MESSINA. Trentesima puntata (qui le altre puntate) della rubrica che spiegherà ai messinesi perché il rione, il quartiere o la via in cui vivono si chiama come si chiama: un tuffo nel passato della città alla ricerca di radici linguistiche, storiche, sociali e culturali, che racconta chi siamo oggi e perché.

MASSE. Borgo rurale che sorge nella parte acromiale dello spartiacque dei monti peloritani, sul versante che guarda il mar Tirreno. Un piccolo gruppo di strutture urbane d’antica fondazione che hanno mantenuto il toponimo di “Massa”. Si tratta di quattro villaggi: Massa S. Giorgio; Massa San Nicola; Massa S. Lucia; Massa S. Giovanni. (Si ha notizia dell’esistenza di una quinta massa: Massa S. Michele.  Una piccola struttura rurale che potrebbe coincidere con alcune vestigia riscontrate lungo la fiumara.)

Massa S. Giorgio, Massa S. Lucia e Massa S, Giovanni giacciono su due crinali fronti stanti separati dal un compluvio, guardando come vedette sul mar Tirreno. Sono tre centri abitati rurali la cui economia per secoli si è sostanziata sul grano e sui cereali, di cui erano coltivati fin dall’epoca romana gli altipiani su cui poggiano. La quarta Massa, Massa S. Nicola viceversa si trova all’interno del compluvio, lambita dal fiume che ivi scorre attraversandola: il fiume dei Corsari.

Durante l’impero romano l’isola era inflazionata di massae, piccoli aggregati urbani dove vivevano le famiglie dei contadini che coltivavano i latifundia. Dal termine massae ebbero origine tutte le masserie siciliane.

Molte di queste strutture nel territorio messinese divennero centri urbani nel periodo bizantino, quando avvenne lo svuotamento del centro urbano principale e si formarono i tantissimi villaggi collinari messinesi, caratterizzati in gran parte da un atteggiamento mimetico. Molti di loro non sono visibili dal mare, per ovvi motivi strategici. Molti di questi che in origine erano messae successivamente assunsero altri toponimi. Le uniche che nel territorio peloritano mantennero la denominazione originale furono i villaggi in parola. Denominazione che mantennero anche con la latinizzazione dell’isola dedicandosi ognuna ad un santo. Il toponimo masse era così radicato che resistette anche nel periodo medievale, quando molti dei villaggi peloritani presero la denominazione di “Casali”.

Tra le quattro Masse, in alcuni testi definiti Masse del Lacco, Massa S. Nicola presenta una singolare peculiarità. Non nasce come struttura urbana ma semplicemente come mulino prossimo al punto più agevole per scalare il versante e raggiungere i crinali dove sorgevano i tre veri centri urbani. Osservando la forma dell’impianto urbano del borgo appare chiaro che il tessuto si è sviluppato in più fasi, delle quali verosimilmente se ne posso ipotizzare almeno tre essenziali: una fase originaria, consistente nell’insediamento di un mulino, atto a sfruttare il potenziale idrodinamico del fiume che scorreva nella valle, ai cui crinali presumibilmente o conseguentemente erano stati insediati i primi nuclei rurali (seguendo il corso del fiume dei Corsari, dalla sua origine fino alla foce di Acqualadroni, sono state riscontrate molte vestigia anch’esse riconducibili a vecchi mulini o a strutture similari, nella quantità di circa una dozzina); una seconda fase, caratterizzata dallo sviluppo di un piccolo insediamento urbano limitrofo e funzionale al “mulino”, destinato in prima battuta, verosimilmente, alla residenza avventizia delle maestranze e a locali di deposito e stoccaggio dei prodotti della lavorazione. Un piccolo nucleo di forma circolare con un accenno di struttura interna reticolare, che evoca talune configurazioni urbane di matrice araba. Osservando la sua articolazione si può pensare ad una probabile fondazione o stratificazione, risalente ad epoca araba. Infatti il nucleo centrale presenta un compatto circuito murario di edifici “ayyubidi” al cui interno si sviluppa la trama viaria che nega ogni regolarità con una sola strada centrale (Sharì) dalla quale si dipanano labirintici vicoli (aziqqa) che portano a piccoli spazi urbani intimi (bagli). Una terza fase di espansione, avviata certamente in epoca medievale, la cui tipologia urbana presenta un tessuto regolare e le tipologie edilizie sono in prevalenza “case a schiera con profferlo”. Si è trattato di un’espansione frenata dagli evidenti limiti orografici: la forte pendenza verso monte, il fiume a valle e i forti salti di quota a sud e a nord.

L’ipotesi della genesi araba dell’impianto urbano di fondazione, oltre ad essere testimoniata dalla presenza del mulino è rafforzata dalla denominazione di uno ampio spazio pianeggiante adiacente al fiume posto a ridosso delle vestigia del mulino denominato Mazzurra. Un toponimo che deriva dal termine arabo Manzil,  formato dal verbo nzl sostare fare tappa, e dal  termine rahl, luogo di soggiorno, in cui fare sostare e potersi rifocillare. Un luogo di “stazione di sosta”, di arrivo o di partenza. Una sorta di caravanserraglio all’aperto di cui ancora si sono riscontrate significative tracce. Una sorta di parcheggio d’ingresso, funzionale alla strada che risaliva il fiume, allora grande arteria di penetrazione dell’entroterra. Le tracce riscontrate hanno confermato il singolare toponimo.

Queste tracce conducono all’ipotesi che in origine il borgo fosse un punto di passaggio, la fermata dalla quale cominciava la risalita verso i crinali del compluvio ove sorgevano nuclei rurali di maggiore importanza strategica (Massa S.Lucia e Massa San Giovanni). Questo spiega l’ubicazione oggi apparentemente acromiale dell’attuale chiesa di Santa Maria de Scalis. Edificio che presenta chiare e preziose stratificazione che conducono ad epoca normanna. La chiesa si trovava in posizione strategica, all’inizio dell’unico percorso che dal fiume portava al crinale e sui percorsi di mezza costa, attraverso i quali era possibile raggiungere i nuclei delle attuali restanti Masse.

In epoca normanna il comprensorio rurale delle Masse cambiò il sistema sociale ed il nuovo fulcro fu Il “Monastero di Santa Maria delle Masse”, ubicato in Massa San Giorgio, sorto probabilmente sulle vestigia di un antico cenobio bizantino. In quell’epoca Massa San Nicola sviluppò vocazioni rurali funzionali al monastero. Questo spiega il dotarsi della piccola chiesa localizzata poco fuori il circuito murario del pregresso impianto arabo, lungo la strada che dal fiume portava al crinale.

In epoca recente è stata realizzata un’altra chiesa, più ampia: la Chiesa di San Nicola. Il nuovo edificio di culto probabilmente si deve alla necessità di avere una chiesa più sicura e agibile. La vecchia chiesa è stata a lungo oggetto di eventi morfodinamici che hanno cancellato in modo definitivo l’antica strada e ripetutamente seppellito buona parte dell’edificio.

Il borgo con limitata dimensione demografica ha avuto vita sociale ed economica prospera fino all’avvento della meccanizzazione, quando si è ritrovato sotto strada e via via isolato. Pian piano il luogo è diventato sempre più duro da vivere divenendo oggetto di una rilevante diserzione sociale. Oggi è stato abbandonato volontariamente dai suoi abitanti.  Il legame identitario tra il luogo e chi lo aveva vissuto si è del tutto spezzato, per inadeguatezza della struttura urbana all’avvenuta modernità.

Ad invertire la curva di diserzione e regresso demografico, che ha fatto di Massa S. Nicola  un “borgo fantasma”  nel 2015 ci ha provato un gruppo di 32 studiosi di altrettante discipline che attraverso un paradigmatico studio interdisciplinare finalizzato al suo Ri.U.So. (acronimo di Riabitazione Urbana Sostenibile) del borgo, hanno progettato di insediare un nuovo modello di vita sostenibile, una nuova riatropizzazione consapevole. Il risultato è stato un progetto eutopico, innovativo e avanzato che è divenuto un modello esportato con successo in altre realtà analoghe della penisola. Il progetto di Ri.U.So. di Massa S. Nicola non è stato preso in considerazione dall’allora amministrazione comunale.

Una delle tante occasioni mancate di questa città che stenta sempre, anche nelle sue versioni più rivoluzionarie, ad aprirsi all’innovazione strategica e liberarsi dal suo zavorrante fatale provincialismo.

 

A cura di Carmelo Celona

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