MESSINA. Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Lidia Naccari, studentessa del dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università degli studi di Messina che espone una sua riflessione prima sulla didattica a distanza, introdotta proprio nell’anno della sua iscrizione all’università, e poi sul futuro dei giovani: “È andato perso oramai il piacere dello studio, dell’appropriarsi della cultura non per un obbligo bensì per appagamento personale”.

Di seguito la lettera integrale:

 

Lunedì, 15 Marzo 2021

Sveglia alle 7:00, un lunedì mattina che sa di arancione; no, non faccio riferimento ai fiori, al polline, ai raggi caldi del sole primaverile.

Arancione è il colore che prende una zona che sa di restrizioni già sentite e risentite.

Esattamente come un anno fa, con troppe perdite alle spalle ed un domani totalmente incerto.

Nel mezzo di questo lasso di tempo in cui il mondo si è fermato in pochi hanno dato rilevanza a quanto tutto ciò possa aver influito sulla psiche.

Ho vent’anni, ventuno tra due settimane.

Non sono mai stata eccessivamente produttiva, devo ammetterlo, ma mi colmavo di piccole cose: dei doveri essenziali, e dei piaceri.

Ho perso la possibilità di godermi il primo anno di università, di arrivare in ritardo alle lezioni o lasciarne qualcuna in anticipo, di alzare la mano e guardare negli occhi i miei docenti mentre formulo una domanda.

La DAD non mi soddisfa, per quanto efficiente possa essere il servizio prestato, per quanto i docenti stessi si sforzino di renderla meno meccanica di quel che è; perché umana, spontanea, non può definirsi.

Questo, insieme a molti altri aspetti che hanno caratterizzato quest’anno, ha contribuito ad instaurare in me un profondo stato d’ansia.

Alle radici vi è indubbiamente un fatto che nulla ha a che vedere con quarantena, covid19 e restrizioni: viviamo in un mondo in cui a vent’anni devi rincorrere il tempo per sentirti realizzato.

È andato perso oramai il piacere dello studio, dell’appropriarsi della cultura non per un obbligo bensì per appagamento personale.

Studia, fai in fretta, datti gli esami, passa l’ofa, guadagna crediti, che altrimenti non ti laurei in tempo!

E allora vai fuori corso, e se vai fuori corso perdi punti, se perdi punti hai meno probabilità di un buon voto alla laurea, e se non ottieni un buon voto alla laurea finisci in basso nelle scelte per un posto di lavoro.

Perché si sa che, ad oggi, va premiato chi corre all’impazzata perdendosi nel mentre pezzi di vita, anziché chi segue il proprio tempo senza rischiare di cadere.

Ed è vero che nella vita si cade, e ci si rialza, centinaia di volte, ma tutti temiamo un giorno di non avere più la forza di reggerci sulle proprie gambe.

E cosa temiamo ancor più? Di sentirci dire ‘’per così poco, per un po’ di studio, non stai facendo niente dell’altro mondo, molti altri lo fanno!’’

Lo studente universitario passa i propri anni di studio a sentirsi dire ‘’hai visto **? Si è già laureato, come ha fatto? Come mai tu devi ancora darti le materie del primo anno?’’ ‘’forse, se non riesci a passare quella materia, la facoltà non fa per te’’ ‘’forse non sei portato per lo studio, peccato che per trovare lavoro bisogni avere la laurea’’; e proprio qui volevo arrivare.

Prendere una laurea è divenuto un obbligo dettato dalla necessità di trovare un lavoro, quando in realtà dovrebbe trattarsi niente più e niente meno del profondo desiderio di approfondire quelli che sono i propri interessi e acquisire conoscenze più approfondite per quelle che sono le ambizioni per il futuro.

Invece no, niente affatto! Corri, che ti devi laureare in una facoltà che hai scelto perché offre più sbocchi lavorativi, lasciati nel mentre alle spalle la facoltà di psicologia che tanto sentivi tua ma che non ti avrebbe permesso un posto di lavoro in poco tempo; lasciati alle spalle le passioni e pensa agli obblighi, agli obblighi, agli obblighi.

Altrimenti non lavori, non ti sposi, non hai una macchina tua e non puoi comprare casa, e i genitori non sono eterni, e chi ti campa?

Corri, dannazione, corri, che se sei nato in questo trentennio non c’è nulla che ti aspetta la fuori, a meno che tu non sappia cantare, ballare, vendere prodotti tramite storie instagram o cercare l’amore della tua vita a uomini e donne.

Non perdere neanche un anno, che altrimenti ti invalida, se ne perdi due ancor peggio.

Prendi la licenzia media, che tanto non ti serve, hai bisogno del diploma.

Ah, hai preso il diploma? Ma con quanto sei uscito? Non sei arrivato al 100, nonostante i punti bonus? Ah, va bene, tanto ti serve la laurea, è quello che conta.

Altrimenti non trovi lavoro, e se lo trovi sei sottopagato, messo in prova, con contratto a scadenza trimestrale, precario come una foglia poggiata sull’asfalto in pieno autunno.

Arrenditi alla consapevolezza di essere costante preda dei venti, di doverti scansare dalle suole di chi ce l’ha fatta e non ti vede mentre rischia di calpestarti, dalla vecchia generazione che ti squadra con sdegno e disprezzo perché loro a vent’anni erano imprenditori e tu guardati, sei niente, niente, niente.

Allora zitto, che si parte da zero, accontentati degli orari lunghi di lavoro e la paga bassa, e se sei donna ancor peggio, e se sei donna assicurati che il titolare non rimanga con te da solo che molti uniscono l’utile al dilettevole e tanto sei in prova, se non ci stai puoi anche andar via.

Perché sei giovane, senza esperienza. Chi ti prende? Zitta, zitto, non lamentatevi, voi giovani d’oggi, impossibili da accontentare. Volete tutto, volete troppo.

Ci avete tolto tutto, ci avete tolto troppo. Possiamo solo correre, cadere, sperare di rialzarci e piangere per chi invece a rialzarsi non ce la fa, e rimane indietro, e se ne va perché fa schifo il mondo che ci avete lasciato in mano.

Solo ansia, panico, il respiro corto, i pianti, l’emicrania, l’inquinamento, i debiti, un governo precario, un virus che non sapete gestire e limitare, corruzione, delinquenza, abusi di potere, disparità, disuguaglianza.

Che ingrati, noi giovani d’oggi, che vorremmo soltanto vivere la nostra età e ci rimane in bocca l’amaro, l’insoddisfazione, mentre sbracciamo per affogare nella realtà in cui ci avete lasciati.

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