MESSINA. In un mondo normale, il 18 aprile si sarebbe fermata l’intera regione. Paradossi della vita, l’indipendentismo basco esaltato nell’ultimo atto della competizione dedicata ai sovrani di Spagna. Real Sociedad-Athletic Bilbao, finale di Coppa del Rey e derby dai mille risvolti, era l’appuntamento con la storia in programma a Siviglia, a cui nessuno sarebbe mancato. Centinaia di migliaia, biglietto in mano, erano pronti a raggiungere l’Andalusia. Treni, aerei, pullman: i tifosi avrebbero fatto festa all’ombra della Giralda, brindato e affidato al cielo sogni troppo grandi per essere custoditi nei 110 metri di un campo da calcio. Questione di politica, cultura ed economia.

“Non si parlava di altro da settimane. Il mio coinquilino aveva acquistato i tagliandi quando ancora si dovevano giocare diversi turni eliminatori”, spiega Caterina Raffone, 28 anni, messinese trapiantata a San Sebastian, Spagna. Ma guai a dirlo ad alta voce. Poi è arrivato il Coronavirus.  “Ha perso i soldi, compresi quelli spesi per prenotare alberghi e mezzi di trasporto”. Lei, ricercatrice nelle fosse comuni, impegnata a dare un nome ai morti della guerra civile, la vicenda l’ha vissuta da vicino: “La passione ti travolge e anche se lo sport non ti interessa, ti ritrovi coinvolto”.

 

 

Parla alla webcam e una sciarpa biancoazzurra si intravede alle sue spalle. Messaggi subliminali. I Paesi Baschi li ha scoperti grazie all’Erasmus, tappa ultima di un percorso cominciato in riva allo Stretto e proseguito nelle università dell’Emilia Romagna. “Mi si è prospettata l’opportunità di tornare per lavorare, non ho esitato un secondo”.

Adesso, come tutti, è in lockdown. “Possiamo uscire una volta a settimana, un componente per famiglia, a fare la spesa. Sono aperti solo supermercati e farmacie. Da una settimana qualche fabbrica ha rialzato le saracinesche”. Il peggio sembra passato, ma la strada per la normalità resta lunga: “La curva dei contagi si sta abbassando e la morsa dovrebbe terminare il 26. In realtà, si va verso una proroga delle chiusure almeno fino a metà maggio. A scuola, invece, non si tornerà prima di settembre e anche quelle date, attualmente sono in bilico”.

L’uragano non ha risparmiato nessuno e lo smartworking è diventato un’esigenza: “Da casa mi dedico alla parte più accademica, come la redazione di report, articoli e questionari. È sospesa, invece, l’attività in laboratorio e, soprattutto quella inerente scavi e riesumazione”.

L’importante è non stare con le mani in mano: “Tramite l’università presso cui lavoro siamo stati contattati per provare a creare un tampone alternativo. I test per rintracciare i positivi al Coronavirus scarseggiano pure qui, così ci hanno chiesto aiuto. Ci siamo tuffati a capofitto nel progetto e, in tempi di record ce l’abbiamo fatta”. Ma di cosa si tratta? “Era come se avessimo un prodotto finito e lo dovessimo smembrare e ricomporre, affinché poi fossimo in grado di riprodurlo in autonomia”.

Suddivisione dei compiti e cura del dettaglio: “Un gruppo, di cui faccio parte anche io ha lavorato alla stesura del protocollo e a Bilbao hanno curato la fase di sperimentazione”. Pochi giorni fa la notizia più bella. “Da Madrid è arrivata l’approvazione, adesso potremmo fare i nostri test”. L’aumento sarà tangibile e nei Paesi Baschi si passerà dai 1500 tamponi giornalieri a oltre 10mila.

Un successo per l’intera comunità, frutto di passione e dedizione: “Abbiamo fatto tutto da volontari, senza percepire un euro. Non ci interessa, sappiamo di essere stati utili alla gente, magari salveremo qualche vita, e niente vale tanto”.

Parole da scolpire in testa, da insegnare ai bambini. Il tono di Caterina cambia in fretta: “Non fraintendiamoci. La situazione odierna è drammatica, ma deve servire da lezione. Bisogna investire in modo massiccio sulla ricerca, capire che dalla salute non si prescinde. Non ci si può ricordare di scienziati, medici e studiosi soltanto in simili frangenti, altrimenti se i tagli si fanno esclusivamente a ospedali e laboratori, i risultati sono questi”.

Un messaggio chiaro, a cui è difficile dare torto: “Penso a chi ha perso il posto di lavoro e mi sento fortunata. Il mio contratto scadrà il 30 aprile. Ne avrò uno nuovo, è pronto, ma non posso firmarlo perché gli uffici competenti al momento sono chiusi”.

Incidenti di percorso, imprevisti da mettere in conto al tempo del Coronavirus.

 

 

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