MESSINA. «La scelta dell’università per i giovani non è sempre semplice, ma è da sempre influenzata da un sistema e una retorica meritocratica che mette in competizione i nostri Atenei. Al di là delle classifiche redatte, ciò che passa volutamente in sordina e non viene posto in risalto è come tale meccanismo contribuisca ad acuire una serie di disuguaglianze sociali e territoriali e come influenzi studentesse e studenti, non solo in termini di prospettive occupazionali, ma anche nelle scelte di vita». Così, in una nota, il sindacato studentesco Udu, che commenta la recente classifica Censis 2022 delle università italiane, che vede l’Università di Messina all’ultimo posto e “premia” prioritariamente le università del Nord.

«Siamo consapevoli – si legge nel comunicato – che il nostro Ateneo ha moltissimo su cui deve ancora lavorare per garantire migliori servizi e una visione di Università che metta al centro studentesse e studenti, invece che numeri. Va anche considerato che la classifica CENSIS si basa su criteri che prendono in considerazione diversi fattori, spesso basati sulla capacità degli atenei di avere maggiori fondi o servizi regionali. Infatti, nella classifica non viene presa in considerazione la qualità della didattica, per fare un esempio rilevante in ambito accademico prima della impostazione aziendale, ma esclusivamente strutture, servizi, borse, comunicazione, occupabilità e internazionalizzazione. La diminuzione di immatricolazioni però, pari al 2,8%, si concentra in buona parte negli atenei del Sud che, storicamente, non solo sono tra gli ultimi classificati, ma tra i più penalizzati da un sistema di attribuzione delle risorse (FFO) punitivo, che verte sull’attribuzione di quote premiali e su un sistema di valutazione che prende in esame fattori prettamente quantitativi.

La dinamica generale del FFO ha visto negli anni penalizzare gli Atenei del Sud, che hanno visto scendere il numero di iscritti, dei docenti, dei servizi offerti e dei corsi di studio: nel momento in cui i fondi hanno visto un incremento, si sono concentrati al Nord. Il risultato è quindi una cristallizzazione delle disuguaglianze territoriali e quindi delle prospettive offerte a chi, questi territori, li vive. È per questo che, nelle classifiche redatte, sono pochissime (solo due, Calabria e Sassari rispettivamente per Atenei di grandi e medie dimensioni) le Università citate nelle prime posizioni, condizionando la scelta degli studenti e acuendo l’effetto della migrazione studentesca verso altre regioni»

«È necessario, tuttavia, aggiungere come il calo di immatricolazioni sia stato quest’anno condizionato da una serie di altri fattori. L’impoverimento delle famiglie, a seguito della crisi economica, e la mancanza di una copertura omogenea di sussidi al diritto allo studio e di alcuni accorgimenti adottati nel corso della fase pandemica ha influito negativamente sulle nuove iscrizioni dell’anno accademico appena concluso. E tra le conseguenze più impattanti della pandemia è da annoverare l’acuirsi di un disagio psicologico già caratterizzante il nostro spettro generazionale: non solo l’incertezza relativa alle prospettive future, ma anche il peso di una continua performatività e competitività (che tra l’altro favorisce ben precise aree disciplinari) che ha inizio tra i banchi di scuola, ma prosegue per il percorso universitario sino all’ingresso in un mercato del lavoro precario e flessibile. Questi presupposti hanno contribuito ad alimentare una visione distorta del percorso universitario, non più volto alla crescita personale, culturale e sociale delle soggettività».

La riflessione prosegue:  «Ed è così, quindi, che le Università da sempre più avvantaggiate (per collocazione geografica, storicità, scelte politiche, finanziamenti ricevuti e condizioni al contorno favorevoli) continuano a dominare le classifiche che ogni anno condizionano la scelta di migliaia di neodiplomate/i e non. Siamo convinti che non possa essere una graduatoria di merito, che si configura essere uno strumento limitato giacché non racconta l’altra faccia della medaglia, ovvero quella di un sistema sottofinanziato, ad indicare quale università o corso di laurea sia più adatto per uno studente o studentessa. La discriminazione che pone gli Atenei su piani diversi (quelli di serie A e quelli di serie B) contribuisce ad un sistema che non tutela e non garantisce il reale accesso al diritto allo studio. E finché non avverrà un cambio di paradigma e concezione del sistema universitario, non solo l’Italia continuerà a detenere il primato per il più basso numero di immatricolati, laureati e occupazione giovanile, ma non ci sarà crescita economica e sociale per il paese».

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments