Pogues – Fairytale of New York

La canzone di Natale più bella di tutti i tempi non ha nulla a che vedere con la forma del natale: il testo è una lunga storia di degrado e rassegnazione, di avvinazzati finiti in galera, di sogni infranti e presente da dimenticare seppellendolo nell’alcool, di due che una volta – forse – erano innamorati e ora non si sopportano più, condividendo (solo perchè costretti) vizi e povertà, e che per questo si insultano per tre quarti della canzone. Ha però tutto a che vedere con lo spirito del Natale, e i due che hanno passato cinque minuti a dirsene reciprocamente di tutti i colori, si ritrovano uniti in uno dei più bei versi mai scritti dall’uomo: “Can’t make it all alone/I’ve built my dreams around you“. Aiuta il fatto che i Pogues fossero musicisti che maneggiavano la materia come pochi altri al mondo (in maniera talmente sublime che in pochissimi si sono cimentati in cover della canzone, consapevoli dell’inarrivabilità dell’originale), e che a narrare una storia in cui anche nella disperazione c’è qualcuno a cui aggrapparsi, sia uno che queste cose le viveva sulla sua pelle ogni giorno della sua vita, il mai troppo lodato Shane McGowan, la definizione da manuale di “poeta maledetto” (altro che Jim Morrison), morto dopo una vita dissoluta e travagliata giusto un mese fa.

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Darlene Love – Christmas (Baby Please Come Home)

Nel 1963, il genio (criminale, ma sempre genio) di Phil Spector rivoluzionava per sempre il mondo della musica producendo capolavori uno alla settimana, tutti col suo caratteristico marchio di fabbrica del “wall of sound”, una saturazione auditiva di decine di strumenti sovrapposti che crescevano d’intensità a sottolineare i momenti salienti delle canzoni, gemme pop affidate ai gruppi più disparati. Tra queste, c’è questa storia d’amore, di quelle ingenue e dolci-amare, adolescenziali, che Spector aveva affidato alla ventiduenne Darlene Love, che la canta con il trasporto di una che sta per vivere il Natale più brutto della sua vita, anche se tutto è bene quel che finisce bene (forse, con Phil Spector era sempre meglio non azzardare pronostici), mentre tutt’intorno voci, cori, chitarre, percussioni, pianoforti, fiati, campane e sezioni orchestrali fanno volare la musica con andamento quasi Wagnewriano, ed elevano lo spirito di venti tacche. Come pressochè tutte le canzoni di Natale, anche questa, diventata un classico, è stata ammorbata da riedizioni imbarazzanti. Da segnalare, per evitarle come la rogna, quelle di rara bruttezza di Michael Bublè e quella di altrettanto rara inutilità di Mariah Carey. Viceversa, è di una bellezza abbagliante la versione elettro-shoegaze dei Raveonettes

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Band Aid – Do they know it’s Christmas

Bono, Phil Collins, Boy George, Sting, George Michael, Paul Weller, pezzi di Duran Duran e Spandau Ballet e una trentina di altre star stracciaclassifiche inglesi, una notte del 1984 si riuniscono in uno studio, e sotto la regia di Bob Geldof e Midge Ure tirano fuori una canzone corale di enorme impatto ed efficacia, e con un potentissimo messaggio, e inaugurano il filone “artisti sensibili ad un problema (in questo caso la fame in Africa) che si riuniscono e fanno cose”, subito seguiti dagli americani che qualche mese dopo si sarebbero cimentati in We Are the World. In genere queste paddazze finiscono malissimo, con risultati a metà tra il comico e il tragico, vedi la riedizione di Volare di Domenico Modugno martirizzata dal progetto “Musica Italia per l’Etiopia”, o l’altra mezza dozzina di cover di questo pezzo negli anni successivi, sempre con artisti inglesi, sempre meno bello, sempre meno significativo. Ma questo accadrà dopo: Do they know it’s Christmas (che poi diede vita al più grande concerto di tutti i tempi, il Live Aid, tenuto addirittura in due continenti diversi) è una grandissima canzone pop, dal miracoloso equilibrio e dal significato per niente banale, e non il capriccio di una cinquantina di rockstar annoiate. Di quelle che rimangono nel tempo.

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John Lennon – “Happy Xmas (War Is Over)”

Diciamoci la verità, che è Natale e siamo tutti più buoni: la produzione solista di John Lennon è molto spesso una paraculata. Però siccome John Lennon è John Lennon, anche una sua paraculata è pure sempre lì, in alto nell’olimpo della musica contemporanea. Nel 1971, in pieno trip messianico, l’ex Beatle si era messo in testa di voler salvare il mondo, e aveva scritto una canzone di Natale che canzone di natale non era (fateci caso, le migliori canzoni di Natale di natalizio non hanno mai niente), ma più che altro era una canzone di protesta contro la guerra in Vietnam: messaggio quantomai attuale oggi. Curiosità, è la seconda canzone prodotta da Phil Spector, che evidentemente col Natale aveva un feeling particolare (nonostante sia morto in prigione due anni fa mentre scontava una condanna a 19 anni per omicidio). “A very merry Christmas and a happy new year/Let’s hope it’s a good one without any fears“, cantava John Lennon, augurandosi che la guerra terminasse. Ma anche come augurio generale, non è che sbagliasse di molto.

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Ramones – Merry Christmas (I Don’t Want To Fight Tonight)

Più che una canzone di amore e buoni sentimenti, sembra una richiesta di quelle che arriva al culmine dell’esasperazione. D’altra parte non è che uno pensando al Natale gli vengono immediatamente in mente i Ramones, diciamo, e un motivo ci sarà pure. Eppure chi li conosce bene sa che nel loro modo goffo, demente, impacciato e sbilenco i quattro (finti) fratelli newyorkesi di sentimenti ne avevano cantati a pacchi lungo tutta la carriera, con canzoni stupefacentemente deliziose che piegavano il punk al pop più zuccheroso. Ecco, questa canzone non è uno di quei momenti, e nemmeno uno dei momenti più ispirati dei quattro: posta alla fine di un disco che non è esattamente il loro capolavoro, si fa comunque valere perchè, alla fine, i Ramones una canzone brutta non l’hanno mai scritta, il Natale non è solo fatto di canzoni lente e mielose, e quando Joey Ramone racconta una storia ingenua e di una normalità disarmante (chiede dove siano le renne chiamandole per nome, tanto per capirsi), e poi alla fine canta “I loved you from the start / ‘Cause Christmas ain’t the time for breaking each other’s heartnon gli si può non volergli un gran bene (soprattutto immaginandosi la scena di questo spilungone sdillico di forma vagamente insettoide aliena che pronuncia quelle parole).

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