MESSINA. Diciottomila domande di reddito di cittadinanza (prima dell’ulteriore mazzata della covid-19), un terzo dei contribuenti (di chi, cioè, ha una qualsiasi entrata) che tira a campare con 800 euro al mese, cinque cittadini su dieci non riescono a superare la soglia del reddito di povertà, quasi uno su due non dichiara alcun reddito.

E’ l’impressionante istantanea della situazione economica della città di Messina fornita dal direttore del dipartimento di Economia dell’università di Messina Michele Limosani, in un report sulle grandezze economiche sulle quali poggia l’intera costruzione del sistema produttivo locale.

Che sono poche, e mal distribuite: i contribuenti che hanno presentato dichiarazione fiscale in città sono più o meno 133 mila, il 58% della popolazione residente. Ciò significa che per ogni soggetto che presenta dichiarazione al fisco esiste un soggetto che non dichiara redditi. E anche chi lo ha dichiarato se la passa piuttosto male: il 33% dei contribuenti dichiara redditi compresi tra 0 e 10.000 euro lordi, ossia tra 0 e 800 euro mensili lordi, il 40% è compreso tra 15.000 e 26.000 e quindi tra 1.200 e 2.200 euro mensili lordi.

Se il presente è plumbeo, il futuro non si annuncia certo più roseo. Messina è una città di impiegati (dipendenti pubblici e privati) e di pensionati Inps, e i redditi d’impresa e dei lavoratori autonomi sono marginali. Secondo le ultime statistiche della Camera di Commercio, le aziende registrate nel comune di Messina sono poco più di ventimila, ma un quarto di queste, cinquemila, registrano perdite di esercizio e quindi presentano un imponibile pari a zero, mentre una grossa parte (lo studio non specifica quante), risultano inattive.

E quindi? “Gli impiegati di oggi saranno la componente più importante dei pensionati di domani e le pensioni continueranno ad essere la maggiore fonte di reddito della città”, scrive Limosani, ma con un’aggiunta preoccupante. “Contrariamente a quanto accade oggi, tuttavia, i lavoratori che andranno via via in pensione nei prossimi anni “godranno” del regime contributivo e quindi, nel migliore dei casi, di una pensione pari a circa il 30% percento in meno dell’ultima retribuzione. Il welfare familiare, generosamente erogato dai nonni a favore dei figli e dei nipoti, conoscerà tempi duri”. Si eroderà, praticamente, ciò che tiene ancora in piedi il tessuto economico e sociale della città.

Ancora più mesta la chiosa: “La simulazione dunque lascia prevedere, se nulla cambiasse, un impoverimento generalizzato, per non parlare dello spopolamento, dell’invecchiamento della popolazione e della fuga di giovani qualificati”.

 

 

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