La casa all’italiana non è il rifugio, imbottito e guarnito, degli abitatori contro le durezze del clima come è delle abitazioni d’oltralpe ove la vita cerca, per lunghi mesi, riparo dalla natura inclemente: la casa all’italiana è come un luogo scelto da noi per godere in vita nostra, con lieta possessione, le bellezze che le nostre terre e i nostri cieli ci regalano in lunghe stagioni. Nella casa all’italiana non vi è grande distinzione fra esterno e interno. (…)  

Il suo disegno non discende dalle sole esigenze materiali del vivere, essa non è soltanto una “machine à habiter”. Il cosiddetto “comfort” non è nella casa all’italiana solo nella rispondenza delle cose alle necessità, ai bisogni, ai comodi della nostra vita e alla organizzazione dei servizi. Codesto suo “comfort” è qualcosa di superiore, esso è nel darci con l’architettura una misura per i nostri stessi pensieri, nel darci con la sua semplicità una salute per i nostri costumi, nel darci con la sua larga accoglienza il senso della vita confidente e numerosa, ed è infine, per quel suo facile e lieto e ornato aprirsi fuori e comunicare con la natura, nell’invito che la casa all’italiana offre al nostro spirito di recarsi in riposanti visioni di pace, nel che consiste nel vero senso della bella parola italiana, il CONFORTO.

Gio Ponti, “La casa all’italiana” tratto da Domus del 1928

 

I Virologi, le Autorità, i Social, gli Hastag, gli slogan concordano tutti su una cosa primaria e semplice da fare: prima benevolmente, poi autorevolmente poi via via in maniera sempre più imperativa dicono di restare a casa. Cosa sono le case? Macchine per abitare o luoghi dove gli umani possano conservare tutti gli oggetti di affezione? La casa è un bene sociale o un bene privato? Tutte le case sono a prova di esperimento? È uguale stare chiusi in case comode e belle o in case modeste, degradate o brutte. E chi non ha casa dove starà? 

Viviamo un passaggio introverso della società; accelerato e improvviso, imposto dal COVID-19 e che ha battuto qualsiasi previsione e precognizione letteraria e cinematografica. Le case da capanne originarie e ripari, da sollazzi e salotti devono diventare subito senza progettazioni o ristrutturazioni, gusci d’uovo, corazze di testuggine, rifugi dalla paura, fortilizi da cui resistere. Tutti a casa! Altro che famiglie allargate, siamo diventate tutte famiglie nucleari in cui i numeri sono ristretti al minimo e abbiamo espulso per cautela e quando possibile tutti gli anziani, si rialzano muri e si procede senza sharing sui beni materiali, altro che co-housing o co-working tra amici e sconosciuti, in pochi giorni di pochi mesi abbiamo abbattuto tutte le pratiche sociali studiate e teorizzate dal fior fiore di sociologi, economisti architetti e urbanisti,  quelle idee che erano presentate come il futuro luminoso. Oggi e domani non so cosa accadrà, ma adesso stiamo tutti separati -distanziati- senza troppo scambio e senza collaborazioni corporee.

 

Guy Debord, The Naked City, 1958.¢

 

Oggi ai tempi del Covid19 tutto si consuma in casa, rinchiusi nelle case. 

A casa, lì dobbiamo fare tutto: farle diventare uffici, luoghi dei sentimenti e paure, palestre e cinema, persino scuole, tanto che al mattino si incrociano i mezzibusti dei tv talk con i mezzibusti delle professoresse dei figli, prove di nuove piattaforme e di flussi di connessioni caricano i router domestici come fosse la raccolta dell’acqua potabile dopo la siccità. 

Gli unici legittimi avamposti della socialità distillata e distanziata diventano i famosi balconi d’Italia dove ancora si canta, si danza, si parlotta. Quando a gennaio arrivavano i video dalla città cinese di Wuhan, le preghiere e gli slogan di incoraggiamento e supporto e autoaiuto degli abitanti Non ci badavamo , quando gridavano “Jiayou” dalle finestre e balconi dei grattacieli di Wuhan, non li ascoltavamo perché siamo sempre fottutamente eurocentrici e distratti.  

Le pratiche umane di reazione alle emergenze sono come i virus dilagano e si ripetono con le variazioni di ceppo, dalla Cina sono arrivate in Italia, con i tricolori su palazzi e case diverse, sui balconi e affacci diversi, poi si riposizioneranno sulle balconate d’Europa o nelle verande delle sprawl americane: 

“Dall’interno la casa all’italiana riesce all’aperto con i suoi portici e le sue terrazze, con le pergole e le verande, con le logge ed i balconi, le altane e i belvederi, invenzioni tutte confortevolissime per l’abitazione serena e tanto italiane che in ogni lingua sono chiamate con nomi di qui.” Gio Ponti, (op.cit)

Balconi a ballatoio, a petto, a girare, balconi individuali e collettivi, a loggia come fosse una stanza senza la parete, a veranda con sbalzo verso il vuoto, la città o il panorama; i balconi chiusi dall’avanzata abusiva e poi sanata invece sono diventate trappole per famiglie senza sfoghi, le palazzine con le finestre quadrate e seriali contengono una sagoma umana alla volta, figure isolate e distanziate a più di un metro sulle facciate e non basta ora consolarsi con le Corbusier quando diceva “la finestra è un uomo”. 

Le voci nei cortili prima erano fastidiose ora, ancora per un po’, fino al conflitto imminente, saranno gli unici suoni plausibili dell’urbanità rinchiusa. 

In questi giorni in casa si mangia sempre uno snack e si fa sempre un break in un tempo con poche scansioni e troppo impastato di ingredienti per essere buono. Il presunto smart working spesso non è agile quanto due salti in soggiorno e due salti in padella, i tg, i bollettini, la conta dei morti dei vivi dei positivi e dei ricoverati; i conflitti video tra gli scienziati hanno sostituito i conflitti video tra i politici.

A casa consumiamo troppe news, sembriamo immersi nel loop del libro La mostra delle atrocità di Ballard, passivi o attivi alle notizie esperiamo cosa succede nel punto in cui si incontra il sistema dei media e il nostro sistema nevoso. 

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Ugo La Pietra, immersione “Caschi Sonori, 1968

 

Per il resto cerchiamo di vivere.

“Ma quindi chi invitiamo stasera? “

“Aggiungi uno Skype a tavola fai una call, scarica l’app dell’house party e prendiamo un aperitivo in otto”, 

 “Dai porta tutti quelli che vuoi!” 

Sì parenti, amici e vicini, anche quelli che non ti avevano mai salutato.”  

“Ok tranquillo, una roba easy, vieni vestito come vuoi e lei non deve andare dal parrucchiere, che ti frega resta in tuta wiifit…” 

 “Ma come mi collego? Ho casa in disordine… devo farmi una postazione degna…ma no aspetta ho risolto… sfoco lo sfondo.” 

 “Tira su la cam mi frizzi, dai riavvia…frigge l’immagine e friggi le cotolette tanto qui non arriva nemmeno l’odore.“ 

 “Ti prende male. Ma a chi? A me non prende male, anzi vedo bene.” – “No non avevo capito, dicevo a me prende male tutto questo…”

 “Si ma dai forza i giorni passano…- faremo una festa della liberazione dalla pandemia. “

 “Quando…? “

 “Non si sa ancora.”

La casa si è riempita di cavi, dispositivi e caricatori, inciampo sempre, ma come? Tutto era wireless ma i cavi ora mi strozzano le caviglie. Ho impastato tutto sul tavolo in un tempo bastardo e un tempo trans che sconfina incerto da mattina al pomeriggio fino alla notte, crackers e biscotti,  yogurt e tramezzini alle olive, il fascicolo dei disegni unito alla fetta di torta di mele che si è schiattata in copertina, la relazione sugli scarichi delle acque bianche è finita dentro il libro di cucina. 

Ok alle 12,00 basta facciamo un briefing in camera da pranzo. Altro che sala riunioni.

“Ragazzi qui c’è troppo casino, riorganizziamo la casa ma soprattutto riorganizziamo la testa, la scrivania del computer contiene troppa roba, ma chi cazzzz ha scaricato tutti sti giga di giochi…? Non mi gira più Archicad e devo disegnare ho una consegna telematica! “

– Facciamo il punto: l’armadio con i viveri sembra svaligiato dalla banda bassotti, la caffettiera non ha pace e Alexa, Siri e Hey Google intervengono troppo spesso, danno troppe sveglie, appuntamenti e indicazioni meteo che il sole brilla il mare è calmo mentre io non lo voglio sapere, non li seguo più, piu che assistenti vocali sembrano accanimenti vocali; sono solo 12 giorni di lavoro sdraiato e abbiamo già le rughe. Ma come non dovevamo diventare più belli, sani e allegri, avere cura del nostro corpo e sconfiggere il dominio del lavoro? Cazzo si, ma come si campa senza reddito e come si fa reddito stando a casa, tanti lavori non erano di prima necessità prima figurati adesso. Si ok ma fuori si potrebbe morire o far morire.”

 “Bisogna restare a casa e ripetere: andrà tutto bene!”

Guardi le incredibili offerte di solidarietà digitale, le banche dati di musei e biblioteche, le mostre e teatri online, quante cineteche free… e pensi che è arrivata l’età dell’oro poi ti inquieti perché sai che questi regalini vanno bene all’inizio ma poi tra un po’ paura e necessità, diventeranno duellanti. È un tempo di patteggiamenti nuovi, la paura farà patteggiare diritti e necessità, democrazia e desideri senza alleanze stabili, confidando extrema ratio forse nelle rivolte dei balconi e nella lotta di piano, pene alternative non se ne vedono. 

Le case che vivono, mentre le città si spengono, non sono possibili nella nostra idea di mondo, il repertorio immenso di istituzioni e infrastrutture dello scambio e del movimento sembrano nell’immaginario già ruderi, le reti e i cloud incombono luminosamente sopra le case come il profilattico dell’avvenire. 

Le case assoluto bene totale, hanno cristallizzato il mondo dell’era pandemica. Pochi scambi e molte isole nella città.  Sarà la differenza di piano, posizione e la dotazione di verande balconi e giardinetti (preferibilmente pensili) che potrà dare Conforto.

Il Conforto ci sbatte in faccia tutte le differenze sociali, lo schiaffo delle contraddizioni non farà tanto male a chi avrà mascherine FFP2 o FFP3 imbottite ed ergonomiche, perché se la faccia sarà coperta bene e in modo efficace di sicuro fino alla smentita, andrà tutto bene.  

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Guy Debord, The Naked City, 1958.

 

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Irene
Irene
24 Marzo 2020 15:16

Molto bello nel approccio empirico…oggi, mentre andavo a comprare il giornale, ho visto due ragazzi che si baciavano…che meraviglia la vita…

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[…] (Ky shkrim u botua në 21 mars 2020) […]