MESSINA. Interrompere volontariamente una gravidanza in una struttura pubblica a Messina? È sempre più difficile, perché il 97% dei ginecologi in servizio a Policlinico e Papardo ricorrono all’obiezione di coscienza. Tredici su tredici all’ospedale della zona nord, e ventidue su ventitré al nosocomio universitario: numeri in crescita repentina persino rispetto alla già non rosea situazione di tre anni fa, in cui la percentuale di obiettori oscillava tra l’80 e l’88%.

Nei reparti, però, prendendo in considerazione il Policlinico, l’appello alla coscienza per motivi etici o religiosi è altissima tra i dirigenti medici (e ricercatori), resta pressochè simile quando si passa agli specializzandi (l’unica eccezione è una specializzanda del terzo anno), per poi scendere tra le ostetriche e gli ostetrici, ma soprattutto tra il personale infermieristico, più di metà del quale, nel reparto di Ginecologia e Ostetricia, non ricorre all’obiezione.

Sono infatti “solo” 10 su 21 gli operatori sanitari della struttura ospedaliera che si sono “appellati alla coscienza” per motivi etici o religiosi, opponendosi all’applicazione della legge 194 sull’aborto. Un numero che stride con l’altissima percentuale di obiettori fra i dirigenti medici (22 su 23) e i medici in formazione specialistica (16 su 17), mentre nel personale ostetrico si registrano ben 17 obiettori su 21 (le non obiettrici sono tutte donne).

Clicca sul grafico per visualizzare le singole unità

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A cosa si deve una tale discrepanza? A fornire una possibile spiegazione è stato nei giorni scorsi il deputato regionale del M5s Antonio De Luca, autore di un accesso agli atti per conoscere il numero dei medici obiettori in città e in provincia.

Oltre alle motivazioni etiche, ideologiche o religiose (che dati alla mano stranamente incidono molto meno nel personale infermieristico), a influire sulle percentuali “bulgare” fra i medici obiettori in città, secondo il pentastellato, sarebbe anche la carenza di personale. «La ristrettezza del numero di medici presenti nelle strutture, diminuiti rispetto al passato, ha probabilmente determinato un carico di lavoro maggiore su chi non è obiettore, rallentandone, se non addirittura impedendone, la crescita professionale», spiega.

In pratica, la scelta di molti medici di optare per l’obiezione potrebbe non aver nulla a che fare con la coscienza, ma sarebbe dettata in molti casi da questioni più “profane” proprio per evitare di ritrovarsi a praticare quasi esclusivamente aborti, considerato il numero costante delle interruzioni di gravidanza e la sempre minore disponibilità di personale.

Tutto questo a scapito dei pochi medici non obiettori, ridotti loro malgrado a lavorare come delle “macchine da aborto”, e soprattutto delle tante cittadine che per esercitare un loro diritto sono spesso costrette a spostarsi in provincia o a rivolgersi a strutture private.

Ed è qui che si apre un altro fronte, dato che al momento non esistono dati per conoscere a quanto ammonta la percentuale di obiettori nelle cliniche e quanti sono (se ci sono) i medici che praticano l’aborto negli studi privati malgrado negli ospedali pubblici si siano appellati alla coscienza.

 

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