MESSINA. Tutto pronto in vista del concerto di Luca Madonia, di domani, giovedì 15 febbraio 2024, a partire dalle ore 22.00, nel live club di via Croce Rossa numero 33. Il cantautore e musicista siciliano torna sul palco del Retronouveau, per raccontare in musica i suoi primi 40 anni: dai Denovo, alla carriera solista, passando dalle partecipazioni a Sanremo, inclusa quella del 2011, accompagnato dal maestro Franco Battiato, fino al suo ultimo disco “Stiamo tutti ben calmi”.

Nato e cresciuto alle pendici dell’Etna, ha avuto modo di respirare a pieno l’aria della Catania definita la Seattle siciliana, per il grande fermento e splendore artistico-musicale che l’animava, e di cui ha preso parte in prima persona. Muove le sue prime esperienze musicali in gruppi che si rifanno alla scena new wave inglese, per poi dar vita, nel 1982, insieme al fratello Gabriele, Toni carbone e Mario Venuti, all’ avventura con i Denovo. Un gruppo il cui sound, condizionato dai gusti dei componenti, ha il sapore di XTC e Police, ma anche dei Talking Heads e B-52s, e soprattutto dei Beatles, che rappresentano l’anello di congiunzione culturale più forte tra i quattro componenti. Un gruppo che propone alla scena musicale un diverso approccio nello scenario della nuova musica italiana post cantautoriale, attraversato da delle influenze pop, rock e punk anglosassoni, a cui aggiunge il colore ed il calore delle note mediterranee. In poco meno di un decennio di attività, quindi, animato da centinaia di concerti e consensi entusiasti di pubblico e critica, sono 4 gli album prodotti dal gruppo catanese, che a metà degli anni’80 è famosissimo sia in Sicilia che oltre lo Stretto. L’ ultimo loro lavoro, uscito nel 1989, intitolato “Venuti dalle Madonie a cercar carbone” giocando con i cognomi di tutti i membri del gruppo, viene prodotto direttamente da Franco Battiato, con cui Luca Madonia, da quel momento in poi, instaura un forte legame artistico, lavorativo e d’amicizia.

I Denovo, alfieri della new wave italiana, si sciolgono nel 1990. Così, Luca Madonia inizia la sua carriera solista da cantautore raffinato, incidendo, nel 1991, “Passioni e manie”, a cui seguiranno 10 album, tanti singoli, duetti e collaborazioni con vari artisti italiani, tra cui Patty Pravo e Gianni Morandi. Nel novembre 2022 esce, per l’appunto, il suo decimo disco, intitolato “Stiamo tutti ben calmi”. In chiave acustica, attraverso 11 suoi brani storici, più 3 inediti, il cantautore catanese festeggia i suoi primi 40 anni di carriera, auto-coverizzandosi, ripescando e riarrangiando le canzoni che ama di più, e che successivamente porterà live in tour per tutto lo stivale.

E così accadrà anche domani sera, sul palco del Retronouveau, dove l’artista catanese, oltre a cantare e suonare i suoi successi più grandi ed i pezzi a cui è più legato, accompagnato da Denis Marino ed Ambra Scamarda, vi lascerà sbriciare tra gli spartiti, si racconterà attraverso aneddoti e pezzi di vita, tra esperienze, riflessioni. Apertura porte ore 20.30, Opening Act Germano Da Gregorio, biglietti in vendita su Dice o al botteghino del locale fino ad esaurimento capienza.

 

Come è iniziato tutto, qual è stata la scintilla che ti ha portato a fare il musicista e cantautore?

La musica è sempre stata una mia passione sin da piccolissimo. Dagli 8 agli 11 anni ho studiato pianoforte, ero veramente un bimbo, però mi è servito tantissimo per avere le basi. Poi, appunto, passione per la musica da sempre, quindi strimpellavo qua e là, finché per una magica alchimia nell’ 82 c’ è stato quest’ incontro di noi quattro, Denovo, e da lì è partita la scintilla. Sono cose che non puoi programmare, però sono quelle magie per cui tu capisci che c’è qualcosa che vale la pena dire. Peraltro i primi anni ‘80 erano un momento anche un po’ buio, anche se c’era molto fermento in Sicilia. Soprattutto Catania era molto viva, e come cromosomi c’è sempre stata molta curiosità, però c’ erano poche opportunità, pochissimi posti dove suonare e noi ci vedevamo nel garage dei miei genitori. Ogni giorno, ci chiudevamo là dentro a suonare, eravamo veramente stacanovisti in questo, e provavamo e provavamo, per inventarci un nostro suono, un nostro mondo e così continuavamo a sognare. Perché ovviamente in quegli anni eravamo solo quattro ragazzini di Catania, in un periodo in cui tutta la musica era concentrata a Milano, o Roma. Era molto difficile per noi che stavamo lontani, però era una sorta di sfida e devo dire che insomma ci andata bene.

 

Tre canzoni tue, più una. Per capire chi è Luca Madonia.

È un po’ difficile rispondere perché ogni canzone mi ricorda momenti belli, ogni canzone ha avuto un suo perché, non solo nel suo tempo. Diciamo che, ridendo e scherzando, sono 42 anni di musica, per cui mi sono reso conto solo da poco, insomma, di avere attraversato la vita bellissima. “Non c’è nessuno” con i Denovo, che è stata la canzone che ci ha fatto capire che avremmo fatto questo mestiere, ed è il pezzo con cui abbiamo partecipato nell’ 87 a Sanremo Rock, ritrovandoci in mezzo a Paul Simon e ai Duran Duran. Per una band di ragazzini venuti da Catania in mezzo ai mostri sacri di allora era veramente un’esperienza fantastica. “Solo come pare a te” che è stato il primo singolo uscito appena ho lasciato il gruppo e per con cui mi sono inventato cantautore. Per la terza l’indecisione è tra “Io che non ho sognato mai” cantato con Morgan e “Non mi basta” dal mio ultimo disco. Avendo sempre amato i Beatles, amore che non ho mai nascosto, non posso fare altro, infine, che scegliere “For no one” dei Beatles.

 

“Stiamo tutti ben calmi” è il titolo del tuo ultimo album. Va letto sia come un’esortazione che come un consiglio per l’approccio ai brani del disco?

Proprio con l’uscita di questo disco mi sono accorto di aver attraversato 40 in musica, di aver quindi vissuto una vita bellissima realizzando il mio sogno. Ed ho riletto, a parte 3 inediti, le canzoni che maggiormente mi rappresentano e che continuo a suonare dal vivo, le canzoni che mi hanno accompagnato in tutta la mia vita musicale, ma in chiave acustica. Volevo andare un po’ per sottrazione, come per tirare fuori la melodia, il canto. E devo dire che è un esperimento che sto riproponendo dal vivo e che mi sta dando tante soddisfazioni, perché hai modo di parlare delle canzoni e di svecchiarle. I suoni forse invecchiano, ma le melodie, le canzoni no. Questo l’ho capito ultimamente. Ed il titolo ha una doppia valenza: una riferita appunto a questo semplificare i brani per renderli acustici, quindi dargli una nuova vita, quindi più calmi, e la seconda riferita alla società dato che viviamo in un mondo assolutamente isterico, dove non si è più in grado soprattutto di ascoltare, e dove dovremmo darci un po’ una regolata.

 

Anche tu come De Gregori, come Bob Dylan, credi che la canzone non sia una forma d’ arte immutabile e che, anzi, col tempo possa trasformarsi?

Ma si, assolutamente, tutto cambia ed è giusto così: la musica si deve evolvere. Puoi può piacere o non piacere, ma solo sperimentando e con la ricerca si può arrivare ad un buon risultato.

 

Battiato canta “non sopporto […] la new wave italiana” e poi produce un album dei Denovo, che hanno fatto e faranno sempre parte della new wave italiana. Com’è stato lavorare con il Maestro Franco Battiato?

È proprio questa la dimostrazione di quanto fosse trasversale, e fosse fantasticamente avanti. Non bisogna essere integralisti, anche con le proprie idee, l’importante è credere in qualcosa ma avere anche la capacità di sdrammatizzare e rimettersi in discussione. Ed il fatto che lui nel 98 ha prodotto il nostro ultimo disco ne è la prova lampante. Idem il fatto che lui sia venuto con me a Sanremo, a dimostrazione di come nella vita è fondamentale essere trasversali. Bisogna essere elastici e sdrammatizzare il ruolo del cantante. Noi eravamo abbastanza spaventati quando è nata l’idea di chiedergli di produrre il nostro disco, in un momento in cui volevamo cambiare mondo e sonorità. Invece, conoscendolo, ci siamo accorti che era una persona assolutamente alla mano, ironica, spiritosissima. Con lui parlavi veramente di tutto: dalle cose più banali ad argomenti che toccavano vette altissime. Era un grande ricercatore della spiritualità e dell’interiorità, ma era anche una persona semplice che amava divertirsi. E con lui spesso cercavamo, appunto, di sdrammatizzare il ruolo del cantante, oppure il cantante che si sente importante, il cantante che detta legge, che sono cose che ci hanno sempre fatto molto ridere. Da lì è nata un amicizia meravigliosa, 33 anni di amicizia pazzesca, con esperienze che vanno dalla musica con duetti, collaborazioni, viaggi, partenze, a banali colazioni e cene. Franco Battiato è stato un bellissimo regalo che la vita mi ha voluto fare. Non nascondo che mi manca veramente molto, perché era una persona unica.

 

Hai guardato Sanremo? Ghali con “Casa mia” ha portato sul palco una conversazione con un extraterrestre al quale cerca di spiegare come funziona o mal funziona il nostro mondo. Tu nel 2011, accompagnato da Franco Battiato, hai portato al Festival un brano intitolato “L’ Alieno”.

L’ho guardato un po’ per dovere professionale, un po’ per curiosità, non tutto perché è stato veramente chilometrico. Non mi sono dispiaciuti Diodato, Mahmood, Ghali, hanno un loro stile e sanno cantare. E poi veramente poca roba. Mi fa molto ridere quando la trasgressione, alla quale ci siamo appoggiati anche noi all’inizio, debba essere tradotta solo con un vestito un po’ strano. Noi la vivevamo con una musica nuova, un’innovazione. Vedi gente conciata in modo assurdo come trucco ect, e poi a livello armonico fanno una banalità assurda. Però c’ è spazio giustamente per tutti. La musica deve andare avanti e saper cambiare, e l’orecchio deve saper accettare le cose nuove per poi fare le scelte giuste. Convincere Franco Battiato a partecipare insieme al Festival di Sanremo, ed essere riuscito a calcare quel palco con lui, è stato fondamentale, è stato la chiusura di un cerchio. E si appena ho sentito il pezzo e capito dell’alieno, ho riso. Mi sono detto “guarda, ho anticipato i tempi!” Di Ghali, tra l’altro, avevo già sentito qualcosa dal vivo e mi era piaciuta. Ha una sua identità e per quello che dice mi sembra una persona molto intelligente.

 

Com’ è stato vivere la scena musicale degli anni ’80? La new wave dei Denovo era molto particolare: più ancorata ai suoni mediterranei che a quelli prettamente anglosassoni, che rapporto avevate con le altre band del panorama new wave italiano?

È stato un movimento bellissimo: il punk italiano si può definire. Un momento di rottura. La new wave ha fatto un po’ da spartiacque tra la vecchia guardia e la nuova, ma eravamo amicissimi. Mi ricordo tour lunghissimi insieme ai Litfiba, insieme agli Avion Travel e tanti altri gruppi di quel periodo. È stato tutto veramente molto, molto, bello. E sentivamo questa sorta di responsabilità di presentare cose nuove, di cercare di svecchiare, di cambiare. Noi eravamo più solari di altri gruppi, i Litfiba ad esempio erano più dark. Arbore, nel suo programma “Quelli della notte”, ci aveva definiti il rock dell’agrumeto. perché eravamo solari pur amando gruppi geniali come i Talking Heads ed altri. Messina, nell’ 85-86, è stata la nostra prima tappa dove abbiamo capito che stava cambiando qualcosa: dopo aver provato andammo a mangiare un panino in centro, e tornando c’era una gran fila di macchine. Inizialmente pensavamo che saremmo arrivati tardi al concerto, ma poi ci siamo resi conto che quella fila di macchine era per noi. Era tutta gente che stava venendo al nostro concerto. E lì abbiamo capito che stava cambiando qualcosa.

 

Secondo te come mai la Sicilia ha un così forte attaccamento alle sonorità new wave e post punk?

È stato un periodo molto bello e forte, e quelle sonorità ci hanno dato la spinta per partire. Ed è stato anche una specie di riscatto quando poi ci siamo accorti del nostro successo: avevamo tutta la Sicilia dietro. Per cui forse è un attaccamento un po’ romantico per una musica che è servita molto a tutto quello che è venuto dopo. Adesso c’ è più distrazione, una volta eravamo più carbonari, ci creavamo le cose sul palco, ci facevamo le ossa lì. Mi ricordo concerti con poche persone, e poi pian piano sempre di più. Credo sia una sorta di romanticismo che è un po’ rimasto, adesso c’ è il rap, la trap, e con internet la localizzazione si scavalca. Invece era bello quando una terra aveva da raccontare tante cose, in quegli anni era così. Credo che l’attaccamento nasca da questo retaggio.

 

Oltre Franco Battiato, i Denovo, la tua carriera da solista, quella di Mario Venuti, mi vengono in mente Carmen Consoli, Cesare Basile, Uzeda, Kaballà e molti altri. Tutti artisti usciti dalla città di Catania. Com’ era quella Catania? L’ energia dell’Etna ha influito?

L’ Etna, il mare, i fiori, si può dire quello che si vuole, però la realtà è che Catania è sempre stata una città viva. E Catania pur non avendo allora, nei primi anni ’80, i luoghi ed i posti, non come ora che ne trovi a centinaia, covava qualcosa. C’era molto teatro, c’era il rock, il rockabilly, la new wave, la musica più estrema, perché è sempre stata viva. Ricordo che ne parlavamo una volta con Arbore, di come lui fosse un sostenitore della provincia. A volte uno era convito che solo Roma e Milano fossero deputate a creare, ma non è vero. Prova ne è stata quanti grandi artisti sono nati dalla Puglia, dal Salento, dalla Campania, dalla Sicilia. E questo perché la provincia italiana ha una grande forza, ed io ne sono un grande fautore. E la Sicilia, Catania, Palermo, ma anche Messina, hanno sempre avuto molta vitalità artistica nel DNA. Poi il momento storico aiuta più o meno a far sì che esca fuori qualcosa di nuovo, però bisogna sempre insistere. Questo è un invito che faccio ai ragazzi di adesso: insistere, crederci, non tradire mai la propria identità per inseguire chimere, per inseguire il passaggio in radio che poi alla fine non serve a niente. Conta rimanere, avere un’impronta, avere uno stile.

 

Segui l’attuale scena Siciliana ed italiana? Com’ è cambiata la musica in questi anni?

Non seguo tantissimo, ma Colapesce e Dimartino mi piacciono. Con loro ed altri artisti siciliani, Carmen Consoli, Mario Incudine e Caccamo, a Verona, ho preso parte ad un omaggio a Franco Battiato cantando “Centro di gravità”. Ed è stato veramente un bel momento. Ci sono sempre delle cose nuove, belle, valide, perché ripeto la Sicilia è viva, è attenta e riesce ad andare avanti. E mi auguro possa essere sempre così. Per il resto prima c’era un po’ più di ricerca, adesso c’ è un po’ troppa omologazione. Poi c’è roba che non ha tempo, come gli Idles, che seguo perché sono divertenti, son pazzi.

 

Cosa succederà giovedì sera al Retronuoveau in occasione del tuo concerto?

Questa data è stata decisa un po’ all’improvviso e sono veramente molto contento dell’invito di Davide Patania. Mi fa sempre un enorme piacere suonare al Retronoiveau. Siamo in acustico. Siamo un trio, praticamente una famiglia: Ambra Scamarda al basso, bassista bravissima con cui collaboro da dieci anni, Denis Marino alla chitarra, che ha l’etichetta Musica Lavica per cui incido, ed io alla chitarra canto, racconto aneddoti e presento brani che facevo con i Denovo ma rivisti. Anche il concerto andrà un po’ per sottrazione, ma sottrazione di suoni, non di ricordi, di umore e romanticismo. Sono molto legato ai miei trascorsi perché tutto fa parte della mia storia. Gli anni con i Denovo sono stati bellissimi, ma ci sono anche quelli da solista. Non ho mai rinnegato il passato, fa tutto parte della mia storia, ed in questo live ci sarà tutta la mia storia.

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