SULLE SPONDE DEL DANUBIO. Non sono i ponti che migliorano o alzano la qualità della vita. Il segreto è l’interazione, qualunque essa sia. La possibilità di interagire gli uni con gli altri senza attraversare un confine di fucili puntati o senza il terzo grado di un militare. In piena libertà. Sentendosi parte di un unico luogo nonostante le barriere. Nonostante la lingua. Nonostante la moneta. Serviva fare un viaggio di 10 giorni in 5 Paesi della Comunità Europea per capirlo? No. Ma lo abbiamo fatto comunque.

Ungheria – Slovacchia – Ungheria – Croazia – Ungheria – Romania – Bulgaria – Romania. Tre aerei. 15 ore di pullman (e ci riserviamo di aggiungerne altre in futuro). 12 città e non sappiamo quante interazioni sociali con le persone in ognuna di esse. Noi che con la società vogliamo avere sempre meno a che fare. Ma per quei dieci giorni abbiamo fatto un’eccezione. Tutto solo per capire cosa significa “coesione”. E cosa questa parolina magica significhi per quelle città che identificheremmo come quelle dove “il Signore si è dimenticato le scarpe” (spesso sotto l’ombra dei grandi centri). D’altronde, l’UE non ha messo mani al portafogli per portarci in vacanza, ma per farci capire meglio come gira il mondo.

Sarà perché il tema più caldo a Messina è il Ponte sullo Stretto. Sarà perché i commenti di ogni articolo (anche non necessariamente sul Ponte) ci ricordano che a Messina non si parla di altro. Sarà perché anche prima di partire stavamo programmando un evento sul Ponte. Ma la prima correlazione con Messina che ci è venuta in mente al primissimo incontro con la popolazione della città di Komarno è stata proprio quella con la grande opera che potrebbe sorgere tra la Sicilia e la Calabria. Giuriamo che l’aver dovuto attraversare un ponte per passare da Komarno (SK) a Komarom (HU) la sera prima per andare alla Lidl a prendere una bottiglia d’acqua non ci ha influenzato.

Ed è proprio a quell’incontro, a un mercato alimentare che ci ricordava quello di Giostra, che una signora ci faceva notare come da un lato quel ponte fra la Slovacchia e l’Ungheria simboleggi unione, dall’altro divisione. Perché? Nonostante fossero a una distanza di poco meno di un km (e nonostante il nome fosse praticamente identico) quelle due città separate dal Danubio sono soggette a leggi terrene completamente diverse. Condizioni che spingono gli ungheresi ad attraversare quel fiume tutte le mattine per vendere frutta e verdura in quello che, anche se non sembra, è un Paese straniero. Ma è in luoghi come questi, sul filo del confine, che le diversità assumono un carattere inesistente. Amalgamando culture e tradizioni, ma anche visioni e prospettive. Un’unione che fa passare in secondo piano la lontananza dai centri più popolati, come Nove Zamky, che oltre alla sua storia (la più recente di distruzione a causa della guerra) ci ha lasciato una bottiglia di Tatratea regalata da un collega slovacco (che ringraziamo) che voleva mostrarci la sua città con altri occhi.

Komarno e Komarom condividono una storia, non sempre felice. Ma condividono anche speranze e pendolari. E la verità è che non è stato quel ponte a unirle. Beh, le ha avvicinate e ha reso più facile l’attraversamento, ma i nomi gridavano unità già da prima. E non è possibile fare un paragone fisico (per questo ci limitiamo a quello metaforico tra le due città) con il Ponte sullo Stretto (più lungo e quindi di gran lunga più mastodontico), che tutto farà tranne avvicinare Messina e Reggio Calabria, unite più da uno specchio d’acqua che da progetti ideologici. Un mare che le fa ammirare a vicenda a 3 km di distanza, nascondendo i difetti e lasciando agli occhi solo la fotografia più ampia di due città che, come quelle a 1000 km di distanza, hanno una storia (talvolta molto triste), una lingua e un dialetto spesso comuni che un paio di km d’acqua non possono allontanare e che un ponte non può avvicinare.

D’altronde, non solo i ponti fisici ma anche quelli metaforici sono il simbolo del Danubio e di tutte le città che sorgono sulle sue sponde. Città grate alla loro vicinanza all’acqua. Un amore che sa di dipendenza e, quasi, di tossicità: «Non saremmo quello che siamo senza il Danubio», ci siamo sentiti ripetere più volte, noi che col mare non ci parliamo neanche.

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