Tombini di ghisa!”. Ricorderete questo slogan-grido di battaglia con cui il geniale Crozza ridicolizzava anni fa il giovane Salvini, che già allora di motivi per rendersi ridicolo ne aveva in discreto numero…

Bene, credo che se il leader leghista si facesse una passeggiata per le vie di Messina sarebbe tentato di mandare in pensione la Padania per eleggere la nostra città a sua dimora ideale. Camminando infatti per le strade messinesi (dico camminandoci da flaneur, da osservatore attento e non distratto dai propri pensieri né instupidito dai megawatt da concerto sprigionati dai woofer in dotazione ad alcune auto) ognuno potrà notare come in quasi tutte sia presente, in media, un tombino ogni dieci, quindici metri. Credo che a fare un censimento dei tombini messinesi si potrebbe giungere a toccare numeri stratosferici, non voglio ipotizzare un tombino per abitante ma, insomma, forse ci andiamo vicini…

Mi chiedo, e chiedo a chiunque più esperto di me in tombinologia, a che servano tanti tombini in una città come la nostra, la cui orografia dovrebbe naturalmente agevolare il regolare deflusso delle acque pluviali da monte a valle. Sarò certamente ignorante in materia ma proprio per questo mi piacerebbe migliorare le mie scarse conoscenze.

In attesa di illuminazioni da parte di un buon samaritano tombinologo, corro a consultare la Treccani e leggo:

tombino s. m. [der. (propr. dim.) di tomba]. – 1. Nelle costruzioni stradali, manufatto a forma di cunicolo che attraversa al piede il rilevato stradale e che serve a far defluire verso valle l’acqua che si raccoglie sul terreno dal lato a monte del rilevato stesso; è generalmente costituito da tubi di cemento di diametro compreso tra 40 e 90 cm e con lamiere ondulate d’acciaio zincate fino al diametro di circa 2 m, oppure da due spallette sorreggenti un arco o una soletta in cemento armato. 2. Sinon. di chiusino, l’elemento di copertura (per lo più in pietra o in ghisa) dei pozzetti di fogna. 3. region. Bottino, pozzo nero.

Bene, scarto subito la prima accezione, quella del cunicolo che dovrebbe agevolare il deflusso delle acque, perché a considerare lo stato dei cunicoli a Messina si rischia di fare politica, di dare addosso agli incapaci che non riescono a curarne la manutenzione, e questo non mi va di fare, siamo in periodo pre-natalizio e dobbiamo tutti sforzarci di essere più buoni. Scarto anche, per decenza, la terza.

Passo dunque all’accezione comune, quella di chiusino, di elemento di copertura dei pozzetti di fogna. E allora mi chiedo: minchiuni, ma quanta fogna c’è a Messina se qualcuno l’ha ritenuta meritevole di tanti tombini? C’è davvero tanta fogna in questa città?

(Mi sovviene a sorpresa il “c’è del marcio in Danimarca” del nostro quasi concittadino….).

Mi chiedo poi: ma non è per caso che qualcuno, in tempi assai lontani si badi, con questi tombini ha un po’ esagerato? E che motivo può aver avuto costui nel costellare Messina di un numero incredibile di tombini, quasi che ci trovassimo nella stessa situazione dei sotterranei di Parigi? Tanto valeva allora rendere fruibile questa Messina nascosta, rendere navigabili le sue fogne, organizzare tours turistici ipogei, creare un po’ di economia insomma!

Mancando tutto ciò, quale altro motivo può esserci stato nell’acquisto e collocazione di una tale rete di tombini, di queste mille e mille aperture verso l’Averno?

Nella Roma arcaica il rituale del Mundus (una fossa posta nel santuario di Cerere e consacrata ai Mani) consisteva nell’apertura di tale pozzo scavato al centro della città, nel punto di congiunzione del Cardo e dei Decumani e rimasto chiuso tutto l’anno tranne appunto i tre fatidici giorni di apertura (24 agosto, 5 ottobre e 8 novembre) segnati in calendario con Mundus patet (il mundus si apre). L’apertura del mundus metteva in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti, si spalancava in tal modo il mondo degli inferi e veniva squarciato il sottile diaframma che teneva accuratamente separate le due dimensioni. Un rito dal carattere purificatorio, in preparazione di altre ritualità previste dal calendario (Saturnalia e Dies Solis Invicti).

Che i nostri tombini abbiano per caso un significato esoterico? Ma se è così, perché nessuno provvede mai ad aprirli, non dico tre volte l’anno ma almeno una tantum?

O esiste forse una storica partecipazione societaria del Senato messinese nell’industria della ghisa, i cui benefici si riverberano tutt’oggi nei bilanci comunali?

Ecco, tutto qui. Tra queste domande, tra questi amletici dubbi s’annega il pensier mio.

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

 

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