“Mi ha minacciato con un coltello, non so più che devo fare: aiutatemi”, con queste parole Marianna Manduca si rivolgeva alla procura di Caltagirone, poco prima di essere uccisa dal marito, Saverio Nolfo con sei coltellate al petto e all’addome il 4 ottobre del 2007 a Palgonia. Dodici denunce cadute nel vuoto fattesi particolarmente allarmanti negli ultimi sei mesi di vita – scrive Manuela Modica su Repubblica.it –  Quei sei mesi in cui i pm la ignorarono: “All’epoca la questione fu considerata alla stregua di una lite familiare”, commenta l’avvocato del padre adottivo dei figli di lei, Alfredo Galasso. La procura di Caltagirone (genericamente il capo della procura all’epoca dei fatti, oggi defunto) è stata riconosciuta responsabile da tre giudici messinesi: due donne e un uomo. Si tratta della presidente Caterina Mangano, Giovanna Bisignano e Mauro Mirenna, che hanno riconosciuto il danno patrimoniale condannando la Presidenza del consiglio dei ministri al risarcimento di 250 mila euro. Riconoscendo l’inerzia dei magistrati dopo una lunga trafila giudiziaria. L’azione legale di Carmelo Calì, lontano cugino della donna uccisa che ha oggi adottato i tre figli maschi (15, 13 e 12 anni) è iniziata 5 anni fa. Il processo infatti ha dovuto passare un giudizio di ammissibilità, richiesto nel caso di responsabilità dei magistrati. L’ammissibilità della richiesta era stata rifiutata dal tribunale di Messina, poi dalla corte d’Appello fino alla Cassazione che ha bocciato le corti messinesi. Solo dopo la sentenza della corte di Cassazione, dunque, che ha accolto la richiesta dei legali Alfredo Galasso e Licia D’Amico, il processo ha avuto inizio e il 7 giugno il tribunale di Messina ha depositato la sentenza riconoscendo la responsabilità negli ultimi sei mesi di vita di Marianna della magistratura. 

La donna aveva 35 anni quando fu uccisa da sei coltellate al petto e al torace sferrate dal marito Saverio Nolfo, all’epoca 37enne, adesso in carcere, condannato a vent’anni per l’omicidio. 

Lei era geometra e lavorava presso uno studio privato mentre lui era disoccupato e tossicodipendente. I giudici di Messina hanno riconosciuto il danno patrimoniale derivato dal fatto che i tre figli non hanno più goduto dello stipendio della madre: “Siamo parzialmente soddisfatti, ricorreremo in Appello: c’è un danno morale che a Messina non è stato riconosciuto soltanto perché all’epoca la legge sulla responsabilità della magistratura era diversa ma non è un caso che sia stata modificata e che non riguardi più soltanto la limitazione della libertà personale”, ha concluso Galasso.

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