MESSINA. E’ stato un mese molto difficile per il ponte sullo Stretto di Messina: dopo le motivazioni con le quali la Corte dei Conti ha motivato la bocciatura della delibera Cipess di approvazione del progetto definitivo (e ancora nessuno ha potuto valutare il progetto definitivo in linea tecnica, con l’ultima valutazione tecnica che risale al 1997, al progetto di massima), sono arrivate ieri le motivazioni della bocciatura dell’atto aggiuntivo ed integrativo, lo strumento giuridico “necessario per adeguare la preesistente convenzione alle nuove necessità tecniche i cui costi sono stati elaborati” nel piano economico finanziario, dicono i magistrati. Che hanno messo sotto la pressa i rapporti contrattuali tra il concedente ministero dei Trasporti, e la concessionaria Stretto di Messina spa, tra questa e il contrattore generale Eurolink, la concessione rilasciata dal ministero alla Stretto Spa per la progettazione e la realizzazione del ponte, e la loro rispondenza alle norme, soprattutto l’articolo 72 della direttiva 2014/24/UE sui contratti.

Il primo punto è la legittimità di un contratto riesumato dopo undici anni, ma con caratteristiche che nel frattempo sono completamente diverse: la delibera parte con “La possibilità offerta dal legislatore di far rivivere un contratto caducato senza l’indizione di una nuova procedura di gara rappresenta un’ipotesi assolutamente eccezionale”, e termina con “Conclusivamente, può ritenersi che l’Amministrazione non abbia fornito una prova certa e rigorosa dell’avvenuto rispetto del contenimento dell’aumento di prezzo entro il limite del 50 per cento del valore del contratto iniziale”: è verso la fine delle 40 pagine di motivazioni da parte della Corte dei conti sulla bocciatura dell’atto aggiuntivo, che la Corte dei conti sferra la mazzata, forse definitiva, all’iter amministrativo del ponte sullo Stretto di Messina. “Al fine di poter usufruire della facoltà di evitare lo svolgimento di una nuova gara e di far rivivere un contratto risalente a diversi anni prima, l’Amministrazione è onerata della prova di aver pienamente e rigorosamente rispettato tutte le prescrizioni imposte”, si legge nella deliberazione. E invece no. “L’aumento del valore contrattuale non consegue solo alla mera indicizzazione dei prezzi, prevista o meno nei documenti di gara iniziali, ma anche ai nuovi lavori necessari per adeguare il progetto alle sopravvenute necessità tecniche”, si legge.

Praticamente, secondo i magistrati contabili, la Stretto di Messina avrebbe dovuto indire una nuova gara d’appalto per progettazione e costruzione del ponte, e non riesumare il vecchio contratto, “caducato” nel 2013, e di valore enormemente più basso dell’attuale. Perchè, spiega la delibera della Corte, la possibilità di ridare valore giuridico a un contratto caducato senza una nuova procedura di gara rappresenta “un’ipotesi assolutamente eccezionale e, quindi, soggetta a regole di stretta interpretazione”. E nessuna di quelle fornite dal ministero dei Trasporti rientra nelle cinque distinte ipotesi in cui è possibile modificare i contratti e gli accordi quadro senza una nuova procedura d’appalto”.

“Con particolare riferimento alla mancata valutazione, ai fini dell’ulteriore verifica del rispetto del limite del 50 per cento, delle varianti del progetto originario (…) la Sezione deve rilevare l’assenza in atti di una loro dettagliata elencazione con apprezzamento del relativo valore economico“, si legge nella delibera. Non solo: “La valutazione degli aggiornamenti progettuali in misura pari a euro 787.380.000 – spiega la delibera – in quanto frutto di un’attività di mera stima, rende possibile il rischio di ulteriori variazioni incrementali, incidenti – in disparte i problemi di reperimento di nuove coperture – sul superamento della soglia del 50 per cento delle variazioni ammissibili, anche in considerazione dei dati offerti”: aggiornamenti tra l’altro “non quantificati con puntualità in un apposito computo metrico-estimativo e quindi suscettibili di ulteriori futuri incrementi”. I magistrati, quindi, non si fidano che i costi rimangano questi, e temono ulteriori rincari.

Poi c’è la questione della gara. Il contratto originario era stato stipulato il 27 marzo 2006 tra la concessionaria Stretto di Messina e la società Eurolink, quale contraente generale selezionato con procedura di gara. All’epoca, per il finanziamento del ponte era prevista la procedura di project financing, secondo cui la copertura del costo complessivo dell’opera sarebbe stata assicurata per il 40% con denaro pubblico dall’aumento di capitale di Stretto di Messina e, per il rimanente 60% con finanziamenti da reperire sui mercati internazionali, senza garanzie da parte dello Stato: uno dei motivi dell’interruzione delle operazioni, nel 2012, fu proprio la freddezza con cui i mercati internazionali risposero al rastrellamento di capitali. In due parole, a mettere il 60% dei soldi per il ponte non si era presentato nessuno.

Alla ripartenza dell’operazione ponte, nel 2023, arriva invece il totale finanziamento pubblico dell’opera: 13 miliardi e 162 milioni da “contributi pubblici a fondo perduto stanziati dalla legge di bilancio per il 2024 come modificata dalla legge di bilancio per il 2025”. “Una simile differenza di finanziamento dell’opera è tale da modificare sostanzialmente la natura del contratto”, sostengono i magistrati, “che non solo cambia l’equilibrio economico del contratto a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale ma crea una condizione che, se fosse stata conosciuta al momento della procedura d’appalto iniziale, avrebbe potuto attrarre candidati diversi ed ulteriori rispetto a quelli inizialmente selezionati, in considerazione della più favorevole condizione di finanziamento dell’opera”.

C’è poi l’ipotesi che il ponte non si faccia. Cosa succederà ai contratti? Secondo la convenzione tra ministero e Stretto Spa, “in caso di recesso dell’ente concedente dal contratto di concessione per motivi di pubblico interesse, al concessionario non sarebbero riconosciuti – in contrasto con la disciplina codicistica – “i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse”. Questo, spiega la Corte dei Conti, configura “l’accertamento della non conformità alla disciplina codicistica della convenzione”.

Non solo. “Stante il finanziamento dell’opera con il ricorso esclusivo a risorse pubbliche, sia nei casi di recesso per motivi di pubblico interesse e di mancato accordo finalizzato all’adozione del piano economico finanziario, come anche nel caso di subentro di un nuovo concessionario o di inadempimento del concessionario, non potrebbe essere riconosciuto alcun indennizzo al concessionario (Stretto Spa) da parte del concedente (ministero dei trasporti), qualificato quale società in house”, concludono i magistrati contabili.

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