MESSINA. Nella nottata che ha visto la seconda vittoria di Renato Accorinti nel giro di quasi quattro anni, un ruolo da protagonista, in negativo, se l’è ritagliato il Pd. Quattro consiglieri, due votazioni diverse sulla mozione di sfiducia: favorevole quella della capogruppo Antonella Russo, contrari quelli di Claudio Cardile, Gaetano Gennaro e Pietro Iannello.
A tentare di mettere una pezza alla situazione, c ha pensato il commissario Ernesto Carbone, che da un anno e mezzo regge le sorti del partito a Messina. “E’ un’occasione sprecata quella di ieri per il futuro di Messina. E dispiace ancor di più che a sciupare questa opportunità abbiano concorso anche tre consiglieri iscritti al gruppo del mio partito“, spiega il commissario del Pd a Messina. “Rivendico con forza il ruolo di opposizione che il Pd sta svolgendo e ha svolto in questi anni – continua – contro il vuoto messo in campo dal sindaco Accorinti e dalla sua giunta. Avevamo il dovere di andare fino in fondo. Lo dovevamo ai cittadini messinesi prima ancora che alla parola data e più volte espressa in questi anni: mai con Accorinti e gli uomini di Francantonio Genovese. Il voto di ieri – conclude Carbone – ci consegna un’altra storia. La politica è serietà. Che nessuno lo dimentichi”.
Un comunicato dai toni belligeranti che si scontra, però, con la realtà di un partito che si appresta ad andare a congresso, frammentato e diviso al suo interno. Comprensibilmente, Carbone con Genovese ha il dente avvelenato, per aver decimato le file democratiche portandosi via due terzi dei consiglieri eletti tra lista principale e “satelliti” nel 2013, e il fatto che a salvare Accorinti sia stata l’astensione dei genovesiani, che quindi restano l’ago della bilancia, non gli va giù.
Se domenica come sembra certo Matteo Renzi si dimetterà da segretario nazionale, il congresso straordinario di Messina sarà accorpato al nazionale. In una circolare di ottobre 2016 il vicesegretario Lorenzo Guerini aveva imposto per Messina (e le sezioni commisariate) per la fine di febbraio, e sarebbero state in corsa solo le mozioni “locali”. Le dimissioni di Renzi metteranno a confronto invece le mozioni nazionali, che rispondono più a criteri d’appartenenza che di contenuti. Per questo sarà difficile trovare un’unitarietà.