MESSINA. Dalla minaccia di fondare un nuovo movimento meridionalista “Se il governo di Mario Draghi non inserirà nel recovery plan la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina” a “Liberiamo Messina dal ponte di Matteo Verdini” in tre anni netti, passando dal “Io sono e resto un “pontista” convinto, ma prima di parlare di Ponte sullo Stretto il Governo si impegni a garantire l’alta velocità e cambiare la monorotaia che ancora abbiamo in Sicilia!” di meno di un anno fa. Nel giro di un paio di anni, il leader di Sud chiama Nord Cateno De Luca è riuscito ad attraversare tutto lo spettro delle posizioni sull’attraversamento stabile dello Stretto di Messina: da accanito sostenitore a quasi anarcoinsurrezionalista.

La conversione di De Luca nasce più o meno con il ritorno della società Stretto di Messina, riesumata un anno fa dal governo di Giorgia Meloni e fortemente voluta dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. In pratica De Luca era favorevolissimo (“Noi siamo sempre stati per il ponte sullo Stretto di Messina”, scrisse nel 2022, in piena campagna elettorale per le amministrative, parlando anche a nome dell’allora suo candidato Federico Basile) quando la Stretto di Messina era in liquidazione e il ponte era morto e sepolto, minacciando ritorsioni politiche e atti eclatanti, per poi divenire via via sempre più tiepido, fino ad arrivare alla netta opposizione dell’ultimo periodo, una volta che il progetto è stato ritirato fuori dalla naftalina e l’iter è ormai lanciato.

Fino a sei mesi fa, la sua posizione era più sfumata, e le ragioni della giravolta più chiare ed esplicite: “Nella manovra del governo Meloni non non c’è traccia dei 15 miliardi per il Ponte e Salvini andrà a recuperare i soldi necessari dal Fondo Sviluppo e Coesione, che per la programmazione 2021-2027 ammonta a 70miliardi di euro. Si prepara a togliere il 20% delle risorse dal fondo che sarebbero destinate a tutte le regioni d’Italia per fare investimenti per le strade scuole e sicurezza urbana. A queste condizioni diciamo “No grazie”, scriveva De Luca in un post del 20 ottobre scorso.

Finisce così, almeno per ora, il grande amore di De Luca per l’opera ponte sullo Stretto: lo stesso amore che, da sindaco di Messina da qualche settimana, gli faceva urlare “Viva il ponte” mentre la città era presa d’assalto per il controesodo, ma soprattutto che lo vedeva, diciotto anni fa, mettere in scena uno di quei “colpi di teatro” per i quali si è fatto un nome in politica: correva il 2006 e De Luca era deputato regionale (del Mpa) alla prima esperienza, e in supporto del ponte, all’epoca caduto in bassa fortuna a causa dell’opposizione del governo di Romano Prodi, metteva in scena del funerale alla grande opera prima a Messina, a Cristo re, il 14 settembre 2006, e poi a Roma, davanti a Montecitorio, cinque giorni dopo. Per l’occasione De Luca indossava il nero del lutto, prodigandosi per officiare il funerale di un pezzo di ponte con sopra l’effigie della Sicilia che entra in una bara, circondato dai suoi simpatizzanti in maglietta nera con lo slogan “Lutto siculo è…” sul davanti, e “…u ponti vulemu” sul retro.

Uno spostamento, quello di De Luca, che ha trascinato anche il sindaco di Messina Federico Basile, che le sue perplessità sul ponte le aveva addirittura formalizzate in un documento ufficiale, nel capitolo dedicato al ponte della sua relazione del primo anno di attività a palazzo Zanca: perplessità sollevate già un anno fa, ad aprile 2023, in audizione in commissione alla Camera, ma alle quali non ha avuto risposta. “Nessuno oltre Messina può decidere per Messina”, scriveva belligerante il primo cittadino nella relazione.

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