MESSINA. E’ “regolare” un accordo tra un’associazione politica (Sicilia Vera) ed i candidati delle sei liste a supporto della corsa a sindaco di Cateno De Luca, quando esso preveda come obblighi quello di contribuire (con molte clausole) alle spese della campagna elettorale se eletti in consiglio (o nominati in giunta), e attenersi ai contenuti del programma, pena una risarcimento danni da 100mila euro?

E’ il contenuto del “patto di fedeltà alla città di Messina” stipulato tra i componenti delle sei liste a sostegno della candidatura di Cateno De Luca e l’associazione Sicilia Vera (qui i dettagli). Ad esaminare il “contratto” è Nicola Bozzo, avvocato ed esperto di diritto pubblico, che “fa a pezzi” il patto di ferro pre amministrative nella parte in cui prevede il “risarcimento danni” a cui il candidato, all’atto della firma dell’accordo, “si obbliga” ad attenersi al contenuto del programma Messina bella protagonista e produttiva“, per non incorrere nel “risarcimento danni causato a Sicilia Vera ed a tutti gli eletti nelle liste promosse” (quella di contribuire alle spese elettorali è prassi piuttosto consolidata all’interno dei partiti, sia pure come adesione volontaria e non come obbligo).

 «Il documento in questione – sostiene – viola almeno quattro norme costituzionali. Innanzitutto l’articolo 67 sul vincolo di mandato, che riguarda sì i parlamentari, ma contiene un principio generale estendibile anche alle assemblee elettive degli enti territoriali. Il principio, tra l’altro, è richiamato anche dallo statuto del Comune di Messina, al primo comma dell’articolo 54 (“I consiglieri comunali rappresentano la comunità ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato, con piena libertà di opinione e di voto”). Ciò in stretta connessione con l’articolo 1 e con i principi di democraticità della Repubblica e sovranità popolare, infatti le autonomie territoriali sono senz’altro istituzioni della Repubblica e quindi sottoposte al principio democratico che va letto in stretta connessione con il principio della sovranità popolare. Tale nesso è stato mirabilmente approfondito nella sentenza n. 106/2002 della Corte Costituzionale. Pertanto, le assemblee elettive così configurate impongono che l’eletto risponda alla comunità di riferimento e non certo ad associazioni, movimenti ed altro. Il fondamento della legittimazione dell’eletto sta proprio qui».

«Bisogna anche considerare l’Articolo 3 sul principio di uguaglianza. Infatti – prosegue – non sono equiparabili quanto a libertà di espressione del mandato gli eletti sottoposti a vincoli di natura associativa e gli eletti liberi nell’esercizio della loro funzione. Il principio di eguaglianza si rifrange anche nella circostanza che l’elettore del candidato vincolato varrà “meno” di quello del candidato senza vincolo. Inoltre, l’articolo 97 stabilisce che la pubblica amministrazione deve perseguire il buon andamento e l’imparzialità, pertanto, esercitando l’organo collegiale anche funzioni amministrative, anche qui si può cogliere un vulnus ai principi costituzionali. Infine, sebbene sia praticamente impossibile scorgere nella natura dell’associazione di cui si parla i tratti di un partito politico, resta il fatto che l’art. 49 prescrive che i partiti politici devono perseguire le loro finalità con metodo democratico sia interno che esterno e tale parametro, visto che si tratta di designazione alle cariche elettive, vale comunque come garanzia del complessivo processo democratico».

È un documento valido, quindi? No, secondo Bozzo: «Il contratto è afflitto da nullità assoluta perché contrario a norme imperative quali sono i principi costituzionali e non può produrre alcun effetto. È, in sostanza, la rappresentazione di una concezione premoderna della democrazia per la quale fondamentali funzioni pubbliche e costituzionali diventano oggetto di contratti privatistici con conseguenze obbligatorie e patrimoniali».

 

 

 

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