MESSINA. È un’altra epoca, un altro ciclismo, fatto di strade interrate, fango e fatica, biciclette con i cerchi in legno marca “Barozzi” e borracce legate al manubrio. Imprese eroiche solitarie, lunghe fermate per rifocillarsi, magari arrampicandosi su un albero di fichi o rubando l’acqua fresca dai bar sulla strada per sopravvivere a una tappa. Folle entusiaste riversate sulle strade prive di precedenti.

Giovanni Corrieri, per tutti Giovannino, nasce a Messina il 7 febbraio 1920.

In città si racconta che Giovannino, talentuoso fin da giovane, passista e velocista, con la sua prima bicicletta comprata da Lillo Irrera, vicino al Dazio, si affermava immediatamente nelle prime gare cittadine.

La “Freccia Siciliana”, nel 1939, vince l’ottava tappa del Giro di Sicilia con partenza da Sant’Agata Militello e arrivo proprio a Messina. Nel 1940, agli albori del secondo conflitto mondiale, si trasferisce a Prato, in Toscana, con tanta voglia di sfondare per diventare corridore vero (sessant’anni dopo avrebbe fatto lo stesso percorso anche Vincenzo Nibali). Diventa grande amico di Aldo Bini cui deve il passaggio alla Legnano nel 1942. Ed è sempre Aldo Bini colui che lo presenta, a Milano, a Gino Bartali.

Nasce così uno dei più famosi connubi del ciclismo. Gino Bartali ha bisogno di un passista capace di dettare il ritmo per i primi cento chilometri di gara, Giovannino diventa l’angelo custode, l’ultimo gregario di Ginettaccio (com’era noto per il carattere rude). Lo accompagna ovunque, è la sua ombra, in corsa, in camera, perfino in chiesa. Giovannino è l’alter ego del suo capitano: silenzioso, buono, accomodante, lo scorta e lo difende in tutte le gare, con licenza – Bartali permettendo – anche di vincerne alcune. Perché quando sei abituato a non mollare mai la presa, allora è facile non lasciare andare nessuna occasione. Come quella volta in quel leggendario 1948, quando aiutò Bartali a vincere un Tour de France che passò alla storia per aver salvato, a detta di tutti, l’Italia da una guerra civile, ma allo stesso tempo prendendosi una delle giornate più belle della sua vita. Siamo a Parigi. L’ultima, lunghissima, infinita, tappa di duecentosessanta chilometri. Una fuga incredibile, coraggiosa come chi sa che certe volte bisogna solo rischiare e soffrire come pazzi per riuscire come vincitori. Si narra che Lucien Teisseire, che era con lui negli ultimi otto chilometri, gli offrì dei soldi per lasciarlo vincere ma Giovannino girò la faccia dall’altra parte. Uno scatto, e poi l’ultimo giro al Parco dei Principi. Fu un trionfo, come nelle fiabe più dolci e più dure, per lui che era un ragazzino venuto dal sud con i sogni così grandi che si faceva fatica a crederci.

Corrieri durante una premiazione insieme a Vittorio Adorni

Vasco Pratolini così lo raccontò: “Corrieri è d’altra razza. È un siciliano, basso di torace, olivastro, risentito, un uomo d’onore, un operaio della bicicletta. Corre per la Viscontea, si guadagna il pane correndo in bicicletta come milioni di uomini simili a lui se lo guadagnano lavorando nelle officine e nei cantieri. È siciliano, è venuto in continente e penso abbia una grossa famiglia da mantenere. […] In testa al gruppo ch’era Corrieri che picchiava sui pedali con altrettanta disperazione, con il volto contratto: lo sforzo, l’ansia, non gli ha lasciato il tempo di sorridere. Ha infilato il vialone d’arrivo, ha vinto […]”.

Il suo palmares raccoglie tantissime vittorie e numerosi piazzamenti importanti.
Le principali vittorie da professionista sono le sette tappe al Giro d’Italia, tra il 1947 ed il 1955, e le tre tappe al Tour de France, due nel 1948 e una nel 1950. Nel corso del Giro d’Italia 1953, Corrieri veste, per un giorno, anche la maglia rosa.
Dopo il ritiro di Bartali, Corrieri avrà tra i suoi capitani anche Fiorenzo Magni e Fausto Coppi.

Giovannino ci ha lasciato solo da qualche anno, troppo presto per potergli dedicare una via (a lanciare una proposta in tal senso. a novembre, era stato il capogruppo del M5s Andrea Argento), tuttavia sarebbe giusto che la sua città natale trovasse il giusto modo per ricordarne le gesta e riconoscere la caratura, morale e sportiva, di chi ha fatto la storia del ciclismo e dello sport italiano nel mondo.

FiGi