“BEH, PER STAMPARE IL GIORNALE del collettivo si potrebbe chiedere il ciclostile al compagno anarchico Gaetano Zurzolo”: solo per questa frase, lo scrivo senza mezzi termini, chiederei al sindaco di Messina, Renato Accorinti, di nominare Tonino Cafeo assessore. Perché Tonino, che in tutto questo tempo è mutato solo perché ha tagliato la barba, già ventisette anni fa era un ponte: un ponte tra la contemporaneità, tra ciò che stava accadendo, e un mondo che in parte non aveva mai vissuto (se non nei racconti delle sezioni di partito o da spettatore-bambino) eppure sentiva (e sente) con la forza che solo l’ottimismo della volontà regala a chi vuole ignorare il pessimismo della ragione.

Era il 1990, il movimento dell’epoca era “La Pantera” (detto anche Movanta), il “nemico da abbattere”, invece, il ministro Ruberti e io, per varie circostanze, mi ritrovai nella prima minoranza della mia vita: si chiamava “Uscita di Sicurezza” (in omaggio a Silone, scelta non casuale) ed era un collettivo che aveva deciso di prendere le distanze dal “patto scellerato” tra comunisti e fascisti per l’occupazione della facoltà di Lettere, un accordo siglato negli ambienti della non più esistente libreria “La Piramide”. Tonino, che all’epoca non era ancora un gucciniano “eterno studente”, in realtà aveva commesso uno “strappo” alla regola, prendendo una decisione contraria a quanto disposto dal Partito. Ventisette anni fa, però, non aveva scoperto la leggerezza che, oggi, punteggia la sua bacheca Facebook, e le sue domande tipo a chi non conosceva erano: “Ma tu chi preferisci, Hegel o Marx?”.

Col passare del tempo, Tonino Cafeo ha quasi sempre mangiato il sale della sconfitta e anche quando si trattava di vittorie (a livello nazionale o locale), alla gioia si sostituiva sempre l’occhio severo dell’inflessibile osservatore di sinistra, attento a spaccare il capello in quattro e quasi ansioso di inseguire una infelicità che, vista dalla sua angolazione, era la felice prassi di una politica che non perdonava niente a nessuno.

Così è andata fino al giugno del 2013, quando il Nostro ha finalmente vinto, entrando a Palazzo Zanca con il “suo” sindaco Renato Accorinti. In altre circostanze (che magari rinnegherebbe), in verità, aveva parimenti esultato davanti al Municipio (le elezioni di Franco Providenti e di Francantonio Genovese), ma quattro anni fa è stato diverso: della vittoria del primo cittadino scalzo, infatti, si sentiva partecipe e costruttore sin dalle fondamenta. Ed è così, proprio per questo, che Cafeo ha cambiato approccio.

Dal 2013, più fedele di uno stalinista che inneggia a “Baffone” per sincera fedeltà e non per paura di finire ad abitare nelle case sul canale Moscova-Volga, Tonino Cafeo non ha avuto più dubbi, ma solo la certezza che l’amministrazione doveva, e deve, essere difesa fino in fondo, sempre e comunque. Perché è un’occasione che va sfruttata e replicata a tutti i costi. Perché, per una volta, si è al governo con un programma che si sente proprio e con persone che, anche se non scelte direttamente e spesso neanche conosciute, sono sicuramente quelle giuste. Perché è un sogno che si avvera: e i sogni sono belli, pure se non hanno soldi.

In quattro anni quattro, Tonino Cafeo, dalla sua trincea di Facebook, ha impallinato chiunque fosse visto anche solo velatamente come detrattore, ha difeso con veemenza le posizioni dell’amministrazione e del suo sindaco, ha silenziosamente ingoiato rospi, non ha avuto scrupoli a rompere amicizie decennali e anche a finire in Tribunale come autore di una querela. Insomma, dal 2013 a oggi, Tonino, l’eterno omone della sinistra messinese, ha preso tanto fango in faccia (e in bacheca) quanto è stato il suo impegno “dal basso”.

In un mondo giusto, in politica, nei partiti o movimenti che siano, tanto impegno ed energie, senza nulla chiedere in cambio, dovrebbero essere premiati, riconosciuti. Invece no: in quattro anni, il nome di Tonino Cafeo non è stato in predicato neanche per uno strapuntino, una poltroncina, un sottogoverno (anche non remunerato) che traducessero in designazione il “grazie per ciò che fai” che gli sarebbe dovuto.

Ecco, in tutta franchezza, tutto ciò dà l’esatta misura del livello di distrazione che, talvolta, muove chi abita Palazzo Zanca. Ed è per questo che mi sento di gridare, con tutto il cuore, anche se lui sicuramente non sarà d’accordo, “Premiate il soldato Cafeo!”.

A MARGINE

Dopo una giornata trascorsa a leggere i commenti più improbabili, dalle accuse di “trollaggio” a fantomatici complotti, da presunte sgrammaticature a infelici ironie, mi preme precisare un paio di cose e colmare una mancanza che, in effetti, c’è:

  1. Questo è un blog, si trova nella sezione “blog” di Letteraemme e contiene riflessioni personali di chi le firma: aprendo la pagina, si dovrebbe evincere chiaramente, ma mi sto rendendo conto che è necessario mettere sempre le didascalie; il contenuto di un blog non è un articolo di cronaca, la differenza è sostanziale e chi non la coglie o fa finta di ignorare che non si tratti di un pezzo o è distratto o in malafede. Oppure, semplicemente, non è abituato a leggere i giornali.
  2. Mi dispiace per coloro che ravvisano, nel testo, chissà quale insulto per Tonino Cafeo: lo conosco da quasi trent’anni e, francamente, non riuscirei a raccontarlo diversamente.
  3. Mi rendo conto che, proprio perché lo conosco, ho dato tanto per scontato, omettendo l’ulteriore motivazione che sta alla base del mio scritto: Tonino è una persona curiosa, divoratrice di libri e di musica, assolutamente lontano, per indole e per crescita, da posizioni preconcette. Tonino, anche se ufficialmente non lo ammetterà mai, è persona che rimugina sulle cose, le analizza e trae le sue conclusioni al di là di dogmi. Io, a una persona così, da anni in prima linea, darei un ruolo di responsabilità e, non è peccato, anche remunerato. Perché è bello lavorare dal basso, ma non vedo il perché chi nasce fante debba restare tale: oppure, in politica, la società è bloccata?
  4. Per il resto, ribadisco il mio pensiero: ritengo questo (e altri casi) un errore politico della giunta Accorinti. Se poi questo pensiero è blasfemia, francamente, non me ne cale.
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