MESSINA. Il Ministero della Cultura, tramite la Direzione Generale Archivi, ha annunciato di aver trovato la soluzione che evita il trasferimento dell’Archivio di Stato di Messina: il trasloco dei nuovi locali destinati agli uffici, in via Dogali 50 in un ufficio da 240 metri quadri, dieci stanze, una sala studio con quattro postazioni. Ciò che conteneva il vecchio Archivio di stato, quasi un millennio di storia messinese, con documenti che risalgono addirittura al 1184, rimarranno invece a Riposto, in sono stati trasferiti due mesi fa. Una riflessione (amara) di Sergio Todesco.

 

Ho frequentato sporadicamente l’Archivio di Stato, mi ci recavo però spesso in anni lontani per compulsare qualche documento su Messina ma soprattutto per attingere agli scritti, per me oltremodo interessanti, di Domenico Puzzolo Sigillo che dell’Archivio era stato Direttore. Dagli scritti di Puzzolo appresi ad esempio che molte delle mitologie sui Giganti Mata e Grifone erano fasulle, e in seguito, proprio stimolato da quelle prime ricerche, mi fu possibile attingere ai suoi inediti, ancor più demistificatori di fonti da tutti ritenute attendibili.

Ma quello che mi portava spesso a frequentare le stanze di Via XXIV Maggio era la consapevolezza che in quelle carte, in quelle pergamene impolverate permanesse un’anima della città ancora in attesa di venire scandagliata e scoperta. Mi appagavo dell’aura dell’intero patrimonio, che mi pareva sopravvivere a dispetto degli ambienti banali che lo custodivano. Poi ho smesso di andarci, per pigrizia forse, ma anche per un progressivo scemare del mio interesse per le cose locali, alle cui – a volte stucchevoli – glorificazioni intendevo sottrarmi, preferendo dispiegare lo sguardo su altre realtà, lontane o diverse da quelle messinesi.

Ciò non mi ha impedito di inorridire alla notizia che l’Archivio veniva sfrattato e che nessuna istituzione locale, al di là di ipocrite doleances, si prendeva di fatto la briga di trovare una soluzione concreta a quello che mi appariva, e mi appare ancora, uno sfregio per la città e per quanti abbiano ancora la voglia di conoscerne la storia. L’unica mia partecipazione al dibattito civile che ne seguì (ne segnalo in particolare l’impegno del caro Lelio Bonaccorso) fu quella consistente nel suggerire il trasferimento dell’intero Archivio nei locali dell’ex Banca d’Italia, destinati a diventare un Centro Culturale polivalente nelle cui previsioni d’uso pare siano compresi un museo, una biblioteca e centri di ricerca non specificati. Mi pareva che già l’accogliere l’Archivio in quei locali prestigiosi, ricoprenti un’area di circa seimila metri quadrati, avrebbe costituito il miglior inizio, la migliore carta d’identità per la nascente struttura. Di tale proposta non so neanche se qualcuno l’abbia mai presa in considerazione, ma su ciò, come si dice da noi, non ghiabbu e non maravigghia, la Messina di oggi è come lo Stato del Don Raffaè di Faber, è una realtà magmatica che “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. Ho seguito dunque con un certo disincanto anche le penose fasi del trasferimento dei preziosi materiali lontano dalla città, annoverandole tra le numerose spoliazioni cui Messina viene da sempre fatta oggetto.

L’indignazione mi sorge adesso che leggo della soluzione che la Soprintendenza archivistica della Sicilia ritiene di aver trovato: un localino di duecentoquaranta metri quadri strombazzato dal Direttore Generale degli Archivi come luogo che “non rappresenta solo un nuovo spazio fisico, ma un impegno concreto per valorizzare il patrimonio documentario messinese e per assicurare al personale e agli utenti un luogo adeguato, accessibile e pienamente funzionale”.  Ci sarebbe da ridere, anzi da sghignazzare, se non fosse più opportuno piangere e imprecare contro questa burocrazia ottusa che discetta dello “straordinario impegno profuso” e delle “brillanti capacità gestionali dimostrate nell’affrontare e risolvere in breve tempo il problema della individuazione della nuova sede”!

Può darsi che i burocrati del Ministero della Cultura abbiano le doti nascoste di Mary Poppins, che in una sacca riusciva a contenere gli oggetti necessari ad arredare una stanza. È viceversa probabile che anche in questo caso, come negli innumerevoli verificatisi negli ultimi anni da côté governativa, si tenti di spacciare una bufala grande come una casa (sempre di grandezze si parla…) per brillante successo istituzionale. Provateci voi, senza avere beninteso la bacchetta di Harry Potter, a far entrare in un appartamento poco più grande di casa vostra cinquemila metri lineari di documentazione, settecentoventi pergamene (che non sono, mi par di ricordare, carta da forno) e una biblioteca di circa diecimila volumi!

Ancora una volta le narrazioni si sostituiscono e si sovrappongono alla realtà. La realtà è quella di una città che non possiede più gli anticorpi valevoli a preservare e difendere la propria memoria storica, con buona pace di tutti i cultori della messinesità. Questo lo affermo con tristezza, non con sussiego.

Ultima ciliegina sulla torta è costituita dall’apprendere che la “soluzione 240” è stata raggiunta anche grazie all’intervento del Ministro Alessandro Giuli, quello dalle tiritere incomprensibili, quello che va alle prime teatrali con stivali e cravattino e si ritiene – io ritengo – un nipotino di Julius Evola. E sticazzi! Direbbe Rocco Schiavone…

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Alessandro Orlando
Alessandro Orlando
15 Dicembre 2025 9:12

C’è poco da fare, la classe dirigente messinese in realtà odia la città in cui vive(?).
Grazie per l’articolo