C’era una volta la gabbia con l’uccello. Pietra miliare dell’immaginario del siciliano in partenza. Andare altrove portando con sé metà dell’isola come si avesse per meta il deserto. Quando con l’Unità d’Italia sono iniziati i flussi migratori dei siciliani, subito è nata la caricatura del viaggiatore siculo. Iniziare una vita altrove senza guardarsi più indietro era ed è una scelta forse impossibile per degli isolani. Così che l’immagine della gabbia, la jaggia, è la perfetta rappresentazione di dove davvero si trovi il siciliano. Una gabbia (o una trappola?) fatta di sapori, odori e colori, dalla quale non esce neanche in Australia. Sono la scia di casa, quel legame impossibile da spezzare.

Non è un caso che all’Aeroporto di Catania gli addetti ai controlli abbiano assistito a scene tragicomiche che renderebbero felice qualsiasi narratore. Se una volta, infatti, la fotografia era di enormi valigie su cui adagiare l’uccellino e la sua reticolata dimora. Adesso il fermo immagine più narrativo è lì, ai controlli prima dell’imbarco. Un passaggio pieno di suspense per chi lascia l’isola: mi faranno passare i cannoli? Pochi minuti di puro terrore seguiti da un impazzimento neuronale utile a scovare l’escamotage per evitare l’abbandono “biliare” del prezioso cibo nei bidoni di Fontanarossa. Il modo migliore per trasportarli, perché si mantengano, è portarli “scomposti” (da non intendere in linguaggio gourmet, per carità…). Qualunque siciliano lo sa, e le pasticcerie si premurano del packaging adatto al trasporto. La ricotta in un contenitore e le cialde in un altro. Una separazione blasfema, ma temporanea, in nome del sapore da ricomporre in quell’altrove, per avvertire meno la mancanza di questo triangolo di mondo.

Operazione però che dall’11 settembre in poi ha dilaniato il fegato siculo. La ricotta in quel modo non può passare i controlli. L’unico modo per portare con sé quel pezzo d’isola in cui è ingabbiata l’anima è trasportarli “composti”. Per questo quel passaggio verso i Gate in Sicilia diventa a tratti – spesso – un laboratorio di una qualunque pasticceria: “Abbiamo spiegato loro che l’unico modo per portare con sé la ricotta era di distribuirla nelle cialde e si sono messi pazientemente a riempire i cannoli”, racconta un’addetta ai controlli. Lì sul tavolo bianco dei “guardiani” che sanciscono l’addio alla Sicilia, nel quinto scalo d’Italia, tra i passeggeri di tutto il mondo, siciliani chini alle prese col riempimento dei cannoli. È questa la fotografia che racconta tutto. Che racconta come il terrorismo islamico abbia colpito anche la pancia del siciliano emigrato. Impossibile, per esempio, trasportare l’olio. Si consideri d’altronde che solitamente l’abitante di quest’isola la abbandona, anche fosse per qualche giorno, con la convinzione, quanto più lontana dal dubbio, che lì dove si atterrerà non ci siano le condizioni biologiche di base per alimentarsi (e in qualche caso, vedi l’Inghilterra, neanche tanto a torto). Di certo raro è quell’altrove che possa pareggiare l’incredibile varietà di pietanze.

Se si riesce, pur sempre a fatica, a rinunciare al cannolo, non manca, infatti, una diversa – olimpionica – scelta di cibo alla quale attingere. Sebbene, bisogna dirlo, monotematici pare siano i messinesi, i fuorisede dello Stretto che popolano Milano, Torino, Roma, Bologna ma anche Parigi, Bruxelles, Londra, Dublino e così via, non mangiano, infatti, cibo surgelato che non venga dallo Stretto. Sarebbe impossibile trovare lo spazio dove metterlo,  dal momento che aprendo il freezer di un messinese emigrato ci si trova di fronte al santuario delle braciole. Dedicato con assoluta devozione a questo arrotolato alimento.

L’immagine del “vado via ma portandomi tutto quello che posso”, tuttavia, regala umidità alla retina.

Siamo costretti a una lacerazione senza appello. E l’atto del riempimento del cannolo all’Aeroporto è a un tempo comico e commovente. È quello a cui siamo costretti non certo dal destino: il gusto siculo è impareggiabile, le opportunità, il lavoro ci sono invece aliene e risiedono solo in quell’altrove.

Scegliamo quale pietanza trasportare lì dove non abbiamo scelto di andare. Ci andiamo perché costretti da una politica che s’è abbuffata dei nostri disagi, garantendo il lusso di vivere in quest’isola solo per sè. Mentre l’opinione pubblica ammorbidita dai “favori” ha permesso che succedesse. Relegando il disagio nei quartieri, archiviandolo al più come fastidiosa limitante realtà. Accontentandosi, perfino con schizzinosità, di correre mendicanti verso le briciole dell’esistenza. Noi, non altri, abbiamo lasciato, non scegliendo nulla, che la popolazione si riducesse, mentre ci siamo adagiati in pose negazioniste. Come amiamo crogiolarci nelle foto al mare in autunno, nell’incanto televisivo di Montalbano: com’è bello vivere come il commissario, cioè in Sicilia. Peccato sia il lusso di pochi. La disperazione di molti.

Peccato quelle foto al mare siano la tortura social per i nostri familiari altrove, perfino costretti a non tornare o a svenarsi per un volo aereo, per goderne anche loro di tanto in tanto.

“Bar del sud” sto arrivando”, scrive spesso su Facebook la nostra Linda Chirieleison quando annuncia il suo arrivo sullo Stretto. Un gelato a Messina costa almeno 300 euro di biglietto aereo. Non s’era mai visto forse nella Storia un popolo così povero al quale spillare così tanti soldi ad ogni occasione. Perché non è il costo del volo il problema, ma sia che si resti o si vada via, lo è nascere in un territorio “scomposto” al suo interno, mai unito per una richiesta comune dei propri diritti. E bisognerebbe finalmente trovare il modo di ricomporre i pezzi, non in un ingresso al Gate, non i pezzi di un cannolo, ma quelli di una comune consapevolezza. Perché quel che subiamo non è un destino avverso ma il risultato del  nostro disimpegno. Perché finché non verrà ricomposta la spaccatura tra l’altrove e il qui,  il vero costo troppo alto resterà nascere in Sicilia.

 

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linda
linda
13 Marzo 2017 14:42

Costa anche di più quel gelato 🙂

Daniele
Daniele
29 Agosto 2022 8:07

Complimenti per l’articolo, rispecchia pienamente questa triste realtà