appena 5 enti. Mentre in 9 vogliono interrompere l’attività, ma non l’hanno ancora fatto (6,9%) e altri 4 (3,1%) non avevano pensato di interrompere ma ora sono propensi a farlo. A far la parte del leone, anche sul piano delle intenzioni, sono i 112 soggetti (86,2% del campione) che non hanno mai pensato di fermarsi e non ci pensano nemmeno ora.

Eppure sono stati tanti i cambiamenti indotti dal Covid. Cambiamenti nelle attività di volontariato effettivamente svolte (per il 40% del campione si sono abbastanza modificate e per un altro 24,5% si sono molto modificate), cambiamenti nello stile di vita personale (i partecipanti riferiscono che la loro vita è abbastanza peggiorata in relazione a fattori economici ed a pratiche poco salutari come fumare e stare davanti al pc ed alla qualità del sonno), cambiamenti nella quotidianità (con l’ovvio picco delle modifiche riguardanti l’ambito relazionale, stravolto nel 73,8% dei casi, e quelle riguardanti il tempo libero, 66,9%).

Solo che a questi cambiamenti i volontari hanno risposto con “strategie” interiori positive e pro-positive. Pochissimi si sono rifugiati in un “altrove” personale (cosiddette strategie di “evitamento”), la gran parte ha avuto un atteggiamento di accettazione, contenimento e reinterpretazione positiva degli eventi, rivolgendosi talvolta alla fede religiosa, evitando di ironizzare per rispetto ed empatia, cercando comprensione, informazioni e possibilità di sfogo emotivo nella propria cerchia sociale, ideando strategie attive e di pianificazione. È un aspetto che emerge oltre i dati, nelle parole di testimonianza, nei racconti di esperienze vissute, nei ricordi così come negli impegni attuali che caratterizzano gli interventi di Emanuela Galì della Misericordia di Spadafora e Maria Elena Lo Monaco della Fratres di Letojanni, ciascuna capace di illuminare non solo una serie di azioni ma anche diversi territori, a racchiudere idealmente in un abbraccio unitario l’intera area metropolitana.

E fattore determinante è stata la dimensione collegiale. Il campione riferisce infatti di percepire un’elevata efficacia collettiva in tutte le ipotesi considerate, e cioè nel far fronte alle situazioni critiche, nel rispondere alle esigenze di utenti e soci, nell’offrire possibilità di formazione e informazione, nel collaborare con le istituzioni, nello stimolare la partecipazione attiva degli iscritti. Ma non è tutto. Nei volontari anche la percezione della propria efficacia è maggiore se riguarda la dimensione della condivisione, cioè la capacità di relazionarsi ed interagire con altri soggetti (assistiti, istituzioni, colleghi), di condividere le proprie emozioni all’interno del gruppo di lavoro ma anche di negoziare decisioni e coordinare il lavoro collegialmente, ed è invece minore nella dimensione emotiva, che dà conto di quanto ci si senta capaci di gestire il proprio stato emotivo in situazioni particolarmente stressanti e quanto si riesca a scindere la propria condizione personale da quella degli assistiti. Efficaci i volontari si sentono anche in rapporto alla dimensione dell’aggiornamento e dell’autoformazione, riconoscendosi in grado di sviluppare le competenze necessarie per lo svolgimento della propria professione e di mantenersi quindi aggiornato, e in quella delle pratiche e dei comportamenti, che li rivela capaci di formulare con tempestività risposte di sostegno emotivo e psicologico verso gli assistiti e le loro famiglie.

Con i saluti di Ennio Marino, vicepresidente vicario del CESV Messina, Vito Puccio, presidente dell’Organismo territoriale di Controllo della Sicilia, Chiara Tommasini,  presidente di CSVnet, l’associazione nazionale dei Centri di Servizio per il volontariato, e Francesca Liga, responsabile dell’area ricerca del CeRIP, l’incontro di presentazione è stato aperto dall’auspicio di poter dare  continuità alla collaborazione nella ricerca e nell’intervento che sulla ricerca può basarsi, dalla sottolineatura della nuova ondata di timori e di disagio causata dalla guerra in Ucraina in aggiunta alle sofferenze derivanti dalla pandemia e dal riconoscimento dell’impegno consapevole dei volontari, che sono “in prima linea” anche rispetto a questa nuova tragedia.

«L’indagine – ha ricordato Tina Camuti, psicologa, componente del consiglio direttivo del CESV Messina – possiede connotati espliciti di originalità». E infatti sarà posta a base di una pubblicazione scientifica. Allo stesso tempo, come ha sottolineato il direttore del CESV, Rosario Ceraolo, fornisce «indicazioni preziose, utili e utilizzabili fin da subito, per comprendere e supportare sempre più e sempre meglio il mondo del volontariato del Messinese». E a chi ha chiesto come mai ci si sia interessati ora ai risvolti della pandemia, ha risposto il CeRIP per voce di Pina Filippello, che nella presentazione è stata affiancata dalla dottoranda Concettina Caparello. «A causa dell’ampia diffusione del virus – è stato infatti ricordato – l’indagine sui fattori di rischio e protezione che contribuiscono o di contro affievoliscono il rischio di stress è essenziale per il presente ma anche per il futuro». I volontari intervistati – ha aggiunto Maria Lucia Serio, consulente del CESV Messina – per diversi mesi hanno offerto il loro aiuto per molte ore alla settimana. I loro comportamenti e le loro reazioni danno uno spaccato della resilienza rispetto a situazioni di emergenza.

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