di Alessio Caspanello e Marino Rinaldi

MESSINA. Da Hollywood, California, a Torre Faro, Messina, il salto è lungo. È lungo geograficamente, è lungo storicamente, è lungo soprattutto economicamente. È, letteralmente, un altro mondo. Che ci viene a fare alla periferia di Messina un regista che ha diretto il quarto film del fortunato franchise “Free Willy”? Will Geiger la domanda se l’è sentita porre più o meno venti volte al giorno, da quando ha deciso di stabilirsi a Capo Peloro e vedersi il nome storpiato in “Willy” dai pescatori suoi amici. E in genere risponde sornione, prima di prendere un respiro e, in dieci parole, ricordarti perché ha deciso di costruire mondi e raccontare storie per mestiere. Una di queste è quella della sua vita, e di come il suo destino si sia incrociato con quello dello Stretto. Da quando era bambino.

Il legame “paranormale” fra Messina e Will Geiger, newyorkese di New Rochelle e figlio di un agente sotto copertura dell’Fbi, ha origine quando, in un paesino del South Carolina in cui il mestiere del padre l’aveva portato a vivere, durante una lezione di geografia la maestra propose agli alunni un compito insolito: realizzare un report di fantasia su un posto sconosciuto del mondo, da scegliere puntando un dito a caso sul mappamondo. La sfera gira e il globo compie un paio di piroette, fin quando l’indice del tredicenne si posa per pura fortuna nel cuore del Mediterraneo, sulle coste dello Stretto. Messina. Un nome mai sentito prima, che Will riporrà presto in un cassetto sperduto della memoria.

Nel frattempo gli anni passano, e il giovane statunitense vive seguendo i ritmi imposti dal lavoro del padre, spostandosi di continuo di città in città, fra indagini, misteri, complotti, crimini e operazioni di intelligence. Col tempo si specializza in teatro all’Università della California, studia recitazione e regia alla Royal Academy of Dramatic Arts di Londra e ben presto riesce a coronare il suo sogno di diventare regista, girando fra il Sudafrica e l’Australia il film “Free Willy – La grande fuga”, seguito del fortunatissimo lungometraggio hollywoodiano.

Mentre la vita scorre, senza che lui se ne renda conto, la sorte continua intanto a ordine la sua trama.

Il coup de théâtre arriva inaspettato qualche tempo fa, quando la moglie romana di Will gli propone un viaggio in Sicilia per andare a trovare uno zio. «Bello! Ma in Sicilia dove?». Messina. Quella stessa città – scoperta e immaginata ai tempi della scuola – in cui Will arriva, se ne innamora e non la lascia più, decidendo di viverci ormai da tre anni, fra Ganzirri e Torre Faro, sotto l’ombra del Pilone.

Un luogo dove il regista ha deciso di scrivere e girare un thriller ambientato fra gli anni ‘20 e gli anni ’50 (con due sceneggiature già pronte, una delle quali già con un trailer da mostrare in giro ai finanziatori tra Canada e Germania). Nel cassetto anche il sogno di creare presto una casa di produzione cinematografica sulle rive dello Stretto, ma anche una serie tv a quattro mani col regista messinese Christian Bisceglia.

Seduti l’uno di fronte all’altro, al bar in piazzetta a Torre Faro, davanti a un mezzo freddo («Non lo conoscevo, è delizioso», confessa Will, al quale inspiegabilmente era sfuggito questo fiore all’occhiello della cultura gastronomica): uno che Messina l’ha già resa un incredibile set naturale virato in nero gotico nel film Cruel Peter (uno tra i film italiani contemporanei più venduti all’estero), l’altro che vuole fortissimamente farlo, stregato dalla magia di un luogo che non si riesce a spiegare a parole perché sia così magnetico.

Nel frattempo, i “paesani” passano, lo salutano, lo invitano, gli contano passate, gli offrono (a lui e ai suoi ospiti) il caffè, come se ormai fosse uno del luogo, uno di loro. «Lo stesso calore umano che c’era negli stati del sud in cui ho vissuto l’ho ritrovato qui a Messina», spiega. E di Messina Will ha imparato ad apprezzare i ritmi lenti, dilatati, immutabili. «All’inizio andavo a fare pesca subacquea, e non ho mai preso niente di niente – spiega, ad ampi gesti, come se stesse illustrando una scena ad un attore che sta dirigendo – sono stati i pescatiori di Ganzirri ad insegnarmelo. “Willy, devi diventare una roccia”, dicevano. E intendevano che dovevo stare immobile ad attendere i pesci, non inseguirli…». La frase la lascia sospesa a metà, senza chiare se la circostanza, oltre al valore ittico, celasse qualche significato un po’ più esistenziale.

Come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se il salto da Hollywood a Capo Peloro, dal South Carolina allo Stretto di Messina, da New Rochelle a Ganzirri fosse una cosa normale, consequenziale, consueta. E non un’altra inspiegabile magia di quel lembo di terra stretto tra mare e sogni.

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