MESSINA. Finisce a carte bollate, davanti alla giustizia amministrativa, il decreto con il quale il Ministero della Giustizia ha ridisegnato la pianta organica del Distretto giudiziario di Messina: La rimodulazione non è andata giù al consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina, che ha impugnato l’atto.

A chiedere al Tar del Lazio l’annullamento dell’atto del primo dicembre del 2016, il presidente del Consiglio dell’Ordine di Messina, Vincenzo Ciraolo.”Non accetteremo passivamente quello che riteniamo un sopruso ai danni del Distretto di Messina – dichiara Ciraolo. Siamo certi che il Tar ci darà ragione”. 
 
“Errore materiale. Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà tra motivazione e dispositivo. Eccesso di potere sotto il diverso profilo della illogicità e della mancanza di presupposti”: questi i vizi del decreto contestati nel ricorso predisposto da Antonio Saitta cui il Consiglio ha affidato il compito di far valere le pretese del Distretto giudiziario di Messina. 
 “Nella migliore delle ipotesi – afferma Saitta, avvocato amministrativista e professore ordinario di diritto costituzionale – la soppressione prevista di due magistrati nella pianta organica dei magistrati giudicanti e requirenti presso il Tribunale e la Procura della Repubblica di Messina, è frutto di un mero errore materiale, nella peggiore si tratta di un provvedimento abnorme e ingiustificato alla luce dei fondamentali parametri giuridici di rango costituzionale e internazionale ma, prima ancora, in palese contrasto con i parametri logici che devono sempre giustificare l’azione amministrativa soprattutto quando in campo ci sono diritti di rango costituzionale”. 
 
La prima ipotesi è che si tratti di errore materiale perché il CSM (Consiglio superiore della magistratura) con parere obbligatorio ma non vincolante, aveva espresso parere negativo ai tagli chiedendo di confermare l’attuale pianta organica del tribunale di Messina. Il Ministero, dopo avere premesso che le integrazioni richieste dal parere dovevano essere accolte, nella tabella che costituisce parte integrante del decreto ha invece predisposto la riduzione di un magistrato con funzione giudicante e di un magistrato con funzione requirente con una contraddittorietà che palesa un errore materiale che andrebbe risolto ritenendo prevalente sul dispositivo la motivazione.
 
Qualora invece non fosse un errore materiale ma si trattasse di una precisa scelta, il Ministero sarebbe ancor più deprecabile in quanto ha posto come ragione della sua azione, come si legge nella relazione al decreto, “la necessità di dare adeguata risposta alla domanda di giustizia delle aree territoriali cui corrispondono i tessuti produttivi più forti del Paese”, ovvero una motivazione politica inaccettabile perché in contrasto con il principio di uguaglianza e con il diritto alla difesa che devono essere garantiti a tutti i cittadini allo stesso modo in qualunque parte del Paese risiedano.
 
Nelle 29 pagine dell’articolato ricorso viene inoltre evidenziato come il Ministero, nel ridisegnare la pianta organica del Distretto di Messina, abbia tralasciato alcuni parametri fondamentali come, ad esempio, le pendenze in corso o l’appesantimento del carico di lavoro determinato sul tribunale di Messina dai flussi migratori e, d’altro canto, ne abbia valutato altri in modo non conducente (si è tenuto conto solo del numero dei giudizi ma non del diverso peso che possono assumere, soprattutto nel settore penale). 
 
Vengono indicati, inoltre, una serie di atti ufficiali all’interno dei quali era emersa, nel recente passato, la difficoltosa situazione dei magistrati del Distretto di Messina: nel 2012 il CSM, a seguito di una indagine istruttoria aveva avuto modo di sottolineare “le condizioni di grave difficoltà in cui versa il tribunale di Messina i cui giudici sono chiamati a operare in una situazione emergenziale, in condizioni di lavoro non sorrette da strutture e mezzi sufficienti e in una realtà sociale fortemente condizionata dalla criminalità organizzata”.
 
Nel gennaio del 2013 l’Ispettorato Generale scriveva al Ministero “la pianta organica dei magistrati deve ritenersi del tutto inadeguata la domanda di giustizia del territorio” e, infine ancora il CSM nella delibera del 2015 assegnava al tribunale di Messina un giudice del tribunale di Enna per far fronte ai flussi migratori. 
 
“La nostra – conclude Ciraolo – non è una mera difesa campanilistica ma non si può accettare l’ulteriore appesantimento del carico di lavoro dei nostri magistrati già sovraccaricati di cause pendenti  nonostante siano tra i più produttivi d’Italia e soprattutto, non possiamo accettare che a fare le spese di queste scelte siano i cittadini che vivono nel nostro territorio e che abbiamo il dovere di tutelare”.
Adesso sarà il TAR a doversi pronunciare.
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