Qualche giorno fa la mia amica Alessandra ha pubblicato su Instagram la foto di una scritta su un muro: “e se il x sempre non esiste l’ho inventeremo noi”. Ora, ci sono due scuole di pensiero: la prima è di voi che avete riso dell’errore ortografico, grossolano e da penna rossa (non a caso, scritto tutto con vernice scarlatta). La seconda è quella che preferisco, va oltre l’apparenza e quella coltre un po’ di snobismo, forse, che segna un distacco da quello che sulla carta è un concetto bellissimo. Il sogno, il non porsi limiti: pensiero meraviglioso, a tratti utopistico, abbattuto da una realizzazione grammaticale dovuta ma fastidiosa. È con questo spirito che proviamo, anche questo lunedì, a sopravvivere a un’altra settimana.

Nirvana – Serve the servants

Aneddoto: non ascolto un disco dei Nirvana da mesi, forse anni. In due giorni due persone mi hanno nominato Cobain e soci e allora, dato che io alle coincidenze non credo ma comunque sai mai nella vita, eccoci qua. Anche perché Kurt Cobain non finì mai le scuole, e proprio da una scritta sul muro mal interpretata nacque il capolavoro di vendite della sua band, quello che rese anche la sua morte di tale impatto mediatico. Noi qui ci ascoltiamo Serve the servants, perché In utero è un disco unico, e anche perché è giusto ricordare la necessità di stare umili a tutti i costi, in questa vita. E quindi accettare di buon grado che non è *solo* la cultura ma sopratutto la voglia di migliorarsi a qualificare una persona.

IDLES – Samaritans

Sopravvivere non significa solo vegetare, ma implica una lotta. Lotta costante per stare vivi, per mantenere ben chiari i propri desideri, la propria voglia di stare al mondo seguendo uno schema desiderato. Quello che alcuni potrebbero chiamare ideale politico, perché no, o semplicemente visione filosofica del mondo. Io in queste ultime settimane sto affidando a Joe Talbot tutto ciò che ho da dire sul mondo. Proprio qualche giorno fa è uscita una versione live clamorosa di Mother al Bataclan, che inizia con il suo I AM A FEMINIST che apre un brano infuocato, che proprio stamattina uno dei profeti della musica italiana su Facebook definiva, forse, la Smells like teen spirit dei nostri tempi. Noi scegliamo un altro pezzo oggi, perché Mother ve l’ho fatta già sentire qualche tempo fa, però anche Samaritans merita molto sul tema. Moltissimo.

Alice Cooper – Only women bleed

La scorsa settimana ricorreva l’ottavo anniversario di una delle mie prime trasferte romane, forse la prima consapevole di cosa stessi andando a fare, quella in cui all’Atlantico ammirai da vicinissimo Alice Cooper. Personaggio adorabile e controverso, Alice, a cui non sapresti neanche dare un’età perché quando lo vedi intuisci l’incedere del tempo ma il suo muoversi sul palco, la voce, il modo di cantare ti farebbero dire tutto tranne l’anno di nascita, che è il 1948. Quella sera mr Cooper cantò tanti dei suoi più grandi successi, compresa Only women bleed, una ballad clamorosa che negli anni ’70 non venne compresa a dovere, tanto che venne chiamata in alcune versioni solo “Only women”. È il Cooper più vicino che mai a chi soffre, in un disco tra i più belli mai concepiti da mente umana, Welcome to my nightmare. Ascolto obbligato per tutti.

Architecture in Helsinki – The owls go

A questi non sono arrivato da solo, ma è un suggerimento che ho accolto molto volentieri anche perché gli Architecture in Helsinki ci aiutano ad allentare il ritmo, sono piacevoli e gradevolissimi, leggeri quanto basta per spostare via qualche nuvola e riportare un poco di primavera in questo grigio autunno mentale chiamato lunedì. Bel gruppetto australiano, cinque dischi all’attivo più un altro in divenire, ci andiamo ad ascoltare The owls go, fondamentalmente la prima che mi ha rapito da subito perché i gufi, mi ha insegnato David Lynch, non sono quello che sembrano. Effettivamente qui c’è un pop semplice e diretto, schietto e che non ha motivo di vergognarsi della sua natura. È puro e pulito, bello come piace a noi.

Franco Battiato – Torneremo ancora

David Bowie in punto di morte scrisse Blackstar, un disco da molti definito come il testamento del Duca Bianco. L’uscita di Torneremo ancora è stata accolta da tanti come il testamento artistico di Franco Battiato, un artista come l’Italia non aveva mai avuto e come forse mai avrà. Unico nella sua grammatica, nel linguaggio, nel modo di porsi musicalmente e di persona. Torneremo ancora rappresenta l’alba dentro l’imbrunire, rappresenta quella fiammella di speranza ancora viva nella musica italiana, è una pietra angolare, l’ennesima di un Maestro che, dopo una carriera costellata di successi sempre seguendo il proprio gusto personale, non piegandosi a nulla se non alla sua volontà, riesce ancora, con pochi minuti, con una voce inconfondibile e uno stile irripetibile, a dire in pochissimo quanto tanti non riuscirebbero a pensare in una carriera intera. Grazie Maestro, di cuore.

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