MESSINA. Chi dice Pasqua a Messina dice panino di cena caldo farcito con uovo, rigorosamente Kinder. Perché il periodo pasquale in città diventa un mix tra agnellini e barette, tra messe e scampagnate, tra tradizione e rustute. Tutto insieme in una strana quanto ormai normale unione che confonde gli elementi religiosi e quelli profani, dando a tutto un’aurea sacra che sa di casa. Perché Pasqua a Messina ha un sapore particolare, ha una tradizione tutta sua che spesso accompagna ogni evento sacro a del cibo tradizionale per chiudere poi, con il main event: il pranzo della domenica di Pasqua.

Dopo aver messo a dura prova la tua resistenza fisica e psicologica dal giovedì, quando in casa si comincia a parlare di antipasti, primi e secondi, con tanto di pre-pre-preparazione di alcune pietanze per “portarsi avanti”, la mattina della domenica di Pasqua ti svegli già in confusione, perché ad accoglierti in cucina c’è il profumo della pasta ‘ncaciata che sta cuocendo pacatamente in forno prendendoti ripetutamente a “moffe” con il suo profumo che, se fosse paragonato a una musica, sarebbe la Primavera di Vivaldi. La colazione della domenica di Pasqua, di regola, viene fatta con un uovo di cioccolato. Tradizione che ti porti dietro da quando, alle elementari, i tuoi genitori hanno ceduto per la prima volta, dopo settimane e settimane di violenza psicologica (ah, i bambini), facendoti aprire prima del pranzo un (1) uovo di Pasqua tra il milione che ti avevano regalato. Allora tu, ancora innocente e poco esperto di piaceri della vita aprivi l’uovo solo per la sorpresa. A distanza di vent’anni la mattina della domenica di Pasqua, ancora intontito dalle moffe di cui sopra, apri l’uovo e la sorpresa non la vedi proprio. Vedi piuttosto un panino di cena che, con aria da masterchef tagli per infilarci dentro i pezzi scomposti di cioccolato e goderti il primo assaggio di felicità della giornata (o forse del mese). Nel frattempo con molta probabilità la sorpresa finisce nella spazzatura perché, considerando che alle nove del mattino hai già assunto la quantità di zuccheri che un essere umano mediamente assume in una giornata, sei talmente in confusione che non ti rendi conto delle tue azioni. Ma questo è solo l’inizio.

Passano poche ore e casa tua diventa più affollata del viale San Martino durante il black friday. Gente che viene, gente che va, parenti che sono sull’orlo di una crisi di nervi perché escono da settimane di “fioretti” che li hanno messi a dura prova: non mangiare dolci, non imprecare, fare un gesto gentile ogni giorno, tutte azioni che costano fatica, insomma. Ma non si può cominciare. State tutti aspettando lo zio, la zia, la nonna, il nonno che sono andati alla messa di Pasqua al Duomo e che, proprio nel momento in cui state per sedervi a tavola scordando le buone maniere, la Pasqua e tutto il resto, arrivano beati raccontando di come è stato bello, emozionante e altre cose che però nessuno sente più, perché ha fatto il suo ingresso sulla tavola il tagliere di salumi e fave. E giusto perché le feste a Messina sono sinonimo di colesterolo, dopo essere partiti con un “due pezzi di formaggio, solo per spizziculiare” e averne mangiato un chilo e mezzo a testa, arriva la portata principale: la pasta ‘ncaciata. Tradizione vuole che la pasta ‘ncaciata, sia il piatto che per eccellenza ti fa sentire i primi segni di cedimento. Uova, melanzane, prosciutto, caciocavallo sono i protagonisti della teglia che passa di mano in mano a tavola, mentre fili di pasta scappano via dal grande mestolo che dovrebbe accoglierli ma fallisce nel tentativo di contenere tutto quel ben di dio. Lì parte il toto ingrediente per cercare di indovinare l’alimento più strano che è stato messo nel miscuglio, a volte salsiccia, a volte zucchine, altre volte pancetta. Una cosa è certa: la ricetta non si segue mai.

Nonostante tutto questo e l’abbiocco che comincia a impadronirsi dei corpi di chiunque abbia anche solo assaggiato quel mix micidiale di tradizione e cose a caso, c’è la resistenza, chi dopo aver ripulito il piatto del primo si butta sul secondo, anzi, SUL secondo: il capretto al forno.  Il capretto al forno è quel piatto che ti fa venire qualche dubbio sulla tua integrità morale, ma non appena te lo piazzano davanti perdi completamente il senso della ragione e te lo scofani senza se e senza fino all’ultima patata, che tra l’altro utilizzi per “ripulire” il piatto dal sughetto rimasto in attesa del gran finale: i dolci. Dagli agnellini pasquali brutti ai tronchetti, passando per colombe, pastiere, cuddure e ovviamente le uova di Pasqua, protagoniste delle gare tra i più piccoli, che cominciano a urlare e scartare ricoprendo il tavolo di uno strato di carta argentata, nastri e involucri di sorprese e i più grandi, pronti a scattare la loro foto per Instagram alle uova in fila con tanto di hashtag #senzauovasiamo. Ti alzi da tavola che sono le quattro se va bene, barcollando tra confusione e glicemia cadi sul divano e chiudi gli occhi. È lì che finisce la tua domenica di Pasqua, tra le coccole del cibo, la tradizione, la fame che ti assalirà di nuovo all’ora di cena e un’unica grande certezza: la rustuta sui colli il giorno dopo.

 

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