MESSINA. Nella serata di giovedì scorso, 6 giugno 2024, il regista messinese Mirko Trovatello è tornato in città per l’anteprima nazionale del suo ultimo lavoro.
Il cinema Lux ha infatti proiettato per la prima volta “She’s Leaving Home”, un appassionato documentario sulla band inglese che ha fatto la storia della musica, The Beatles.
La pellicola è stata inoltre montata da un altro messinese, Giuseppe Cuzzilla. La produzione è invece della Fellini Production di Trovatello.
Quest’ultima, come ricordato giovedì, ha a Messina anche un museo del cinema, in via Maddalena 86. Un luogo che, restando più o meno in tema, sta attualmente ospitando la prima mostra italiana di Yoko Ono (visitabile dalle ore 10 alle 13 e nel pomeriggio dalle 16 alle 20).
In occasione dell’anteprima, Trovatello ha parlato dei Beatles come di una seconda famiglia e ha voluto riservare un posto in sala all’amico al quale aveva già dedicato il documentario, il celebre musicista messinese Melo Mafali, morto pochi anni fa a causa del covid.
Prima della proiezione, il regista non si è sottratto alle domande.
L’intervista
Come ci si approccia a parlare di mostri sacri della musica come i Beatles?
Per me i Beatles non sono solo cantanti e artisti, sono famiglia. Per cui è stato come quando entri nella stanza dei tuoi genitori e gli poni delle domande. Per me è stato così. Sono stato anche a Liverpool, per cui li ho proprio vissuti.
C’è stato però un grosso lavoro, con 600 ore di materiale visionato. Quanto tempo ci è voluto e qual è stato il filo conduttore che ha scelto di seguire?
Ho lavorato per sei mesi a Liverpool e ho visionato 600 ore di materiali tra documentari, interviste video e radio, video di loro seduti nel salottino che parlavano… a un certo punto ho visto John Lennon entrare e chiedermi se era tutto a posto! (Ride) E allora mi sono detto “mi devo riposare un attimo, sto lavorando troppo.”
A parte gli scherzi, sì, ho visionato queste 600 ore di materiali. Per me i Beatles nascono nel 1957 e finiscono nel 2001, con la morte di George Harrison. Perciò ho preso tutti i vari step della loro carriera e li ho messi in fila, cercando di percorrere una linea retta, senza spezzettare.
Di documentari sui Beatles negli anni ce ne sono stati tanti, ma questo è il primo italiano e contiene delle immagini inedite del concerto di Roma del ’65. C’è stato quindi un approccio orientato al rapporto della band con l’Italia?
Non solo, ma c’è anche una parte dedicata a questo. C’è una bella perla, che è il concerto nel 1965 al teatro Adriano di Roma. Loro parlano in italiano e si sente il pubblico parlare in romanaccio. È bellissimo.
Avevano un bel rapporto con l’Italia. Ringo Starr è venuto anche in vacanza in Sardegna nel ’68.
Di documentari sui Beatles ne esistono veramente tanti, è vero. Mi permetto la presunzione di dire che questo è uno tra i più completi. C’è veramente tutto, non solo i Beatles dal lato musicale e artistico ma soprattutto dal lato umano.
In che modo?
Negli anni ’60 i Beatles hanno abbattuto un muro. C’era disparità sociale, il razzismo era peggio di oggi… ho voluto evidenziare che i Beatles erano ascoltati da tutti. Potevi essere chiunque, bianco, nero, il ragazzo più ricco del quartiere o quello più povero. Loro erano veramente di tutti.
Il documentario contiene anche un omaggio a Melo Mafali.
Nel mio documentario si vede seduto al pianoforte per l’ultima volta. Fu totalmente casuale. Dopo 4 ore di intervista, avevo dato lo stop. Mentre sistemavo la cinepresa lui si è voltato verso il pianoforte accanto e ha iniziato a suonare “Let it be”. Ha illuminato la stanza.
Il film si conclude lì.
Ha anche parlato della morte, dicendo che è brutta perché a volte interrompe un discorso mentre si è all’apice. A ripensarle oggi, queste parole fanno un certo effetto. L’ho sentito due giorni prima che se ne andasse e non vedeva l’ora di vedere il film, è stato come se avesse lasciato un testamento.
L’aspetto meraviglioso del mio lavoro è anche questo: poter regalare l’immortalità. Lui vivrà sempre qui, accanto ai Beatles.