MESSINA. La recente svelata del nuovo volto di Piazza Cairoli sembra aver riacceso l’interesse sull’importanza dello spazio pubblico a Messina. Quasi come una liberazione, prima del previsto, sono state rimosse le barriere che delimitavano l’area di cantiere consentendo il libero fruire di uno spazio che, al di là delle opinioni dei singoli: “è bello, è brutto, è grande, è spoglio, è buio, è scarso…” rimane il più importante riferimento urbano degli abitanti, cittadini stabili e fruitori di giornata. Piazza Cairoli si caratterizza per l’intera estensione urbana come un centro assoluto. Al di qua e al di là (al di sopra e al di sotto) di esso si distinguono indirizzi da raggiungere, itinerari da percorrere, destini commerciali delle attività insediate, canoni di affitto, nei giudizi più classisti anche le appartenenze sociali degli abitanti residenti, insomma esso identifica un luogo, uno spazio urbano capace di connotare in un sola immagine il manifesto di un’intera città e dei suoi abitanti.
Nel dimostrare la sua appartenenza alla più profonda messinesità esso coinvolge in appassionati scambi di opinioni passanti occasionali, commercianti, tecnici, fino a includersi nei propositi rifondativi di improvvisati programmi elettorali, interessando trasversalmente tutte le componenti di un popolo di esperti che sembra accordarsi solo in una dimensione oltremodo critica fino, in alcuni casi estremi, auspicarne la demolizione per un rassicurante ritorno ad una storicizzata sistemazione precedente rinvenibile nelle foto d’archivio. Lungi da chi scrive immaginare, con questo intervento, di sponsorizzare, difendere, approvare senza condizioni, il progetto di Piazza Cairoli realizzato con la linea tramviaria. Serve, però, redigere un’analisi oggettiva della sua natura e delle scelte che hanno caratterizzato la sua attuale conformazione per immettere nel dibattito una dimensione propositiva, scevra da appartenenze di interesse o proiezioni semplicistiche volte a liquidare, in un giudizio assoluto, i suoi possibili destini. Trattasi in generale del primo, e unico, importante spazio pubblico progettato in un linguaggio non storicista nella città. Probabilmente, anche per questa ragione, la sua immagine necessita di un tempo più lungo per sedimentare la sua appartenenza. Esso, seppur senza eclatanti caratterizzazioni, nelle sue contraddizioni e le sue incertezze, interpreta il ruolo della piazza contemporanea, ovvero luogo di scambio e crocevia di flussi pedonali e infrastrutturali e riferimento per la rappresentazione collettiva della realtà urbana di cui è espressione. Divisa in origine dall’asse di Viale San Martino, la piazza, con il restyling determinato dal progetto per la linea tramviaria, configura oggi l’unico ampio spazio pedonale del centro urbano.
La recente chiusura al transito carrabile delle vie perimetrali sul lato monte ha rafforzato il suo compito di attrattore per il traffico pedonale annullando, di fatto, il suo ruolo di crocevia/rotatoria del traffico carrabile. La sua collocazione planimetrica, posta in testata dell’asse di Viale San Martino, delinea il suo contestuale ruolo di snodo delle percorrenze con l’asse di Corso Garibaldi e contraltare alla centralità verde impressa dal parco di Villa Dante. Si delinea in questa sua natura duplice l’ambiguità di un dispositivo urbano orientato, da una parte, a recepire i flussi di traffico provenienti da nord, dai corsi Garibaldi, Cannizzaro e San Martino basso, al momento irrisolti e privi di un’adeguata regolamentazione, dall’altra, la necessità di caratterizzarsi come testata dei traffici pedonali provenienti da viale San Martino, spazio lineare pubblico dalle notevoli possibilità attualmente inespresse, via dei Mille e Giordano Bruno.
Si spiega probabilmente in questa doppia anima la compresenza di opinioni contrastanti circa un auspicato ritorno al suo ruolo di grande rotatoria o la conferma, sponsorizzata dai più, della sua natura di attrattore del traffico pedonale. All’interno, l’invaso rettangolare della piazza si caratterizza come un esterno coperto. Le folte presenze arboree, nel delineare con i loro fusti la composizione di una sala ipostila, memoria del bosco originario, disegnano una spazialità dilatata in orizzontale dove le essenze, posizionate senza un ordine esatto, delimitano, per punti, l’evolversi di ambiti autonomi caratterizzanti una continua variazione della visione. L’assetto attuale, realizzato all’alba del terzo millennio, nel compiere l’importante scelta di congiungere lo spazio pedonale in un unico invaso ha previsto l’introduzione sul parterre di tre oggetti segnaletici: – la grande copertura metallica (dai messinesi ribattezzata la gradicola grande), posta a ribadire la centralità dell’asse di viale San Martino con alla base la fontana ornamentale; – un telaio più piccolo e più basso (gergalmente indicato come la gradicola piccola), posizionato sul parterre lato mare a caratterizzare una fossa abitata dove è presente un albero d’ulivo; – una pensilina inclinata, posta sul lato monte a copertura ad una serie di piccole attività commerciali. Quest’ultima, immaginata come un lama orizzontale, sembra conficcarsi a mezza altezza nel volume arboreo imprimendo l’unica accelerazione obliqua nella ferma ortogonalità disposta dalla composizione. La pavimentazione registrando, nelle sue linee generatrici e nella pezzatura delle lastre, la direzionalità impressa dalla maglia dell’isolato, sul lato monte prevedeva la presenza di un tavolato che, disponendo una fitta sequenza di linee parallele, disegnava sul parterre uno spazio autonomo proteso a rafforzare il sedime e la direzione impressa dalla lama inclinata.
È assodato che le condizioni della piazza vertono ormai da parecchi anni in uno stato di evidente degrado. In seno a tale considerazione non può che apprezzarsi lo sforzo profuso da questa amministrazione nel prevedere interventi risolutivi di effettivi, quanto gravi, problemi di sicurezza. Al fine di alimentare un dibattito propositivo che distolga l’attenzione dai giudizi di stile che mal si prestano ad una disamina oggettiva, una riflessione critica è necessario sollecitarla sulla strategia di intervento intrapresa e, conseguentemente, sulle scelte progettuali che ne sono derivate. Date, infatti, le evidenti problematiche connesse alla incolumità dei fruitori e considerati i vari ammaloramenti dei materiali presenti nell’invaso, le ipotesi d’intervento non potevano che inquadrarsi in due, e solo due, possibili linee interpretative: – una ipotesi minima, sia in termini di costi che d’interpretazione soggettiva, connessa ad una manutenzione orientata a non modificare gli assetti esistenti. Si inseriscono in tale logica anche eventuali importanti sostituzioni nello spirito di mantenere integro e sicuro lo stato di fatto; – oppure, per opposto ad una operazione minima, dare luogo ad un nuovo totale progetto reinterpretativo dell’intero ambito spaziale in grado di coinvolgere le connessioni con le arterie limitrofe per l’introduzione di variabili linguistiche e/o funzionali attualmente non presenti. La scelta di intervenire operando con una strada intermedia, sostenuta dalla logica della messa in sicurezza, non può che esporre gli esiti a facili dispute concernenti l’appropriatezza degli interventi. A risultato ottenuto, infatti, l’opzione di risolvere le problematiche connesse all’incolumità dei fruitori sembra aver irrimediabilmente compromesso la fragile unitarietà dei dati, la sistematicità delle scelte, la coerenza di fondo nel posizionamento dei materiali, rinvenibile nell’assetto originario per far posto ad una dimensione ibrida, indecisa, priva di quella identità linguistica necessaria quando si decide di metter mano allo spazio pubblico più importante di una città.
La rimozione del tavolato esistente (dovuta a evidenti problemi di usura con deprecabili risvolti riguardanti l’incolumità pubblica dei passanti) risolta con il posizionamento di materiali altri, con pezzature e orientamento di lastre diverse dall’assetto precedente, aggiunta all’introduzione di ampie porzioni di verde prive di un propedeutico disegno d’insieme, proiettano il nuovo esito in una strategia che, prima di risolvere la messa in sicurezza, sembra sia stata orientata a rimuovere per parti, pezzo dopo pezzo, i caratteri identificativi e linguistici del progetto originario. Allo stesso modo la rimozione dei pannelli posti al di sotto la copertura metallica, nel delineare la messa in vista delle nervature strutturali, mette in crisi l’astrattezza del volume originario. Stessa conclusione per il mancato ripristino della fontana. Senza mezzi termini, la logica d’intervento adottata sembra rivolta a cogliere l’occasione di un intervento di messa in sicurezza per dare il via ad un progetto più ampio, ovvero la progressiva rimozione della memoria riconducibile all’identità precedente introducendo, tra un dato e l’altro, tracce di possibili nuovi tratti distintivi in grado di presagire un più accomodante assetto (vedi la palma compressa in un rombo di terra posta sul limite nord).
Prendendo atto di una tale volontà, considerata l’importanza dello spazio in questione, sarebbe stato auspicabile ipotizzare una dichiarazione d’intenti nelle strategie iniziali intestandosi la responsabilità di una scelta rifondativa dell’intero invaso senza avallare opere volte a compromettere il fragile equilibrio dell’esistente. Una nota aggiuntiva è da specificare sul dibattito recentemente istaurato sugli organi di stampa intorno alle politiche d’intervento sullo spazio pubblico in città. Gli esiti delle recenti realizzazioni in ambiti rappresentativi e in nodi infrastrutturali di una certa rilevanza sembrano consolidare la progressiva approvazione di una dimensione vintage/reazionaria volta a risolvere con esercizi di stile, di stampo storicista alla scala dell’arredo urbano, problematiche strutturali che richiederebbero precise e più ampie strategie d’azione. È necessario specificare che, pur nel loro esito rassicurante, tali interventi configurano delle vere occasioni mancate per una realtà urbana che intende inserirsi in una dimensione contemporanea. È attestato, infatti, che gli interventi sullo spazio pubblico, discendenti da un’accorta strategia progettuale, configurano, nella città contemporanea, un ampio ritorno in termini di immagine e, di conseguenza, economici, per l’intera collettività.
Nella competizione tra città limitrofe, esempi emblematici sono valutabili negli effetti disposti dai progetti di rigenerazione del lungomare di Reggio Calabria o nella pedonalizzazione dell’asse di via Etnea a Catania dove una strategia articolata e sinergica di azioni ha delineato un effettivo, quanto tangibile, stravolgimento positivo della qualità dello spazio aperto pubblico con evidenti ritorni sull’intera dimensione urbana. Nonostante i vicini esempi, il dibattito affrontato in città e con esso i progetti presentati, le pubblicazioni, i convegni, i documenti sullo spazio pubblico, volti a sensibilizzare amministratori e cittadini alla ricerca di un’attenzione verso il progetto come opportunità possibile, sembra non abbia, in alcun modo, delineato risvolti operativi. Si fa strada nella dimensione intellettuale, professionistica, politica, dei più una ricorrente stanchezza suffragata dal grigio presagio di una confermata sfiducia in una proiezione positiva verso il futuro. Sembra, infatti, ritenersi ogni idea progettuale una spesa, un investimento a perdere destinato ad un’attività collaterale operata da sognatori creativi fuori da una realtà che sembra trovare conforto solo nelle foto d’epoca della Messina com’era, quando nelle grandi carreggiate del viale i veicoli scorrevano protagonisti dell’intero spazio aperto.
Con soli 260.000 euroa impegnati per i lavori(e chi ha conoscenza non solo teorica ma pratica di lavori pubblici sa che si tratta di una cifra con la quale si possono fare solo contenuti interventi di manutenzione)si sono potuti attuare solo gli interventi eseguiti.Per maggiori precisazioni su scelta dei materiali ed altro,se la direzione di letteraemme mi vorrà ospitare,invierò un articolo
Certo, sarebbe un piacere
L’articolo lo avevo inviato all’indirizzo mail redazione(at)letteraemme.it ma mi è stato rifiutato perché non corretto. Allora l’ho nuovamente inviato, stavolta all’indirizzo redazione@letteraemme.it. cortesemente mi fate sapere se è stato recapitato e se no, come fare per inviarvelo? Cordiali saluti
Nino Principato
Ricevuto correttamente. Lo pubblichiamo domani. Grazie ancora per il suo contributo
Grazie a voi per avermi dato la possibilità di informare correttamente i cittadini come sono stati spesi, in questa circostanza, i soldi pubblici