Giuseppe Catalano, Messina-Monopoli 6-0 (1985/1986)

 

C’è stato un periodo in cui i calciatori non dovevano essere per forza invasati religiosi, acconciati come narcos colombiani e tatuati come maori. Potevano permettersi un po’ di pancetta e fisici da dopolavoro, calzettoni abbassati e canottiera della salute sotto la maglia. In quelle immagini sgranate c’è tutto il calcio di una volta. Lento, macchinoso, umano. Accadeva in serie A, figurarsi in C1. In quello scenario irrompe una squadra di “bastardi” allenati da un professore. È il micidiale Messina del 1986, una squadra imbottita di campioni e messa in campo da un visionario che insegnava al mondo le palle inattive. Schillaci, Napoli, Bellopede, Caccia. Nomi mitici, che ancora oggi risuonano con deferenza al vecchio Celeste, che ogni domenica, benché omologato per dodicimila persone, ne ospitava almeno il doppio, stivate un po’ ovunque, anche sull’erba a dodici cm dalla porta. In quella squadra c’è un talentuosissimo, ma indolente, numero dieci. Giuseppe Catalano, campano, tecnica sopraffina e voglia di faticare zero. Di quei calciatori che appena inizia la primavera si piazzano nello spicchio di campo in cui si proietta l’ombra della tribuna coperta. È uno di quei giorni, il Messina sta passeggiando sulle spoglie mortali del Monopoli, che lo segue in classifica al secondo posto ma che in realtà dai giallorossi è separato da almeno una categoria di valore. Svolge egregiamente il compitino, Beppe Catalano, in quella domenica, quanto basta per sopraffare un avversario che è davvero poca cosa, a dispetto della classifica. Ma il talento non lo puoi imbrigliare più di tanto. Perché capita che alla fine esca fuori comunque. Tipo quando Catalano riceve palla all’altezza della trequarti del Messina, e inizia a correre verso la porta avversaria. Coast to Coast, lo chiameranno anni dopo. Sul suo cammino nessuno, apparentemente, tanta è la facilità con la quale supera cinque, sei, sette avversari. Entrerebbe in porta con tutta la palla se l’indolenza, ad un certo punto, non gli imponesse di fulminare portiere e due malcapitati difensori con un tiro velenoso. Una cosa mai vista. Il Celeste esulta, più per la prodezza alla quale ha assistito che per il risultato. È il sei a zero. Catalano torna a riposare all’ombra della tribuna coperta. Il suo posto nel pantheo del Messina se l’è conquistato. Non occorre altro sforzo.

 

 

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Peppe Orlando
Peppe Orlando
16 Gennaio 2017 16:23

Ricordi stupendi e descrizioni bellissime. Solo un appuntino, il gol di Catalano non era in “uno di quei giorni primaverili”, ma in una freddissima domenica di dicembre

MARCELLO
MARCELLO
16 Gennaio 2017 19:09

Cmq non so se è un problema del mio pc (non credo perchè con altri siti non succede) ma i paragrafi di tutti i vostri articoli sono tagliati nella parte destra (e non di poco) per cui spesso illeggibili.

mm
Editor
16 Gennaio 2017 21:34
Reply to  MARCELLO

Ci stiamo lavorando 🙂 intanto provi ad aggiornare la pagina