MESSINA. “Ho iniziato a preparare i pacchi per traslocare da palazzo Zanca… Voglio lasciare la mia stanza ordinata per il Commissario che mi sostituirà”. Scriverlo, su Facebook, è il sindaco Cateno De Luca, che si appresta ad affrontare i suoi ultimi 10 giorni da sindaco prima delle sue dimissioni, già rassegnate ed effettive a partire dal 14 di febbraio (Corte dei Conti permettendo, qui tutta la vicenda spiegata bene).  Cosa succede adesso? In caso di dimissioni (o rimozione, decadenza, morte o impedimento permanente), la prassi seguita dalla Regione Siciliana comporta la cessazione dalla carica della giunta ma non del consiglio comunale, che resterebbe in carica, e la nomina di un commissario straordinario da parte dell’assessorato agli Enti locali: fino al suo arrivo, nel giro di una decina di giorni tra nomina e insediamento, le funzioni del sindaco saranno svolte dal vice sindaco e dalla giunta. Il commissario svolge le funzioni di ordinaria amministrazione fino alla prima tornata elettorale utile nella quale sarà eletto il nuovo sindaco e il rinnovato consiglio comunale.

Quello che arriverebbe a Messina antro la fine di febbraio sarebbe il quarto commissario (nominato), su cinque sindaci eletti, probabilmente un record. Praticamente negli ultimi 19 anni solo una delle sindacature che si sono succedute alla guida di Palazzo Zanca ha avuto la sua naturale conclusione. Le altre quattro, in qualche maniera, sono terminate con un commissariamento: è il poco invidiabile record che la città dello Stretto ha accumulato dal 2003 ad oggi, con il solo Renato Accorinti ad aver portato a termine, benché con l’inciampo di una mozione di sfiducia che poi non è passata, la scadenza naturale del termine amministrativo.

Le dimissioni di Cateno De Luca farebbero arrivare a Messina un altro commissario, che si andrà a sommare ai tre che hanno governato la città subito dopo la decadenza o le dimissioni degli altri sindaci. Chi sono stati?

Bruno Sbordone per un lungo periodo di tempo, praticamente due anni, dopo la decadenza di Giuseppe Buzzanca nel 2003 a causa della condanna per peculato d’uso che era incompatibile con il suo ruolo da primo cittadino. Un periodo di tempo lunghissimo, da dicembre 2003 a dicembre 2005, in cui il prefetto di origine napoletane ha governato la città con l’ausilio del Consiglio comunale, ma soprattutto dell’allora direttore generale Gianfranco Scoglio, con una produzione “monstre” di quasi duemila provvedimenti adottati.

Gaspare Sinatra, subentrato dopo la decadenza di Francantonio Genovese nel 2007 per via di un incredibile ricorso elettorale che all’epoca invalidò le elezioni di dicembre 2005, facendo decadere anche il Consiglio comunale: la diatriba riguardava un ricorso vinto davanti al Consiglio di giustizia amministrativa del candidato a sindaco Antonio Di Trapani e della lista del Nuovo Psi di Gianni De Michelis, esclusi dalla competizione elettorale, portato avanti da un gruppo di napoletani (candidati in una lista al Consiglio comunale) che avevano zero interesse nelle vicende messinesi. Sinatra, funzionario regionale, governò da solo, coi poteri del consiglio e della giunta (e persino di quelli dei consigli di circoscrizione, decaduti anch’essi), da fine ottobre 2007 a fine giugno 2008.

Anche la seconda sindacatura di Buzzanca, iniziata nel 2008, è terminata anzitempo: stavolta per sua volontà. L’allora primo cittadino rassegnò le sue dimissioni il 31 agosto, in tempo per poter partecipare alle consultazioni regionali, qualche mese dopo, dalle urne delle quali uscì comunque sconfitto. A prendere il suo posto fu l’ex procuratore capo Luigi Croce, da settembre 2012 a giugno 2013, in uno dei periodi più nefasti della storia messinese: il commissario prima annunciò (in una tetra conferenza stampa) che il comune di Messina aveva oltre mezzo miliardo di debiti, e che avrebbe dovuto, per legge, dichiarare il default. Successivamente considerò che una decisione tanto vincolante per il futuro avrebbe dovuto prenderla un sindaco, e aprì alle “consultazioni” con gli allora candidati. L’unica ad essere favorevole al default fu Maria Cristina Saija del Movimento 5 stelle. Accorinti, che qualche mese dopo, a fine giugno 2013, vincerà le elezioni (e terminerà il suo mandato senza commissariamenti) e arriverà all’incontro indeciso, ma propenso per il dissesto, lasciando la stanza del commissario convinto invece della possibilità di aderire al piano di riequilibrio.

 

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