Disperanza

(Giulio Cavalli; Fandango, 2021)

 

 

Giulio Cavalli (1977) è un attore, drammaturgo, scrittore e politico italiano milanese. Schieratosi apertamente contro le mafie, attraverso i suoi spettacoli, dal 2009 dopo numerose minacce e infine la confessione di un pentito vive sotto scorta. Disperanza è un romanzo crudele, figlio dei nostri tempi, che come una poraloid restituisce l’istantanea nitida di uno stato d’animo collettivo. Cos’è la Disperanza? Etimologicamente indica lo stato di chi è privo di speranza ma non ancora disperato. È una parola che ha in sé la sottrazione, la perdita e l’affievolimento graduale, la rinuncia. La disperanza può avvenire in seguito ad una malattia, alla perdita di una persona cara alla perdita di un amore o in seguito ad una delusione politica ma il motivo principale per cui la disperanza si materializza è il lavoro o la mancanza di esso. La nostra società ha creato un modello sovraccarico dove il lavoro prevarica la vita con una precarietà sempre più insidiosa. L’impossibilità di guadagnare abbastanza porta all’ accumulo di più mestieri, dunque allo sfiancamento e conseguentemente alla perdita di ogni entusiasmo, spesso alla depressione. Da quando la Pandemia ha travolto le nostre esistenze tutti questi aspetti si sono rafforzati aumentando il senso di incertezza, la transitorietà e l’impossibilità di progettare il futuro. L’autore raccoglie, tramite twitter, le storie di moltissimi utenti che raccontano il processo che li ha condotti alla disperanza: spesso la tranquillità si collega alla stabilità o alla temporaneità lavorativa.

Da leggere perché Disperanza non ci lascia mai oltrepassare il punto di non ritorno verso la disperazione ma è un invito a credere in se stessi, nelle piccole cose e nell’imprevedibile: di recuperare appunto la speranza.

 


 

 

Grandi artiste al lavoro

(Mason Currey; Neri Pozza, 2020)

 

 

Dal sito dell’editore: «A differenza degli uomini, la cui routine quotidiana sembra curiosamente irreale, con gli ostacoli mitigati da mogli devote e da privilegi accumulati nei secoli, le donne alle prese con il processo creativo hanno dovuto fare i conti da sempre con umilianti frustrazioni e compromessi. Molte delle artiste presenti in questo libro sono cresciute in società che ignoravano o respingevano il lavoro creativo delle donne, e molte avevano genitori o coniugi che si opponevano strenuamente ai loro tentativi di far valere l’espressione artistica rispetto ai tradizionali ruoli di moglie, madre e padrona di casa. Parecchie di loro avevano dei figli e dovettero compiere scelte strazianti nel conciliare le proprie ambizioni con le necessità di chi dipendeva da loro. Tutte furono poi costrette ad affrontare atteggiamenti sessisti da parte del pubblico e di chi apriva le porte del successo: editori, curatori, critici, mecenati. Da Octavia Butler, che si alzava fra le tre e le quattro del mattino, «perché è l’orario in cui scrivere mi viene meglio», a Coco Chanel, che passava ore a sistemare e appuntare le stoffe addosso alle sue modelle, fumando come una ciminiera; da Frida Kahlo, che aveva una grande difficoltà a vivere in maniera regolare e a rispettare le tabelle di marcia, a Louisa May Alcott, che scriveva in preda ad attacchi di energia creativa e di ossessività, saltava i pasti e dormiva poco, Grandi artiste al lavoro svela manie, superstizioni, paure, abitudini di cinquantatré grandi donne che hanno fatto la storia della letteratura, dell’arte, della musica e del cinema.

Da tenere sul comodino per scoprire l’umanità che si cela dietro la figura di artiste leggendarie e dormire più sereni.

 


 

 

La fonte della vita

(Bergsveinn Birgisson; Iperborea, 2021)

 

 

Dal sito dell’editore: «Sul finire del Settecento il giovane Magnús Árelíus, ambizioso rampollo della buona società danese, viene inviato dal suo governo in Islanda con un incarico importante: valutare l’opportunità di deportare dall’isola, a quel tempo devastata dalle eruzioni vulcaniche, dalla carestia e dal vaiolo, tutta la popolazione abile al lavoro, per trasferirla a Copenaghen e impiegarla come manodopera nella nascente industria nazionale. Fervente illuminista, Magnús Árelíus vede nel suo compito la missione dell’uomo di scienza, ansioso di esplorare quelle terre e quelle genti selvagge e di portare fino all’ultima Thule la luce della ragione. Ben presto però, nel corso del suo viaggio, questo perfetto esemplare dell’uomo moderno dovrà rendersi conto che la sua erudizione serve a ben poco per sopravvivere in una terra così difficile. Rimasto solo, non potrà che affidarsi all’aiuto della povera e incolta gente del posto, grazie alla quale si troverà coinvolto in una realtà inconciliabile con i principi della sua cultura e della sua ragione: a contatto con un mondo dominato da forze oscure e irrazionali, da una natura «matrigna» con la quale gli indigeni sembrano invece convivere in armonia, tutte le sue certezze vacilleranno. Tra realtà storica e finzione letteraria, con un dosaggio efficace di diversi piani narrativi, Bergsveinn Birgisson rivendica in questo romanzo l’orgoglio della sua Islanda, denunciando gli abusi del colonialismo, lo sfruttamento di uomini e risorse e insieme esplorando l’eterno dilemma umano tra ragione e sentimento, tra natura e cultura, tra individuo e società».

Da leggere per riflettere sugli abusi del colonialismo: Una civiltà che si ritiene più evoluta delle altre è legittimata a prevaricare? A sfruttare? A trasformarne la popolazione in manodopera?

 


 

 

La società degli automi. studi sulla disoccupazione e il reddito di cittadinanza

(Riccardo Campa; D editore, 2016)

 

 

Dal sito dell’editore: «La disoccupazione tecnologica è un problema di cui si discute da almeno due secoli. Finora il pericolo di una disoccupazione di massa dovuta al progresso tecnologico è stata scongiurata grazie alla riduzione dell’orario di lavoro, allo sviluppo dell’istruzione pubblica e alla nascita di nuovi settori dell’economia. Gli studi raccolti in questo volume si chiedono se la comparsa di computer e robot di nuova generazione, che mostrano un comportamento sempre più simile a quello degli esseri umani, se non addirittura sovrumano, non ci stia portando verso un punto di non ritorno che ci lascerebbe poche vie d’uscita. A complicare la situazione c’è la scomparsa dell’idea stessa di politica sociale e industriale, sancita dal dominio del paradigma neoliberista. Una delle proposte in campo per ovviare al problema della disoccupazione tecnologica è il reddito di cittadinanza. È una soluzione che permetterebbe di evitare derive luddiste e allo stesso tempo di distribuire più equamente i vantaggi offerti dalla rivoluzione robotica. Ma siamo davvero pronti ad affrontare questa trasformazione radicale della società?»

Da leggere per riflettere sulla rivoluzione robotica: la diatriba lavoro dell’uomo versus lavoro delle macchine non è mai stata superata.

 


 

Il giornale dei lavori

(Paolo Barbaro; Abbot, 2020)

 

 

Dal sito dell’editore: «Gallerie, esplosioni, trincee; presenze fantasmagoriche nei cunicoli tra gli scoppi delle mine; donne vestite di nero; operai caduti sotto le macerie. Non è l’ultima guerra, ancora incastrata nella memoria locale, ma la nuova civiltà che avanza sotto forma di “grande opera” in una valle santuario dell’oscurità: il Canale del Piombo. Sullo sfondo della diga in costruzione, miracolo dell’idraulica, si muovono sfocate figure umane, sfiancate dal demone della velocità. La natura è nemico giurato, in nome del progresso: all’alluvione di cemento tiene testa l’acqua che si insinua nel ventre della montagna. L’io narrante, che ha partecipato alla progettazione dell’opera e ne segue il cantiere, compila un diario essenziale e partecipe. Giornale dei lavori fu pubblicato per la prima volta nel 1966 da Einaudi grazie al sostegno entusiastico di Italo Calvino».

Da leggere per non dimenticare le morti bianche.

 

 

 

 

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