ROMA- Dovranno rispondere di risarcimento danni i medici del Policlinico per la morte di un bimbo di sei mesi nel 2007. Tutti i medici tranne il primario. Così ha deciso la Cassazione che ha ridimensionato la responsabilità dei primari per quanto avviene nei reparti da loro diretti.

Il piccolo morì per una banale occlusione intestinale diagnosticata con grave ritardo al quale seguirono, nel precipitare della situazione, due interventi eseguiti male.

A distanza di più di dieci anni, le accuse di omicidio colposo si sono prescritte, ma la Cassazione ha accolto il ricorso dei genitori del bambino e, ad eccezione del primario, ha chiamato tutti i medici che hanno visitato ed operato il piccolo, ed il Policlinico, a rispondere di risarcimento danni davanti al giudice civile. Compresi i due chirurghi assolti in appello – con una motivazione che ad avviso degli ‘ermellinì è «particolarmente carente» -, Biagio Zuccarello e Antonino Centorrino, che per due volte operarono il bambino e ai quali era stato contestato dalla Procura di Messina anche di aver alterato le cartelle cliniche.

Mentre la Suprema Corte ha totalmente scagionato il primario di Pediatria del Policlinico messinese, Filippo De Luca, perché è da escludere che i dirigenti medici siano responsabili di tutto quello che avviene nelle strutture sotto la loro supervisione. Occorre tenere presente, rilevano i magistrati nella pronuncia 18334 depositata oggi, che i primari devono poter fare affidamento sui medici a loro subordinati senza doverli controllare continuamente e devono anche avere il tempo per svolgere il loro lavoro e dunque non possono essere una specie di “grande fratello” che tutto sa e tutto previene.

Secondo gli ‘ermellinì, «deve ritenersi che quando il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura, di detto evento debba rispondere eventualmente unicamente il medico o i medici subordinati». «Ravvisare infatti una responsabilità penale del medico in posizione apicale anche in questi casi – prosegue la Cassazione – significa accettare una ipotesi di responsabilità per posizione, in quanto non si può pretendere che il vertice di un reparto possa controllare costantemente tutte le attività che ivi vengono svolte, anche per la ragione, del tutto ovvia, che anch’egli svolge attività tecnico-professionale».
Nel caso esaminato, sottolinea la Suprema Corte, «emerge che i fatti si svolsero in un ambito temporale ristretto, che il De Luca non ebbe modo di visitare direttamente il piccolo paziente, che nulla a riguardo gli fu segnalato dai medici della struttura».

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