Chi oggi si stupisce, punta il dito, si indigna e lamenta corruzione dei costumi “dove andremo a finire signora mia” per la rissa di ieri (e di due sabati fa, e di tre, e così andare) in via I Settembre, probabilmente trent’anni fa viveva in qualche fortunato “altrove”. O non aveva vita sociale. Perché la mia generazione, quella dei quarantenni avanzati, che ora è la generazione di mezz’età e come ogni generazione di mezz’età sentenzia e non ricorda, ha vissuto, ogni sacrosanto sabato, il rito della “calata”.

Quello che oggi stupisce come se non fosse mai successo prima (o se succedesse solo a Messina), inevitabile come la morte e le tasse, ha accompagnato l’adolescenza di chiunque sia nato negli anni ’70. (ma anche negli anni ’80 e ’90 e oltre, segno che la legge di conservazione della massa secondo cui niente si crea e niente si distrugge, ma tutto si trasforma, è sperimentalmente esatta). Chi pascolava sul marciapiede di Billè, chi provava i primi hamburger americani da Kenny (mitologico proto-fastfood del quale ancora oggi si ripete a nastro il ritornello “Kenny-chiuso-per-droga“, e i più ancora ignorano a quale tipologia di codice di procedura penale ci si riferisca), chi si spingeva fino al Pk a sgranocchiare patatine e trangugiare Coca-cola, chi passava pomeriggi a mettere monetine negli “arcade” delle duemila sale giochi che sorgevano (e morivano) nel giro di una notte, popolate da umanità alla deriva e gestite da facce patibolari, lo ricorderà.

Ricorderà la battaglia per la sopravvivenza che era il sabato pomeriggio. Quando chiunque, per motivi sconosciuti, poteva restare intrappolato in una tempesta di tumpulate gratuite, che duravano giusto il tempo necessario a vedere la demolizione della propria vita sociale da adolescente, e lasciavano spazio a domande esistenziali tipo “ma perché io?”. Perché il destino è cinico e baro. E il branco attaccava con furia casuale. Metodica, ma casuale. Chi erano? Erano quelli che “calavano“.

Calavano”. Dalle montagne, dai quartieri periferici, da quelle che oggi si chiamano “zone a rischio”, in cui i servizi sociali piazzano un centro d’aggregazione giovanile, che per una strana ironia della sorte si abbrevia in “Cag”. Ma anche dai quartieri più borghesi del centro, quelli erano “i figli di papà” convinti da un atteggiamento violento, da una posa che ci stava bene a coprire voragini affettive.

Quando arrivavano te ne accorgevi. Caricavano come gli Unni, con i canti di guerra, come un’armata. Territorio di conquista Piazza Cairoli. Di sabato pomeriggio. “Calavano” con le motociclette. In testa una Yamaha Xt nera e rossa, la moto del capo. I nomi erano noti, le facce anche. Facce i cui sguardi non bisognava incrociare, pena il sentirsi sputare in faccia quelle due parole, pronunciate talmente tante volte, da essere ormai unite in una crasi, che, come un canto di battaglia, dava il via all’assalto. Un fonema. Ou….Cceccosa”. C’è cosa.

E quando sentivi quella parola sapevi di essere spacciato. Gli amici si dileguavano, la piazza si svuotava per i trenta metri attorno, gli sguardi volavano da tutt’altra parte. Era fatta. E l’ipotesi della fuga, prima ancora che umiliante, era impossibile. Perchè erano una coorte. Il perimetro di Piazza Cairoli era il campo di battaglia, le ronde partivano ad intervalli regolari, le modalità sempre le stesse. Due o tre in avanscoperta, la “scoccia ‘i coddu”, lo sguardo tronfio, la spavalderia dell’impunità. Ed il branco dietro. I motivi? Nessuno.

La totale gratuità dell’azione faceva sì che chiunque potesse esserne vittima potenziale. A meno di non avere una nutrita compagnia maschile alle spalle. Fatto, questo, che avrebbe potuto scatenare una rissa con partecipanti a due cifre, cosa che accadeva di rado. La modalità aggressione singola era quella preferita, quella che garantiva la riuscita e “l’onore”. Onore da spendere, il sabato sul Viale San Martino, nel bel mezzo delle vasche, durante la settimana davanti al Maurolico. Da un lato gli studenti, dall’altro quelli della “pisella”. A separarli la strada. Guai, in quei casi, ad avere una Vespa. Sequestrata, senza se e senza ma. E riportata indietro dopo ore di trepidazione e fiumi di lacrime, col motore fumante e la carrozzeria piena di graffi. E una giustificazione da dare a casa.

I “nomi” erano sempre gli stessi. Pilu Russu, Paulu Niru, ‘u Canariu, ‘u Scaravagghiu, ‘u Puddicinu, ‘u picciriddu, ‘ u settitesti, ‘u menzanasca, ‘u lupinariu. Che oggi magari li incontri, li saluti e vedi che la vita è stata cattiva anche con loro che sembravano invincibili. Panze, doppi menti, occhiali spessi, calvizie incipiente, mocciosi frignanti al seguito, e ti domandi come fosse possibile averne paura, come potessero incutere tanto sacro terrore, come gli si potessero permettere tutte quelle sovercherie, che se solo ci provassero oggi probabilmente passerebbero i prossimi sei mesi in terapia intensiva. Il tempo, ogni tanto, è galantuomo.

Quei nomi che venivano sussurrati sottovoce, con timore, dovunque, quasi che anche i muri avessero orecchie. Anche i luoghi erano sempre gli stessi. Il marciapiede di Billé lo prediligevano i maggiorenni, la paninoteca Pk era invece il regno dei “baitti”. Era il luogo dove guadagnarsi i gradi sul campo. Non era raro tornare a casa senza giubbotto, senza cappellino, senza scarpe. Erano i trofei di guerra, esibiti con orgoglio la settimana successiva, stessi luoghi, stesse facce.

Il giro di vite, inevitabile, partì dopo l’assassinio di un ragazzo, freddato nella tarda primavera del 1990 all’interno di una sala giochi a due passi dal viale san Martino, per uno sguardo di troppo, o per non aver abbassato la testa. Il posto di polizia mobile all’interno di Piazza Cairoli, i pattugliamenti, il cambio generazionale fecero il resto. E la temibile, evocativa “Cceccosa” piano piano smise di echeggiare sinistra.

Oggi, pare, ha ricominciato. Anzi, non è mai finito (purtroppo), e chi si stupisce del contrario o è un ipocrita o ha seri problemi di memoria.

Friederich Nietzsche, che con Messina aveva una certa familiarità non a caso lo chiamava L’Eterno ritorno.

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Giuseppe
Giuseppe
30 Dicembre 2019 14:01

Quindi leggendo questo articolo mi viene da pensare che questo atteggiamento violento sia normale.
Complimenti

Ermanno77
Ermanno77
30 Dicembre 2019 18:27

Complimenti, gran bell’articolo

Ermanno77
Ermanno77
30 Dicembre 2019 18:28

Complimenti, bellissimo articolo.

Giuseppe Mastrojeni
Giuseppe Mastrojeni
30 Dicembre 2019 23:04

Un perfetto report

Maurizio Munaò
Maurizio Munaò
4 Gennaio 2020 18:58

Complimenti Alessio, questo pezzo è uno spaccato eccellente di quel periodo e lo posso ben dire perché ero lì….. e ho vissuto tutte le fasi del tuo racconto

Maurizio Munaò
Maurizio Munaò
4 Gennaio 2020 19:00

Tra l’altro la citazione di Arancia meccanica mi pare quantomai adeguata