MESSINA.  La legge esiste. È in vigore dal 1978 e sancisce un diritto. Ma esercitarlo è sempre più difficile. Perché si scontra con un altro diritto, quello del ginecologo o dell’anestetista che di fronte a una richiesta di interruzione di gravidanza oppone motivi etici. O religiosi. O “di comodo”. Rendendo l’aborto sempre più difficile. A partire da Messina.

Al Papardo sono 16 su 18, ovvero l’88%, mentre al Policlinico la percentuale è dell’80%, con 16 specialisti su 20. I numeri dei medici messinesi che si sono “appellati alla coscienza”, opponendosi all’applicazione della legge sull’aborto, raggiungono nella città dello Stretto percentuali bulgare, con  la quasi totalità dei ginecologi (193 iscritti all’albo provinciale) che si dichiara obiettore. Dati perfettamente in linea con le percentuali del resto dell’isola, che con l’87,6 per cento si piazza al quinto posto in Italia fra le regioni con più obiettori, preceduta solo da Molise (93,30), Trentino (92,9) e Basilicata (90,2).

Un dato che, unitamente alla mancata somministrazione in città della Ru-486, la “pillola abortiva”, potrebbe contribuire ad alimentare i sempre più frequenti casi di aborti clandestini o in cliniche private.  L’ultimo dei quali ha coinvolto l’ex consigliere comunale Giovanni Cocivera,  condannato a sei anni e sei mesi per aver convinto delle donne ad effettuare interventi di interruzione di gravidanza in uno studio privato e a pagamento. Cocivera non era un obiettore, ma ha inoltrato la richiesta per diventarlo poco dopo il suo arresto, lo scorso giugno.

«Le percentuali degli obiettori in città – conferma il Direttore Generale del Papardo Michele Vullo  – sono altissime. Per questo è necessario tutelare i non obiettori per evitare di farli diventare delle “macchine da aborto”. La maggior parte dei ginecologi lo fa per questioni etiche e religiose ma purtroppo è sempre più alto il numero di chi lo fa per motivi opportunistici, come dimostrano i recenti casi di cronaca”.

Ma come può fare una donna gravida a sapere a quali medici rivolgersi? Un elenco ufficiale dei medici obiettori non esiste. Non lo ha l’Ordine dei Medici e neanche l’Asp. “Non è di nostra competenza”, è la risposta. “Di norma – spiega Vullo – i contatti avvengono tramite i consultori. Oppure è lo stesso ospedale a indirizzare le donne al medico specifico. In caso di obiezione di coscienza è lo stesso medico a comunicare la sua scelta all’amministrazione, che a sua volta lo comunica al primario”.

“Nel 2016, al Policlinico – racconta il primario di ginecologia Onofrio Triolo –  ci sono stati circa 300 aborti. Malgrado l’alta percentuale di obiettori, che devono sottoscrivere una dichiarazione che viene poi inoltrata alla direzione sanitaria, riusciamo a soddisfare tutte le richieste e a svolgere regolarmente il servizio, anche se ciò comporta qualche sforzo in più dei nostri medici. Abbiamo un giorno settimanale dedicato a questi casi, in cui si fanno tutti gli accertamenti e gli interventi del caso secondo una procedura depositata, offrendo assistenza e controlli anche dopo l’interruzione della gravidanza”. 

Un’altra questione legata all’aborto è quella della cosiddetta pillola abortiva, la Ru486. Si tratta della possibilità di ricorrere ad un aborto farmacologico senza intervento chirurgico e nel rispetto della legge 194. La Ru486, nome commerciale del farmaco Mifegyne (Mifeprostone), è arrivata in Italia nel 2009 (dopo anni di rimandi e polemiche) ma a Messina non la somministra ancora nessuno

“Su mia esplicita richiesta – spiega Vullo – abbiamo già avviato le procedure per introdurre la Ru a breve. La pillola può essere assunta entro la settima settimana di gravidanza e permette degli aborti  meno dolorosi e invasivi di quello chirurgici. A Messina non la somministra ancora nessuno, e ciò non fa che alimentare la clandestinità. In Italia entrano ogni anno tonnellate di droga, figuriamoci se non si riesce a procurarsi una pillola che è acquistabile su Internet. Purtroppo regna ancora tanta ipocrisia. Non bisogna avere riserve ideologiche o far finta di non sapere, tanto il fenomeno non sparisce”.

“Uno dei motivi per il quale non somministriamo la pillola – racconta invece Triolo – è dovuto al protocollo adottato dalla Regione Siciliana, che prevede 3 giorni di ricovero per le pazienti con conseguente raschiamento qualora la procedura non andasse a buon fine. E le pazienti tre giorni in ospedale non ci stanno, anche per ragioni di privacy”. 

LA LEGGE. Abortire, in Italia, oltre che una scelta, è un diritto regolato da una legge, la n.194 del 1978 denominata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, che va a regolare l’interruzione volontaria della gravidanza (ivg) riconoscendola come un diritto che non può essere influenzato né messo in discussione. Prima della sua entrata in vigore, l’aborto era un reato per il codice penale allora vigente, il codice Rocco; in caso di aborto causato in modo consenziente era prevista una pena da 2 a 5 anni di reclusione sia per chi provocava l’aborto (il medico) sia per la donna stessa. 

Anche la contraccezione era vietata e la pillola poteva essere utilizzata esclusivamente per regolare il ciclo mestruale e non come contraccettivo. Risultato? Un altissimo numero di aborti illegali, all’incirca 250mila ogni anno, molti dei quali eseguiti al di fuori delle strutture ospedaliere proprio per evitare di subire le conseguenze legali.

La legge approvata nel 1978 andò a istituire l’aborto legale, che può avvenire su richiesta della donna entro i 90 giorni dall’ultima mestruazione o anche in un periodo successivo in presenza di gravi problemi di salute psichica o fisica legati alla gravidanza.

Ma questa è solo la teoria. Perchè poi, nella pratica, abortire in Italia è tutt’altro che cosa semplice. Ciò dipende dal fatto che la norma dà al medico una possibilità di scelta nota come obiezione di coscienza. In sostanza, così come alla donna viene data la facoltà di decidere se interrompere o meno la gravidanza, anche il medico può scegliere di accettare o meno un intervento di quel tipo. 
In Italia, secondo i dati forniti dall’Aiga (libera associazione italiana ginecologie per l’applicazione della legge 194) gli obiettori di coscienza sono 7800 su 10mila ginecologi, con appena il 60% delle strutture ospedaliere italiane che garantisce interventi di ivg. Una situazione denunciata anche dal Ceds, Comitato Europeo per i Diritti Sociali, che nel marzo 2014 ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 11 della Carta Sociale Europea, che tutela il diritto alla salute, proprio a causa dei troppi obiettori di coscienza che impediscono alle donne di ricorrere all’interruzione della gravidanza nelle ipotesi previste dalla legge.

 

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