MESSINA. Schierata con il 4231, come l’ultima Juve di Allegri, ecco la Top Eleven del Messina degli ultimi 30/35 anni. Cinque di serie A, cinque di serie C e uno di serie B. Allenati dal Professore Franco Scoglio. Nel giorno in cui abbiamo pubblicato l‘amaro delle motivazioni del fallimento dell’F.C. Messina, con la condanna di Pietro e Vincenzo Franza, rispettivamente ex presidente ed ex vicepresidente, vi regaliamo anche il dolce, con un viaggio nella memoria sportiva della città che ha fatto gioire quattro generazioni di tifosi.

 

 

1) MARCO STORARI

Arriva a Messina nel 2003 al Messina, acquistato per 250 mila euro dal Napoli, e conquista la promozione in Serie A nel 2003-2004. Nella stagione 2004-2005 è tra i protagonisti del campionato del Messina in Serie A, che ha raggiunto il 7º posto, rivelandosi un infallibile para-rigori come già nella stagione precedente. Nel 2006 è diventato capitano della squadra siciliana, il 17 gennaio 2007, durante la sessione invernale del calciomercato, è stato ingaggiato dal Milan per 1,2 milioni di euro, per poi approdare alla Juventus e vincere trofei in quantità

A Messina Storari ci ha messo su pure famiglia, sposando Veronica Zimbaro, comprando casa, e aprendo un locale. E dire che ci era arrivato con qualche mugugno, sostituendo Emanuele Manitta, uno degli “storici” esponenti della prima ondata di talenti che fecero rapidamente scalare all’ex Peloro le categorie minori, molto minori. E invece, a Messina Storari si è dimostrato un talento come pochi: puntuale, attento, preparato, e ogni tanto, come con l’Inter, capace di prestazioni da supereroe.

 

2) ALESSANDRO PARISI

Alessandro Parisi, nato a Palermo nel 1977, arriva in riva allo stretto nel 2003, nel pieno della carriera, a 26 anni, dopo aver centrato due promozioni consecutive con la Triestina. Nella Serie B 2003-2004 gioca quasi tutte le partite (41) e va a segno 14 volte, contribuendo al raggiungimento del quarto posto, e la conseguente promozione del club peloritano in Serie A dopo trentanove anni.

Resta a Messina anche nel campionato successivo in Serie A, nel quale disputa 27 partite andando a segno 6 volte: prestazioni che gli valgono la convocazione in azzurro di Marcello Lippi per l’amichevole Italia-Finlandia, giocata proprio a Messina il 17 novembre 2004: diventa così il primo giocatore nella storia del Messina ad aver giocato per la Nazionale.

Terzino dotato di buona falcata, bel dribbling e una “castagna” paurosa, quando Parisi si avvicinava alla palla, pronto a calciare una punizione, gli avversari in barriera sbiancavano dal terrore. Il suo non era un tiro, era un missile terra-aria, che demoliva qualsiasi cosa si trovasse sulla sua traiettoria. Leggendarie quelle, in due trasferte consecutive, contro Salernitana e Cagliari, in serie B, in cui tramortisce i portieri con due tiri prossimi alla velocità del suono.

 

3) NICOLO’ NAPOLI

Cresciuto nel vivaio del Palermo, passa poi alla formazione “Allievi” del Tommaso Natale. Viene quindi prelevato dal Messina, con cui gioca alcune trionfali stagioni sullo Stretto prima di essere ingaggiato nel 1987 dalla Juventus. Rimane a Torino per quattro anni, vincendo in maglia bianconera una Coppa Italia e una Coppa UEFA nella stagione 1989-1990.

Così come Parisi, anche Napoli era in possesso di una notevole “bisola”, che serviva più come arma non convenzionale che per far gol, visto che in quella formazione, allenata da Franco Scoglio, di tiratori ce n’erano in abbondanza, da Beppe Catalano a Franco Caccia. Terzino anch’egli, e pure lui parecchio incline alla discesa sulla fascia (era soprannominato il Cabrini del sud), Napoli aveva ottime capacità difensive e una sana cattiveria da mazzuliatore, ma il luogo del campo in cui si sentiva davvero a casa era sul secondo palo nei calci d’angolo offensivi, dove si materializzava in traiettoria non lasciando scampo al portiere, che quando lo vedeva sollevarsi in aria si preparava già mentalmente a raccogliere la palla in fondo alla rete.

 

5) LUCA FUSCO

Luca Fusco arriva al Messina nel 2003, dalla Salernitana, giusto in tempo per guidare la difesa della squadra che ottiene la promozione in Serie A, mettendosi in luce con una stagione micidiale che promette grandi cose. E invece l’anno seguente, dopo l’esordio col Parma in cui tiene a bada un allora scatenato Stefano Gilardino, riesce a collezionare solo cinque presenze in massima serie a causa di un infortunio che lo costringe a saltare quasi tutta la stagione. Poi qualche sporadica presenza, quindi l’addio, con l’amaro in bocca per una carriera (otto convocazioni in under 21) che senza l’infortunio sarebbe andata in maniera molto diversa.

Di Luca Fusco rimane un’annata da fenomeno della difesa, assortita come poche altre nella categoria: Fusco a guardia e Rahman Rezaei a picchiare: di lui, in serie B, gli avversari impareranno a conoscere un senso dell’anticipo quasi soprannaturale, che gli varrà un numero impressionantemente basso di cartellini durante la stagione. Questo non gli ha mai impedito di essere un marcatore asfissiante, difficile da superare quando, e accadeva spesso, era in giornata di grazia.

 

6) ANTONIO BELLOPEDE

Antonio Bellopede da Sparanise, Caserta, classe 1956, è uno di quei giocatori coi quali la sorte sportiva è stata avara. Poco meno di quattrocento partite (178 col Messina, tra campionati e coppe), giocate al massimo in serie B, categoria nella quale è arrivato ormai trentenne, Bellopede è stato capitano dei giallorossi quando il capitano poteva permettersi di bullizzare un certo Totò Schillaci, testa calda che viene schiaffeggiato in campo, durante una partita nervosa, per riportarlo a più miti consigli.

Libero vecchio stampo, implacabile dietro la difesa e pronto a prendere la palla e/o la caviglia dell’avversario, secondo le necessità, Bellopede aveva anche una visione di gioco ed una tecnica da categorie “alte”: usciva spesso palla al piede, testa alta e passaggio preciso, e le rare volte che segnava lo faceva non per caso: come contro il Monopoli nel 1986, quando in corsa si alza la palla col tacco e calcia in porta con lo stesso piede, il destro. In quella stessa partita, per dire della duttilità tattica, propizia il primo gol di Schillaci, crossando dal fondo campo, vicino alla bandierina di sinistra. Lui, col numero 6 sulle spalle. Quello di Scirea e Beckenbauer.

 

4) MASSIMO DONATI
Nato nel 1981 a San Vito al Tagliamento, in Friuli, nell’estate del 2004 Massimo Donati passa al Messina dove rimane due stagioni e gioca 67 partite mettendo a segno 2 reti contribuendo alla doppia salvezza della squadra siciliana guidata da Bortolo Mutti, che lo aveva allenato anche nelle giovanili dell’Atalanta.

Donati arriva a Messina con la fama di promettente baby fenomeno (nel 2001 è stato inserito nella lista dei migliori calciatori stilata dalla rivista digitale spagnola Don Balòn), e pur non essendo un fuoriclasse, contribuisce a formare quel centrocampo “denso” che permette al Messina di piazzarsi al settimo posto in serie A nel campionato 2004/2005. Prestante fisicamente, con discreti piedi e forte nel gioco aereo, dopo Messina Donati ha iniziato a girovagare, eleggendo come sua seconda partia la Scozia. prima col Celtic, poi, anni dopo, con l’Hamilton Academical

 

7) BEPPE CATALANO
Beppe Catalano, è nato a Potenza nel 1960, e col Messina ha giocato per cinque stagioni, dal 84 all’88, anni in cui fa registrare 142 presenze e 40 gol. In quegli anni, a Messina, Catalano è IL calcio: dalla metà campo in su, è padrone del rettangolo di gioco. Detta tempi, calcia punizioni e angoli, mette cross al centro, tira, dribbla, segna, ma anche sbaglia, si trascina indolente per il prato del Celeste, provoca sentimenti olimpici di amore e d’odio. Ma con la palla nei piedi incanta. Pupillo di Franco Scoglio, che sui suoi piedi costruirà il teorema delle palle inattive, il centrocampista d’attacco è col professore ad Agrigento e poi lo ritrova a Messina.

E ogni domenica, per cinque anni sarà una festa. Dentro e fuori dal campo: nelle villette a schiera di Santa Margherita in cui abitavano al tempo i calciatori, ogni sera è un’occasione irrinunciabile per fare casino. I risultati, d’altra parte, danno loro ragione. Il Messina, in quegli anni, gioca da far paura, in casa non perde per due anni (e si permette di massacrare la Roma in coppa Italia) e Catalano con la palla tra i piedi fa più o meno quello che vuole. Come dribblare metà Monopoli, secondo in classifica dietro i giallorossi, e segnare uno dei sei gol di quel pomeriggio.

 

8) SALVATORE SULLO

Avesse anche segnato quell’unico gol, Sasà Sullo sarebbe comunque entrato di diritto tra i più memorabili calciatori ad aver vestito la gloriosa biancoscudata. Rigore contro il Catania nella finale di ritorno del play-off a giugno 2001, gol e serie B. E invece Sasà Sullo è stato di più, molto di più. Leader silenzioso e carismatico, centrocampista dai piedi sopraffini e dal cervello acuto (non aiutato però dal fisico), tattico di sguardo lungo: caratteristica, questa, che gli varrà l’attuale posto di secondo di Giampiero Ventura sulla panchina della nazionale di calcio.

Nei suoi sei anni con i giallorossi (2001-2007) ha collezionato 141 presenze e 25 reti, trascinando la squadra dalla c1 alla A, categoria nella quale ha esordito con un gol alla seconda partita (prima in casa) alla Roma, e che nel prosieguo gli metterà sulla strada un tumore. Ostacolo che supererà con tenacia e dignità rare. Sullo è cittadino onorario della città di Messina e la società, dopo la sua partenza, ha ritirato la maglia numero 41.

 


10) ENRICO BUONOCORE

Enrico Bonocore  nasce ad Ischia il 23 luglio 1971 e arriva nel Messina nel 2000, in C2. Per un giocatore delle sue qualità, calcare quei campi spelacchiati è quasi una bestemmia: sarà per questo che nel giro di due anni si ritrova in serie B.

Se sei napoletano, piccolino, tarchiato e coi piedi fatati, accostarti a Maradona è un attimo. E Buonocore non fa nulla per smentire la similitudine. Che sia un Pibe de oro solo un po’ più incompreso, se ne accorgerà il Palermo, tramortito da una delle più disumane dimostrazioni di perizia calcistica che si ricordino a Messina.

Schivo, silenzioso, timido, legatissimo alla famiglia che aveva lasciato a Ravenna (e dalla quale tornò una notte, letteralmente fuggendo da Messina senza una spiegazione, prima di un rocambolesco ritorno in giornata…), Buonocore diede sempre la sensazione di essere capitato al Celeste, a Messina, ma anche al mondo, così, per caso, a dispensare una delle magie che gli venivano fuori da quel sinistro fatato senza che sapesse bene spiegare il perché.

Nell’ultimo campionato di B, a dicembre, Buonocore si rompe il menisco. Sarà l’inizio di un lento declino, che non potrà mai cancellare gli sprazzi di genialità che chi abbia avuto la fortuna di vederlo giocare potrà raccontare ai nipoti.

 

11) FRANCO CACCIA

Franco Caccia, “sua maestà” Franco Caccia, arriva al Messina che già la parte migliore della carriera sembrava averla vissuta. Idiozie. Sotto la guida di Franco Scoglio, il centrocampista di Gandino, provincia di Bologna, fa sognare i ventimila del Celeste: I dribbling caracollanti e quelle punizioni e calci d’angolo battuti d’esterno, contronatura, fondamentali per le “palle inattive” di Scoglio che seminavano il terrore nelle aree avversarie di quelle memorabili stagioni di serie c dal 1984-1986, hanno lasciato un segno indelebile in migliaia di messinesi, alcuni dei quali pronti a giurare che un talento come quello di Caccia non l’hanno mai più visto a queste latitudini.

 

L’aspetto da dopolavoro ferroviario, non aiutato dai calzettoni perennementi abbassati, “alla cacaiola”, traeva in inganno, e di questa impressione, sbagliatissima, ne hanno fatto le spese una infinità di terzini del girone B della serie C1 dal 1983 al 1986, fulminati da quel dribbling che sfidava la legge di gravità per quanto sembrava goffo e prevedibile e invece era micidiale e ubriacante. L’ultima gioia Caccia l’ha regalata, e avuta, proprio a Messina, con la promozione in serie B. Nell’estate del 1986, una squalifica ha messo fine alla sua carriera, nel rimpianto dei ventimila del Celeste che per sempre saranno devoti al suo culto.

 

9) TOTO’ SCHILLACI

Per un breve, brevissimo mese a inizio estate del 1990, nessun giocatore al mondo fu più forte di Salvatore Schillaci da Palermo. Totò per i Messinesi ma non per Gianni Brera, decano dei giornalisti sportivi italiani che con puzza sotto al naso un po’ snob un (bel) po’ razzista, decise che andava chiamato Turiddu.

Schillaci, in quel momento, avrebbero potuto chiamarlo anche Vercingetorige, per quello che gliene importava. Il mondiale del 1990 era suo. Di testa, di rapina, di potenza, da titolare, da subentrato, Schillaci segnò in qualsiasi maniera conosciuta all’uomo, trascinando quella nazionale di mostri al più amaro dei terzi posti, vincendo il titolo di capocannoniere di Italia ’90 e piazzandosi per un soffio secondo nella classifica del Pallone d’oro alle spalle del tedesco Lothar Matthäus.

A chi appena un anno prima lo vedeva giocare al Celeste, nell’anno dei ventitré gol in serie B sotto la guida di Zeman, quel mondiale sembrava un sogno. Un sogno davvero. Perché lo scugnizzo nato nel popolarissimo quartiere san Giovanni Apostolo di Palermo nel 1964, arrivato a Messina con una massa di capelli in testa che sembrava uno dei Led Zeppelin, e subito guardato in cagnesco da Giampiero Alivernini, centravanti titolare di quel Messina che vedeva a rischio il suo ruolo di maschio alpha in campo, prima della nazionale, prima della Juve, era stato la furia dell’aria di rigore degli avversari del Messina: 219 presenze, 61 gol, otto anni di militanza sotto due dei migliori allenatori che un giovane talento possa sperare di incontrare ad inizio carriera (Zdenek Zeman e Franco Scoglio), sono numeri scolpiti nel granito della storia calcistica messinese. E tali rimarranno per sempre.

 

ALLENATORE: FRANCO SCOGLIO

Il professore. Il profeta della zona mista. Il teorico delle palle inattive. L’emigrante che insegna il calcio in Africa, e porta i paesi del mediterraneo meridionale alla ribalta. Il mister che dice “no” al figlio di Gheddafi che voleva giocare titolare (nella squadra di cui era proprietario). Il personaggio televisivo che muore in diretta. Franco Scoglio è stato questo, e molto, molto altro.

Trent’anni di carriera, 8 esoneri e una dimissione, due città amate, Messina, che gli intitolerà lo stadio cittadino, e Genova. Il sogno della serie B conquistata e della A mancata misteriosamente quando sembrava lì, a portata di mano. Un enigma avvolto in un mistero, col vezzo di coniare termini come “ad minchiam“, che diventeranno leggendari. Con lui, forse per la prima volta, Messina è arrivata nei notiziari sportivi.

 

IN PANCHINA:

Portieri: Emanuele Manitta, Franco Paleari

Difensori: Daniele Portanova, Carmelo Mancuso, Rahman Rezaei, Romolo Rossi, Massimo Colaprete

Centrocampisti: Renzo Gobbo, Gianclaudio Iannucci, Luciano Orati, Carmine Coppola, Giuseppe Romano, Antonio Obbedio

Attaccanti: Arturo Di Napoli, Riccardo Zampagna, Ivica Iliev, Igor Protti

 

Ovviamente si gioca al “campo”: al Celeste.

 

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Domenico
Domenico
13 Aprile 2017 20:06

scusate, ma PARISI a destra non si può vedere!

mm
Editor
14 Aprile 2017 12:29
Reply to  Domenico

grazie, corretto, è stato un errore nella grafica

emmesics
emmesics
14 Aprile 2017 10:07

manca Musa il più grande regista che il Messina abbia mai avuto