La Galleria INPS
Quello spazio urbano in origine concepito come una sorta di transito d’onore tale da consentire il collegamento diretto e riparato tra la cattedrale del Duomo ed il palazzo comunale, in cui l’intervento dei privati ha cancellato ogni traccia del prospetto originale, è il perfetto paradigma dell’immobilità da bradipo di questa città, e del suo inarrivabile talento per la distruzione del bello e l’entropia che fa trionfare il brutto.
Due anni fa, il 28 settembre, la galleria è stata “riaperta” , con la cerimonia della sottoscrizione tra l’inps, ordine Architetti e Fondazione Architetti nel Mediterraneo per la “concessione in uso” della Galleria, alle due istituzioni, le quali si sono impegnate ad effettuare i lavori di restauro e messa in sicurezza della galleria stessa, con l’impegno di destinarla, per il futuro, allo svolgimento di attività culturali connesse esclusivamente ai loro compiti istituzionali.
Da quel giorno, come ogni volta che la galleria viene aperta per qualche ora per ospitare qualche rara manifestazione, ci si adombra per la indecente condizione in cui versa e l’incresciosa fine che ha fatto. Poi si chiudono i cancelli e tutto torna come prima.
La Galleria, pregevole esempio di stile “eclettico messinese” – costruito nel lontano 1926 – sull’area dell’isolato 318 su progetto di Gino Peressutti. Da un decennio, nell’ingresso lato Comune è stata montata un’impalcatura a sorreggerne la volta, ormai arrugginita, invecchiata e diventata parte integrante del panorama. Il comparto edilizio di proprietà dell’INPS, seppur fatiscente conserva ancora, quasi integra, parte della originale compagine decorativa. L’altro comparto invece, quello cioè di proprietà privata, è stato improvvidamente “risanato” con un sommario intervento di mera ristrutturazione edilizia, dove la parziale quanto indiscriminata sovrapposizione di un nuovo strato di intonaco ed un altrettanto inopportuno “relavage” della facciata ha, irrimediabilmente cancellato, ogni traccia del prospetto originale.
E la città resta a guardare, mesta, di fronte a quei cancelli chiusi