di Roberto Aronica

MESSINA. Primo appuntamento di una nuova rubrica nata con l’obiettivo di raccontare l’esperienza personale di diversi artisti che a Messina, nel tempo, si sono cimentati nella disciplina del graffitismo e nelle sue diverse sfaccettature. Attraverso le storie e le loro parole, l’intento è quello di ricostruire la storia di un movimento, attivo in città da tanti anni, che continua ad esistere nonostante sembra essere nascosto nell’ombra.

Protagonista della prima puntata è J-Vis, che si sofferma sulla sua esperienza, dagli esordi ad oggi, sulla situazione in città e sulle attività didattiche che ha realizzato in questi anni con il supporto di varie associazioni. Fra queste, anche un corso organizzato presso un istituto scolastico di Villa Lina, fra i quartieri più “difficili” di Messina, dove l’arte diventa una grande occasione di associazione e di espressione. «I ragazzi e le ragazze che hanno partecipato a volte avrebbero voluto continuare ben oltre l’orario previsto», racconta. Al termine del corso, durato tre mesi, tutti i partecipanti hanno realizzato un murales all’interno della scuola, immortalando sul muro i momenti di apprendimento e crescita reciproca vissuti insieme. Due, invece, i progetti in corso in questo momento, e in entrambi, anche in questo caso, l’evento conclusivo sarà la realizzazione del murales finale, “in modo che ciò che è stato insegnato durante l’attività si materializzi e non resti solo sotto forma di concetti”.

 

 

Nelle stesse parole del ‘writer’, come anche lui si definisce, J-Vis si riconosce in una naturale propensione alla clandestinità, quantomeno agli albori della sua esperienza, che portava ragazzi e ragazze a organizzarsi nella progettazione, realizzazione e, infine, documentazione di vere e proprie opere di arte murarie. Dalla gamma di colori, al tipo di lettere o eventualmente di disegni, sino al luogo, tutto veniva stabilito nei dettagli e realizzato nella migliore maniera possibile, cercando sempre quella forma di giusto confronto che portasse non solo alla crescita artistica ma anche a quella personale.

Nel corso dell’incontro, Vis racconta di come si è avvicinato a questa disciplina, che ha scoperto all’età di 15 anni grazie a un amico e a una famosa rivista del settore, ‘AlleanzaLatina’, dove vide le prime foto di graffiti: una passione che da allora non solo non si è mai esaurita, ma si è evoluta nel tempo. Essendo abbastanza attivo nella produzione di ‘pezzi’ (come si definiscono nel gergo le opere realizzate su muro), le sue opere hanno iniziato ad attrarre vari committenti, e nel tempo la passione di Vis si è trasformata in una vera e propria professione, quasi “per caso”.

Ma prima di giungere a questo suo traguardo personale, Vis racconta di come praticasse il writing declinando al massimo l’aspetto sociale del graffitismo, “che non solo deve legarsi al territorio, ma deve anche trasmettere un messaggio”: essendo una disciplina che si esprime sotto forma di scritte e disegni, il messaggio deve esserci e deve essere fruibile a chiunque, trovandosi appunto per strada. Se in un primo momento le tematiche scelte erano affidate esclusivamente alla sua creatività o sensibilità, con il “compromesso” della committenza, il writer ha dovuto poi imparare a declinare, con la sua tecnica, le richieste altrui. La committenza è varia: privati che vogliono decorare uno spazio, istituiti scolastici e istituzioni come il Comune, con il quale ha già avuto modo di collaborare.

«Dipingere per passione portava con sé tantissima aggregazione. La progettazione dell’opera avveniva sempre in comunità: il progetto era sempre collettivo e mai di un singolo», racconta, “con la convinzione che le opere che realizzavamo dovessero non solo rappresentare noi, ma anche chi le avrebbe viste poi”.

L’arte deve sempre raccontare qualcosa, soprattutto il graffitismo, che è qualcosa che non è nato per restare chiuso in sé stesso, ma piuttosto per aprirsi verso gli altri: «È qualcosa fatto di parole, che si espone, che serve a raccontare». Anche per questa necessità con il tempo Vis ha deciso, quasi naturalmente, di protendere verso un tipo di graffitismo più figurativo, dei così detti ‘puppet’.

 

 

 

La riflessione dell’artista verte poi sulla tutela delle produzioni artistiche cosiddette di strada, citando un aneddoto risalente al 2000, presso la Fiera di Messina, dove venne organizzato un importante evento nel quale fu coinvolto uno dei pionieri del movimento writing mondiale, in arte Phase2, arrivato direttamente da New York. «L’assenza di conoscenza e il poco gusto di chi possiede quei muri – commenta Vis – ha fatto sì che l’opera realizzata da questa pietra miliare del graffitismo mondiale venisse dapprima coperta con dei cartelloni pubblicitari ed in seguito distrutta». Una cosa che forse è sempre mancata in città è infatti la valorizzazione del lavoro artistico, soprattutto sul piano istituzionale.

Diversi gli spazi che negli anni sono stati dedicati ai graffiti, spesso nell’ottica dell’autogestione tra writer e con il benestare dei residenti delle varie zone, come per esempio a San Licandro oppure presso il Torrente Trapani, dove diversi artisti, seguendo un codice di rispetto reciproco, hanno nel tempo dato dimostrazione del loro estro con impegno e dedizione.

Vis sottolinea quindi il potenziale aggregativo del graffitismo, di cui ne ha visto mutare le forme. Racconta, infatti, come agli inizi della sua esperienza la dimensione sociale fosse caratterizzata principalmente da un luogo di incontro: era proprio lì che avveniva il confronto con altri appassionati, il ricambio generazionale e tutto quello che ne concerne in termini di scambio di informazioni tra i veterani, per così dire, e i neofiti. «Oggi – spiega – le stesse dinamiche sociali non sono più mediate dal luogo fisico», vertendo sempre di più verso spazi online come i social network. Inoltre, il ricambio generazionale, il tramando delle nozioni e delle tecniche, avviene sempre più in luoghi istituzionalizzati, perlopiù progetti ai quali Vis ha preso parte come educatore.

L’artista infine lancia un messaggio alle istituzioni, spronandole a rendersi conto del valore di questa disciplina e di chi la pratica, e sottolineando come troppe volte decisioni e protocolli vengano sviluppati senza prendere i considerazione l’opinione degli “addetti ai lavori”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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