Ecco, Gino P. da una parte e Antonio Z. dall’altra, in mezzo un’altra Galleria, un passaggio coperto da qui a lì, dal Consolato del Mare all’Immacolata di Marmo.

In città ultimamente girano tutti in quello sputo di centro densificato di bar, tutti negli stessi piccolissimi posti: sarà la crisi, sarà la pigrizia ma gli abitanti girano su un tappeto di strade e palazzi, grandi quanto il plaid del tuo divano. Si stipano in strada consumano e parlano molto, per non raffreddarsi e farsi compagnia stanno vicini e riempiono gli spazi vuoti del centro città.

Giri e ti pare di vedere sempre le stesse persone, giri e rivedi le stesse incompiute e gli stessi posti un po’ sprecati. No, così per dire, – ma quanti anni sono che diciamo sempre le stesse cose? Aspettiamo di fare la cura, raccontiamo la favola del recupero; ma gira vota e firria scuotiamo la testa mugugnando un po’, ma neanche troppo a lungo, perché poi: -“Dai sbrigati, dobbiamo andare”-.

In giro tra i soliti bambocci ex bimbominkie, digito-lesti accoppiati o scoppiati alle caratteristiche ragazze arancine con i piedi, irrompono nuovi e vecchi coatti con teste modellate da rasature  e pettinature non inseribili in nessun modello di casco  da motorino. Loro sono quelli che animano il disdegno delle Stra/fighissime vaganti, alte sui tacchi quanto la somma della statura della loro madre sommata all’altezza dell’amante del loro padre.

In questo carosello di frantumi di bottiglie di birra e razzi di sughero avanzati delle stappate di mezzanotte, emerge tutto quello che non si è fatto,e di cui non sai perché prima non si era fatto e soprattutto perché non lo stai facendo. Risale tutto a galla e così tra la folla sono risaliti Gino P. e Antonio Z., uno a un capo della galleria e uno all’altro capo, uno a sud e uno a nord, uno in ombra e uno in luce. Uno arrabbiato da tanto tempo,  perché qualcuno spettegola in giro, e dice che con il suo, progetto del palazzo Municipale avrebbe causato il primo debito fuori bilancio, e poi perché aveva begato e tolto l’incarico al primo progetto prescelto, quello di Calderini architetto.

L’altro invece, Gino P., era quello che sembrava placido e tranquillo, sarà stato per lo stile composto che aveva dato al suo palazzo, sarà stato per le fontanelle d’angolo asciutte come le fonti del deserto o per la strada coperta che tagliava l’unità dell’isolato, insomma un po’ per questo e un po’ per quello Gino P. era molto rilassato; forse un rilassamento dovuto anche a quell’acronimo che campeggiava sugli angoli del  palazzo. Sì, Gino P. si tranquillizzava guardando la scritta Inps, e pensava al bella sigla  che avevano inventato, quella di un Istituto Nazionale  di Previdenza e Sociale, roba e parole che oggi sembrano quasi rivoluzionarie: -“Compare…cambia verso! Ancora con lo statalismo previdente? Archeologia da rottamare.- Così gli schiamazzava sgommando il rappresentante del popolo, gettando una voce dal coupé sportivo.

I due architetti, estranei alla città, provarono prima a costruirla e dosarne i monumenti poi si assopirono facendo un passo indietro, ora dopo quasi un secolo si fissarono per il fatto che volevano proprio cambiarle verso. Si posero ai due capi del passaggio, dietro i bei cancelli di ferro battuto. Si guardarono a lungo ed erano sempre lontanissimi, sembrava la scena di un duello urbano, un thriller in centreville.

Il primo gridò all’altro, “Ehi Buondì! Lei, L’Esimio architetto Peressutti!”

– “Questa città ha troppa “Lissa”, come si dice qui, e quando non ha la lissa, piccona e cancella quello che trova lungo la via…

– “Prima si sono trastullati per decenni dal 1914 al 1935 per costruire quel Tempio che avevo progettato come Municipio, poi con sapiente furia Gesuita e lasciandomi di stucco si sono sbarazzati del collegio e della chiesa di S. Ignazio che avevo costruito in piazza Cairoli.”

L’altro Rispose:- “Ma sa, Carissimo arch. Zanca mentre perdevano tempo e preparavano la costruzione della casa delle lentezze, ( ehi tranquillo non era contro di lei, fanno ancora così, si aspettano sempre svincoli, porti, strade e vie donblasco, Piloni etc! ), vidi issare sul vostro Classico palazzo simboli ittici di bestie dalla bocca larga, immagini esplicite della vostra idea figurata dei messinesi; era il 1926 ed  io  costruivo accanto questo palazzo attraversabile, con zampilli settecenteschi a ogni spigolo. Due palazzine unite da questa Galleria con una faccia che guarda l’altra,  tanto che  partendo dal vostro lato voi sareste arrivati al mio cospetto, così come la mia persona incamminandosi sarebbe giunta sin da voi. “

Nulla e poi Nulla, Niente di Niente, il cancello è sempre chiuso; “Vi guardo da lontano e per parlarci dobbiamo rigirare intorno all’isolato; – Illustre architetto Zanca, insomma cambiamo verso e apriamo i cancelli, cambiamo tutto e passiamo, il verso è quello di apertura e quello dei cancelli, però per favore senza fare porte girevoli con rotazione bloccata sui poteri e le competenze.”

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