La città senza cielo
(Jean Malaquais; Cliquot, 2020)
Jean Malaquais (1908-1998) è stato uno scrittore francese d’origine polacca. Il protagonista di questo romanzo, pubblicato la prima volta nel 1953, è Pierre Javeline un anonimo rappresentante di cosmetici che lavora per un’azienda: l’Istituto Nazionale di bellezza ed estetica. Tutto comincia da uno scarabocchio fatto su alcuni documenti al posto della solita firma. Ed ecco che mentre Pierre torna a casa risucchiato dalla consueta routine tutto inizia a frammentarsi: ogni certezza si liquefà, ogni abitudine si dissolve fino a che il protagonista non gira la chiave nella toppa di casa e trova al posto della moglie una coppia di perfetti sconosciuti che, guardandolo esterrefatti, sostengono di abitare lì da anni. Comincia così una spirale distopica che toglie il respiro, fatta di burocrazie impossibili, incontri improbabili e ricerche vane. Sullo sfondo la città che come un animale feroce divora i propri abitanti nel vortice dell’anonimato. Un libro sull’alienazione dell’uomo moderno che fa riflettere sul concetto di identità.
Lettura sconsigliata a chi si sveglia ancora nel cuore della notte con l’incubo di dover rifare l’esame di stato o quello di Laurea.
Zebio Còtal
(Guido Cavani, Readerforblind, 2021)
Dal sito dell’editore: «Zebio Còtal, rabbioso contadino del modenese, ha cinque figli, poca voglia di lavorare, e un piccolo campo che, coltivato a grano, rende soprattutto gramigna. Zuello, il figlio grande, lo ha mandato a lavorare e vivere dal fratello ricco: una bocca in meno da sfamare, un poco di denaro per ripianare i debiti e comprarsi il vino. Placida, la moglie, bersaglio prediletto della sua ira, lo sopporta in silenzio, mentre la figlia Glizia è l’unica che gli si oppone con fermezza, e insieme cercano di creare un minimo di calore familiare per sopravvivere alla povertà e alla disperazione. Poi Zuello viene cacciato dallo zio perché, ragazzone da fatica, ha sottratto poche lire per sfamarsi. Ma a casa, dove lo aspettano le “cinturate” del padre, che intanto si dà da fare sul fratellino, non può tornare. E così inizia a vagare, il primo della diaspora familiare a cui fa da sfondo una natura crudele e bellissima. Piano piano se ne andranno tutti da Pazzano, chi al Creatore, chi per cercare una sorte migliore, chi svanirà nel nulla. Anche Zebio, incespicando in mille scelte sbagliate, si allontana da casa, prima finisce in prigione, poi è disperso sull’Appennino. E con la famiglia si dissolve anche la speranza in questo romanzo dalla trama scarna e dolente, che però ha in sé oltre alla brutalità della miseria, il pathos della tragedia classica e una lingua rapida, palpitante, che resiste al tempo».
Da leggere perché la prima edizione del 1958 aveva la prefazione di Pasolini ed è una meraviglia riscoprire gli autori dimenticati del ‘900.
Canal nero
(Marco Belli; Edicola ediciones, 2021)
Dal sito dell’editore: «Vivian Deacon ha lasciato Ferrara e si è trasferita a Magnolina, una piccola comunità del Polesine incastonata tra due fiumi. Vive con l’amica Zenaide, coltiva erbe aromatiche, frequenta l’unico bar del paese e si dedica alla fotografia. Il dolore e la solitudine del passato sembrano lontani, quando una sera, alla Festa dell’Unità di Crespino, assiste all’improvvisa morte di Ettore Berti, un distinto signore che poco prima l’aveva invitata a ballare. La tesi dell’infarto lascia molti dubbi nei pensieri di Vivian, che alle conoscenze di medicina somma l’intuito, eredità degli anni passati a vivere per strada, e il desiderio di rendere giustizia a chi le ha riservato un gesto gentile. Aiutata dal suo braccio destro Pietro e accompagnata da personaggi pittoreschi e ricchi di umanità, Vivian Deacon scoprirà che dietro la morte di Berti si nascondono terribili misteri che non chiedono altro che venire alla luce. Tra gli infiniti spazi della pianura polesana, in quei luoghi-non luoghi che la penna di Marco Belli, fotografo oltre che scrittore, descrive in modo vivido e autentico, l’eccentrica detective-clochard già protagonista dell’indagine “Uno sbaffo di cipria” torna a raccontarci la vita da un punto di vista inusuale, capovolgendo ancora una volta le nostre certezze».
Gli amanti dei gialli ameranno questa investigatrice fuori dagli schemi
Parla una donna
(Matilde Serao; Rina edizioni, 2018)
Dal sito dell’editore: «Il libro si compone di una raccolta di articoli usciti sul quotidiano «Il Giorno» tra il 1915 e il 1916, in cui la Serao considera la guerra da un particolare punto di vista: quello femminile. Ma non lo fa riportando una registrazione dei fatti come cronista sul campo, bensì presentando un quadro dettagliato della condizione delle donne nelle diverse classi sociali, le quali combattono ogni giorno sul fronte interno. Come molte delle sue colleghe coinvolte nel conflitto, tra cui Flavia Steno e Donna Paola, la Serao favorisce una visione conservatrice riguardo il ruolo della donna nella società in linea con una mentalità di tardo Ottocento e con i messaggi divulgati della propaganda bellica».
Da leggere perché Matilde Serao è stata simbolo dell’emancipazione femminile in un periodo in cui alle donne venivano negati i più basilari diritti.
Il giardino del mediterraneo
(Giuseppe Barbera; Il saggiatore, 2021)
Dal sito dell’editore: «La bellezza del paesaggio mediterraneo può rimandarci all’immagine del paradiso terrestre. Giuseppe Barbera ci guida in un viaggio inebriante nella diversità di profumi, colori, suoni e sensazioni che compongono questi territori: tra vita e cultura, botanica e mitologia, mondo esteriore e mondo interiore, Barbera ripercorre i molteplici incontri di uomo e natura sulle sponde del Mediterraneo attraverso le tracce che hanno lasciato in Sicilia, luogo simbolo per leggere l’evoluzione del paesaggio nell’Antropocene. Dai misteriosi legami che uniscono i fichidindia della campagna etnea e i nopalitos del Messico azteco alle colline sopra Pergusa, coperte di «bellissimo frumento, dono prezioso di Cerere», come le descrisse Goethe nel suo Grand Tour; dalla devastazione degli agrumeti della Conca D’Oro durante il «sacco di Palermo» al recupero della Kolymbethra, per decenni lasciata al degrado e all’oblio nell’antichissimo bosco di mandorli e olivi della Valle dei Templi; fino alle «cattedrali nel deserto» che hanno stravolto il territorio di Gela in favore di un’industrializzazione effimera quanto il miraggio della presenza di giacimenti petroliferi. Il giardino del Mediterraneo è il racconto di questa irripetibile anomalia geografico-umana durante le epoche passate e, allo stesso tempo, una riflessione sul modo in cui possiamo preservarla dalle nostre autodistruttive manipolazioni presenti e future. Un punto di vista inedito su ciò che ci circonda, per capire che un paesaggio non è solo alberi e frutti e terra: è la meraviglia invisibile; è lo sguardo di chi lo abita.
Da leggere perché il paesaggio del Mediterraneo ce lo insegna: privilegia la diversità, l’incontro altruista e non l’esclusione egoista