MESSINA. “La giustizia è oggi il cancro dell’Italia, perché la magistratura non ha fatto in pieno il proprio dovere, che non funziona perché incompetente, corrotta e politicizzata, che pensa ad esercitare un potere invece che servire la collettività”. Ci va giù duro Carlo Taormina, già parlamentare e oggi avvocato difensore di Cateno De Luca, il deputato regionale che contro la magistratura messinese ha deciso di sferrare un attacco frontale senza precedenti.

De Luca ha depositato stamattina, presso la Procura di Reggio Calabria, una denuncia nei confronti di Vincenzo Barbaro, procuratore generale di Messina, e contro i magistrati Liliana Todaro e Antonio Carchietti, contro il gip Monia De Francesco.

De Luca chiede “che l’Autorità giudiziaria adita voglia procedere per l’accertamento dei reati di calunnia, falso ed omissioni in atti giudiziari, tentata estorsione, falsa testimonianza, abuso di potere, occultamento di prove, violazione del segreto professionale ed altri reati eventualmente ravvisati in relazione alla complessiva esposizione dei fatti”. “I fatti” si riferiscono a quello che De Luca ed i suoi legali, Taormina e Tommaso Micalizzi, hanno allegato alla denuncia come il file “Oltre dieci anni di aggressione giudiziaria della Fenapi”.

Oltre ai magistrati, De Luca la denuncia l’ha inoltrata anche contro il commercialista Corrado Taormina, consulente tecnico in uno dei procedimenti in cui De Luca è indagato, e Giovanni Cicala, l’avvocato dalla testimonianza del quale è partito il procedimento per evasione fiscale legato al Caf Fenapi che ha visto finire De Luca ai domiciliari due giorni dopo l’elezione all’Ars. Oltre a loro, ci sono anche sette militari della Guardia di Finanza del nucleo di Polizia tributaria di Messina.

De Luca ha svelato l’esistenza di altri tre allegati, al momento “secretati”. Oltre a quello della Fenapi, infatti, ci sono anche “Le contestazioni al tribunale di Messina”, Le contestazioni alla Guardia di Finanza”, “Le contestazioni all’avvocato Giovanni Cicala”.

Un De Luca torrenziale, che durante la conferenza stampa si è lanciato in una lunga filippica: “Io sono vivo solo perché fino ad ora ho parlato, se non avessi parlato a quest’ora sarei morto”, ha affermato l’ex sindaco di Santa Teresa. “Sono fortemente tentato di creare un’associazione contro le vittime del tribunale di Messina e un centro di ascolto, che non coinvolge solo il profilo penale della vicenda, ma anche la dimensione umana. La mia battaglia è anche quella dei tanti magistrati onesti che spesso subisce pressioni. Se io oggi sono libero è a loro che lo devo, la mia è una battaglia per la giustizia giusta”

Poi l’annuncio: “Attraverso un atto ispettivo voglio scoprire quanti figli e parenti ci sono nel mondo della formazione e delle partecipate regionali, lo farò attraverso la commissione antimafia del parlamento regionale. Questo sarà il mio primo atto da deputato all’Ars”

 

Di seguito, il testo integrale della denuncia presentata al tribunale penale di Reggio Calabria – Procura della Repubblica

 

ATTO DI DENUNZIA

 Il sottoscritto Cateno Roberto De Luca, nato a Fiumedinisi (ME), il 18 marzo 1972 e residente in Messina, via Oratorio San Francesco is. 306, n. 5, ma elettivamente domiciliato, in relazione a quanto conseguente al presente atto, presso lo Studio dell’Avv. Prof. Carlo Taormina, in Roma, alla Via Federico Cesi n. 21, che nomina proprio difensore, unitamente all’Avv. Tommaso Micalizzi, con facoltà di operare congiuntamente o disgiuntamente

PREMESSO

  • Che il sottoscritto dopo la sua elezioni al Parlamento Siciliano, maggio 2006, è stato bersaglio di attacchi e denunzie per aver duramente combattuto il malaffare politico e mafioso prendendo di mira anche le connivenze tra i vari Palazzi Istituzionali tra i quali anche quelli di Giustizia. Emblematico in tal senso è il contenuto della lettera di dimissioni dell’esponente dal Parlamento Siciliano del 17 luglio 2012, a seguito dell’imminente rinvio a giudizio per il procedimento penale 4700/2009 (assolto nel 2017 !) di cui se ne riporta un significativo frammento: “ ….. sono state effettuate, dal 2007 in poi, oltre 5000 assunzioni tra le quali parrebbe esserci anche quelle di figli e stretti congiunti di Parlamentari siciliani e nazionali, di assessori regionali, di magistrati, di sindacalisti, di alti burocrati regionali e di rappresentanti di organi di controllo dello Stato…”
  • Che il sottoscritto dopo il suo arresto del 27 giugno 2011 si è concentrato esclusivamente sui faldoni dei procedimenti penali dimettendosi prima da sindaco di Fiumedinisi e poi dal Parlamento Siciliano perché aveva capito, fin da subito, che lo attendeva un lungo calvario giudiziario che andava affrontato con determinazione attaccando gli autori, i complici ed i fiancheggiatori della trappola giudiziaria che era stata imbastita per stroncare la propria ascesa politica essendo diventato, in quel periodo, un uomo ritenuto potente senza padroni e l’unico oppositore al sistema di potere politico – mafioso che governava la Sicilia. Per i dettagli si fa espresso rinvio alla documentazione  allegata alle due denunzie già consegnata all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria, contenenti i riferimenti fattuali che sono utili per un inquadramento sistematico della vicenda che adesso ci riguarda;
  • che il 27 giugno 2012 il sottoscritto ha denunziato quel verminaio che ancora continua a strumentalizzare una parte del Tribunale di Messina per finalità illecite rappresentato da illustri esponenti degli organi inquirenti e della magistratura, da liberi professionisti, da rappresentanti delle associazioni ambientaliste, da influenti pezzi della burocrazia regionale, da noti esponenti del mondo politico e da alcuni dichiaranti che, stabilmente, nell’ambito del procedimento penale 4700/2009 hanno agito per bloccare la crescita politica dell’esponente causandone, tra l’altro, il suo arresto e di altre tre persone con un processo che ha visto alla sbarra per oltre sei anni ben diciassette imputati per abuso, falso e tentativo di concussione presuntivamente commessi tra il 2005 ed il 2010 mentre l’esponente era sindaco del comune di Fiumedinisi, deputato del Parlamento Siciliano e leader del movimento politico autonomista Sicilia Vera;
  • che per i gravi fatti già denunziata il 27 giugno 2012 all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria nei confronti degli organi inquirenti di Messina ed altri ne è scaturito un apposito procedimento penale, n. 1668/14, per il quale l’esponente è stato sentito il 24 settembre 2014 e tutt’ora pendente (sic!) presso la Procura della Repubblica di Catanzaro in quanto al Tribunale di Reggio Calabria nel frattempo era stato trasferito un Pubblico Ministero coinvolto nei fatti denunziati;
  • che l’esponente ha subito ben sedici procedimenti penali per non essersi mai piegato alla politica del malaffare e per aver prontamente denunziato gli organi inquirenti che si sono prestati a questo disegno criminale: la reazione dell’intero sistema si è riscontrata soprattutto a seguito della presentazione di più denunzie da parte dell’esponente subito dopo il suo arresto del 27 giugno 2011, allorquando la Procura della Repubblica di Messina che aveva avviato una vera e propria caccia all’uomo, ha aperto a carico del sottoscritto numerosi e progressivi procedimenti penali, ad oggi tutti chiusi con sentenze di non luogo a procedere ed archiviazioni per l’inconsistenza delle accuse per come si evince dall’allegato curriculum giudiziario;
  • che il disegno criminoso non riguardava soltanto l’abbattimento dell’uomo politico ma anche la sua distruzione ed umiliazione professionale rappresentata dal mondo FENAPI – Federazione Nazionale Autonoma Piccoli Imprenditori: l’esponente è stato per quasi venti anni Direttore Generale oltre ad essere stato il fondatore, unitamente ad altri, della FENAPI e di tutti i suoi Enti, che operano nel settore fiscale e sociale in 78 provincie e 18 regioni  con oltre mille sportelli operativi dei suoi enti di servizio come il Patronato INAPI, il CAF FENAPI, il CAA FENAPI ed altri ancora;
  • che il 18 ottobre 2016 sempre nell’ambito del proc. pen. 4700/2009, in vista dell’udienza del 21 ottobre 2016, i Pubblici Ministeri Liliana Todaro e Vincenzo Barbaro hanno tentato l’affondo finale chiedendo ben cinque anni di reclusione per il l’esponente con il deposito di una memoria conclusiva che prevedeva la prescrizione per alcuni capi di imputazione e la condanna per altri capi di imputazione, mettendo sempre più in evidente imbarazzo anche il Collegio Giudicante per l’inconsistenza delle accuse originariamente formulate e per i numerosi falsi ed omissioni contenute nel conclusivo atto di accusa formulato dall’Ufficio di Procura;
  • che il 23 dicembre 2016 il sottoscritto ha presentato un ulteriore denunzia all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria per i delitti di abuso di potere, falso ed omissioni in atti giudiziaria ed occultamento di prove, falsa testimonianza e calunnia nei confronti di ben 31 soggetti che, a vario titolo, sono stati coinvolti nel procedimento penale 4700/2009 con particolare riguardo gli organi inquirenti di Messina;
  • che il 30 gennaio 2017 il sottoscritto, per mero scrupolo cautelativo e difensivo, ha presentato anche istanza di rimessione chiedendo lo spostamento del processo a Reggio Calabria alla Suprema Corte di Cassazione che pur ritenendola, in prima battuta, fondata l’ha respinta il 26 settembre 2017 dopo una lunga fase istruttoria. E’ appena il caso di evidenziare che l’atteggiamento del Tribunale, a seguito della presentazione dell’istanza di rimessione, è cambiato radicalmente a punto tale che alcuni immotivati dinieghi più volte pronunciati dallo stesso Tribunale su istanza della difesa dell’esponente sono stati all’improvviso ribaltati dai Giudicanti,  sbloccando una serie di procedimenti amministrativi quali la realizzazione della strada di lungo fiume e la ripresa dei lavori per la realizzazione del campo di calcio indispensabili per poter dimostrare l’inconsistenza e la falsità delle contestazioni formulate ab origine dall’Ufficio di Procura. E’ doveroso dare atto anche in questa sede che l’intero collegio, a seguito del deposito dell’atto di rimessione, aveva inoltrato istanza di astensione dal processo prontamente respinta dal Presidente del Tribunale di Messina;
  • che il 6 novembre 2017 il sottoscritto risultava eletto al Parlamento Siciliano nella lista UDC – Sicilia Vera in rappresentanza del collegio di Messina nonostante i costanti e spropositati attacchi mediatici subiti per essere costantemente additato di far parte della cosiddetta “lista degli impresentabili” per l’ultimo procedimento penale ancora pendente, il 4700/2009, rispetto ai quattordici già chiusi con la più ampia formula di innocenza;
  • che il 10 novembre 2017 l’accennato procedimento penale 4700/2009 si concludeva in primo grado per tutti gli imputati, compreso il sottoscritto, con sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e per prescrizione pronunciata dalla II sezione penale del Tribunale di Messina. In merito si evidenzia che il sottoscritto, dopo aver letto le motivazioni con il proprio collegio difensivo, probabilmente ricorrerà in appello rinunciando alla prescrizione pronunciata dal Tribunale di Messina su alcuni capi di imputazione (solo al fine di non esporre l’Ufficio di Procura ad una azione risarcitoria per ingiusta detenzione), perché non è intenzionato ad accettare che ci possano essere zone d’ombra sul proprio operato politico – amministrativo. Anche nell’udienza del 9 novembre 2017 l’esponente, pur essendo in stato di detenzione, ha rilasciato dichiarazioni spontanee per oltre un’ora accusando l’Ufficio di Procura di gravi reati e chiedendo che il verbale di udienza venisse trasmesso all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria;
  • che il Tribunale di Messina avrebbe reso vana l’elezione dell’esponente al Parlamento Siciliano (o per quest’ultimo arresto o per la condanna del proc. pen. 4700/2009), era stato più volte accennato qualche giorno prima dalla celebrazione delle elezioni del Parlamento Siciliano del 5 novembre 2017 e l’indomani in occasione dello spoglio elettorale per come già esternato dall’esponente agli organi di stampa;
  • che anche l’odierno ed ultimo procedimento penale n. 3086/2014 si è rivelata una ulteriore trappola giudiziaria ispirata e predisposta dalla “solita mano nera”, già pluridenunziata dall’esponente all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria, che nell’ambito del Tribunale di Messina ha tentato più volte di firmare l’atto di morte politico e professionale dell’esponente innescando numerosi procedimenti penale e verifiche fiscali rivelatesi sempre pretestuosi e strumentali. Per rappresentare sinteticamente l’ulteriore atto di “mafia giudiziaria” (id est: proc. pen. 3086/2014) subito dall’esponente, ulteriormente sventato grazie al provvidenziale intervento di onesti Magistrati del Tribunale di Messina, che evidentemente non si sono fatti  condizionare dalle pressioni che promanano dal semi – vertice dell’Ufficio di Procura, è sufficiente  osservare l’articolazione dei principali profili fattuali:
  1. il 12 gennaio 2017 viene firmata dal Pubblico Ministero la richiesta per l’applicazione delle misure cautelari personali e reali: arresti domiciliari per il sottoscritto e per Carmelo Satta, Presidente Nazionale FENAPI e CAF FENAPI, e sequestro dei beni immobili e finanziari del CAF FENAPI e degli arrestati;
  2. il 3 novembre 2017 viene firmata dal GIP l’ordinanza di applicazione delle misure cautelari personali e reali per come richiesto dall’Ufficio di Procura. Nello stesso giorno il GIP si mette in congedo per gravidanza difficile (sic!);
  3. l’8 novembre 2017, a due soli giorni dalla sua elezione al Parlamento Siciliano, il sottoscritto veniva nuovamente arrestato nell’ambito del proc. pen. 3086/2014 con l’accusa di essere stato il dominus di una associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale per un importo di circa 1,7 milioni di euro per gli anni di imposta 2007 – 2012 a beneficio del CAF FENAPI s.r.l. di proprietà dell’associazione FENAPI (Federazione Nazionale Autonoma Piccoli Imprenditori) di cui l’esponente ne era stato nel 1992 uno dei cofondatori nonché Direttore Generale dal 1997 fino a giugno 2017;
  4. l’11 novembre 2017 il sottoscritto ed il presidente della FENAPI Carmelo Satta si sottoponevano all’interrogatorio di garanzia rispondendo a tutte le domande del nuovo GIP di turno (tante) ed alle contestazioni del Pubblico Ministero (nessuna) ed evidenziando di essere vittime dell’ulteriore trappola giudiziaria organizzata dal già più volte denunziato verminaio che agisce e strumentalizza il Tribunale di Messina. Nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia è stato chiesto all’Ufficio di Procura un immediato incidente probatorio, mettendo a diretto confronto accusa e difesa sulla documentazione versata in atti al fine di poter dimostrare in contraddittorio la falsità dei presupposti fattuali e giuridici su cui si era basata la Pubblica Accusa: da un lato l’esponente e gli altri indagati, con i consulenti e legali di fiducia, e dall’altro i militari della Guardia di Finanza con i consulenti ed i liberi professionisti utilizzati dal Pubblico Ministero per il confezionamento e la formulazione delle fattispecie di reato ipotizzate. Ovviamente il Pubblico Ministero ha taciuto su tale richiesta avendo già prefigurato, per come  si evince dal verbale dell’interrogatorio di garanzia, una lunga fase dibattimentale per un ulteriore processo di almeno cinque anni tra primo ed eventuale secondo grado.
  5. il 20 novembre 2017 ore 8:30 il GIP depositava il provvedimento di revoca degli arresti domiciliari per l’esponente e per Carmelo Satta commutando le cautele personali nel divieto di ricoprire incarichi direttivi e revocando il sequestro dei beni e dei conti correnti personali limitando la misura cautelare reale ai soli beni immobili del CAF FENAPI e non ai conti correnti societari. La complessiva impalcatura accusatoria in relazione ai provvedimenti di custodia cautelare personale e reale veniva del tutto disattesa;
  6. il 20 novembre 2017 ore 9:30 si svolgeva l’udienza del Tribunale del Riesame dove gli indagati De Luca e Satta si sono difesi per oltre due ore attaccando l’Ufficio di Procura e richiedendo l’incidente probatorio per dimostrare immediatamente la falsità delle accuse. L’esponente ha chiesto l’invio del verbale all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria in considerazione delle gravi accuse formulate nei confronti degli organi inquirenti di Messina;
  7. il 20 novembre 2017 ore 11:30 la cancelleria della Commissione Tributaria Provinciale inviava per PEC ai difensori la sentenza per gli anni 2007 – 2010 a seguito del ricorso presentato dal CAF FENAPI nei confronti degli atti di accertamento emanati dall’Agenzia delle Entrate di Messina per le medesime fattispecie di contestazioni tributarie del procedimento penale 3086/2014. Tale sentenza era stata pronunciata il 3 marzo 2017 (sic!) ma veniva depositata in cancelleria soltanto il 16 novembre 2017 ed ha accolto, in parte, le ragioni del CAF FENAPI azzerando circa il 50% della pretesa accertativa scaturente dalla verifica fiscale della Guardia di Finanza di Messina, iniziata il 11 dicembre 2012 e conclusasi con il PVC del 12 maggio 2013, e confermando la complessiva esistenza dei costi dedotti dal CAF FENAPI se pur in parte dichiarati ancora non inerenti. V’è di più, perché la stessa sentenza della Commissione Tributaria di Messina, con riferimento alle sole annualità oggetto anche di procedimento penale (2009 – 2010), annullava quasi completamente la inconcepibile pretesa fiscale ipotizzata dai Militari, riducendo la contestazione fiscale di oltre l’85 percento con riferimento a dette annualità. In definitiva, veniva ulteriormente smentito l’impianto accusatorio dell’Ufficio di Procura del procedimento penale n. 3086/2014 che aveva ipotizzato artifizi e raggiri finalizzati all’evasione fiscale con una vera e propria associazione a delinquere a giustificazione dell’arresto dell’esponente e di Satta ed il sequestro dei rispettivi beni immobili e conti correnti già respinti invece dalla stessa Commissioni Tributaria Provinciale nel 2015. Si è ancora in attesa della sentenza riguardante gli anni 2011 e 2012 e successivamente si procederà all’appello per il complessivo azzeramento della pretesa impositiva a danno del CAF FENAPI, essenzialmente per gli anni non oggetto di indagine penale;
  8. il 20 novembre 2017 ore 14:00 il Pubblico Ministero depositava l’atto di conclusione delle indagini notificato l’indomani a tutti gli indagati. L’udienza del Tribunale del Riesame si era conclusa verso le ore 13:30 in quanto il Collegio ha voluto approfondire il merito delle contestazioni, interloquendo più volte direttamente con gli indagati, mentre il Pubblico Ministero ascoltava in assoluto silenzio avendo probabilmente compreso che stava per saltare l’intero impianto accusatorio, tanto che nelle proprie repliche neanche tentava di difendere i gravi indizi riferibili all’accusa di associazione a delinquere, limitandosi a generiche citazioni dell’ordinanza di custodia cautelare. In effetti, proprio per evitare l’esperimento dell’incidente probatorio più volte richiesto dagli indagati, il Pubblico Ministero ha pensato bene di mettere un punto alla fase preliminare, avendo evidentemente compreso che il Tribunale del Riesame avrebbe sentenziato a favore degli indagati smentendo ulteriormente le farneticanti tesi dell’Ufficio di Procura;
  9. Il 24 novembre 2017 ore 13:30 il Tribunale del Riesame annullava la richiesta di arresto e di sequestro immobiliare avanzata dall’Ufficio di Procura e l’ordinanza di custodia cautelare e sequestro immobiliare disposta dal GIP: gli arresti di Carmelo Satta e Cateno De Luca si erano rivelati illegittimi e della medesima illegittimità era stato dichiarato il sequestro dei loro beni immobili. Per l’Ufficio di Procura si è trattato della terza smentita dell’impianto accusatorio: prima il GIP; poi la Commissione Tributaria; infine il Tribunale del Riesame. E’ stata sufficiente la descrizione con relativa allegazione di una memoria redatta dall’esponente per far comprendere al Collegio del Riesame quanto era inconsistente il castello accusatorio del procedimento penale de quo. Dal 24 novembre 2017 l’esponente e Satta sono ritornati ad essere liberi ed incensurati senza alcuna limitazione personale e patrimoniale.

 

Per quanto premesso il sottoscritto non avendo alcuna intenzione di lasciare impunito quest’ulteriore “atto di mafia giudiziaria”, che intende sempre con più forza denunziare, come ha sempre fatto in precedenza anche a tutela della stragrande maggioranza degli organi inquirenti e giudicanti onesti che giornalmente, anche nel Tribunale di Messina, perseguono il trionfo della “giustizia giusta” con grande spirito di abnegazione ed incondizionato senso del dovere;

 

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