Ruderi, nient’altro che questo. Il dibattito sulla demolizione delle palazzine del ‘700 sulla Cesare Battisti, si sta concentrando su questo aspetto. Diventa perciò interessante, se non urgente, rileggere la cronaca del 1992. Una ricostruzione puntigliosa e ben scandita che riporta indietro il nastro al momento in cui le palazzine non erano resti ma erano, invece, perfettamente intatte. Cosa successe allora è riportato da Antonio Borruto su Affari. Una lettura per certi aspetti illuminante per la sorprendente (si fa per dire…) coincidenza degli elementi portanti della narrazione: i protagonisti e la dinamica della demolizione. Tutto pare immutato da allora. Tutto tranne le palazzine, di cui adesso resta ben poco.

Ma riavvolgiamo il nastro e seguiamo la cronaca di Borruto. Che per prima cosa sottolinea “la situazione di degrado su cui da diverso tempo chiedono chiarimenti e soluzioni, associazioni culturali, movimenti ambientalistici, gruppi politici e semplici cittadini”. E chi sono i diretti responsabili di questo degrado secondo Borruto? “Amministrazione e Sovrintendenza”. Per ovvie ragione: “La prima infischiandosene, la seconda indicendo una conferenza stampa per illustrare i limiti delle proprie competenze in materia di salvaguardia e conservazione dei beni architettonici”. Un ping pong di responsabilità di cui l’attualità sembra una fedele eco dei fatti dell’epoca.

Ed ecco in sintesi tutti i passaggi temporali, dal momento in cui vengono costruite le palazzine.

È il 1783 quando sulla via Cesare Battisti vengono realizzate cinque case signorili “tutte presentano un piano terreno con eleganti portoncini e botteghe in cui compaiono i primi mezzanini ed eleganti balconate di pietra scolpita”. Realizzate secondo precisi criteri antisismici dopo il terremoto del 1783.

Nel 1900 viene aggiunta una cappelletta popolare in stile neo barocchetto di elegante fattura.

Bisogna fare adesso un balzo di più di 80anni. È infatti il 1983 quando il Comune di Messina rilascia una concessione edilizia, concedendo a Giovanni Crinò, proprietario di una parte delle palazzine, la possibilità di demolire.

Nel 1984 però la soprintendenza pone il vincolo.

Nel settembre del 1985 il Comune sospende i lavori ma non revoca la licenza. Nonostante la sospensione dei lavori all’alba del 4 ottobre le ruspe entrano in azione per la demolizione abusiva del quarto comparto. I proprietari degli altri edifici temono per la stabilità della propria struttura e avvertono prefettura e soprintendenza. Quest’ultima ordina la sospensione della demolizione e al Comune di apporre i sigilli. In barba all’ordine della soprintendenza le ruspe continuano la demolizione. I lavori vengono sospesi soltanto il 7 ottobre, cioè quando la demolizione di quella porzione è ormai completa.

A dicembre, nel silenzio generale, riprendono i lavori della ditta, è costretta ad intervenire la polizia giudiziaria, l’area viene sequestrata e il sostituto procuratore Rocco Sisci iscrive nel registro degli indagati il proprietario, il costruttore e il direttore dei lavori con l’accusa di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale.

È gennaio del 1986 quando la soprintendenza segnala in una nota l’asportazione di un’antica icona e di un’inferriata. Poco prima che il Tdl revochi il sequestro: il fabbricato era già stato in gran parte demolito, il sequestro d’urgenza per il tribunale della libertà non ha motivo di sussistenza.

Ma sulla vicenda indaga il procuratore Angelo Giorgianni che acquisisce dal Comune tutta la documentazione, sequestra nuovamente l’area ed emette tre avvisi di garanzia a carico di Giovanni Crinò, del figlio Antonio, progettista, e di Antonino Ruggeri, costruttore. Secondo Giorgianni hanno iniziato i lavori di demolizioni grazie a una concessione edilizia illegittima e in contrasto con i vincoli della soprintendenza. L’accusa è ancora di danneggiamento di bene storico e artistico, violazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori e di conservazione in situ dei materiali d’interesse storico.

Nel gennaio del 1987, l’Associazione sindacale piccoli proprietari immobiliari invia al sindaco una nota di proposte per il recupero del centro storico di Messina, in particolare delle palazzine di via Cesare Battisti, la loro richiesta resta inascoltata.

Siamo nell’aprile del 1989: l’allora assessore comunale ai servizi socio-culturali, Antonino Miceli, durante un incontro al VII quartiere comunica che il Comune è pronto all’acquisto delle palazzine.

Ma nell’aprile del 1992 la demolizione prosegue. Viene demolita un’altra delle casette. La ditta procede grazie a una sentenza del Tar alla quale la Soprintendenza non può opporsi avendo avuto la notifica oltre i termini per presentare ricorso.

La ricostruzione storica degli avvenimenti è datata 1992. Le indagini a carico dei responsabili sono state nel tempo archiviate. Le dinamiche invece appaiono identiche ad oggi.

Una certezza infatti c’è. Le palazzine erano intatte, sono state le demolizioni – come ci restituisce la cronaca dell’epoca, identica in questo all’attualità – avvenute nei vuoti politico-istituzionali a smontarle pezzo per pezzo. Demolizioni sospese sempre ex post, cioè sempre dopo che erano avvenute. Ed è stato certamente in questa lenta ma puntuale aggressione – lecita o meno – che nel 2018 siamo rimasti con la sola facciata e di una sola parte.

Resta da chiedersi a questo punto se verrà giù anche quella, quando nella querelle giudiziaria e nel silenzio politico-istituzionale, torneranno le ruspe.

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Joshua
Joshua
18 Gennaio 2018 13:01

Sì ok, tutto molto bello, ma oggi su quelle palazzine c’era un vincolo di piano ben più stringente di quello della soprintendenza e allora come si è arrivati a dare una CE? silenzio assenso? e ancor di più si parla di Piano casa per la torre? dal 25/35% di volumetria su 3p siamo arrivati a 15 o giù di lì, ma di che parliamo? su questo bisogna indagare la storia va estesa se no che giornalismo è?

Nino+Principato
Nino+Principato
18 Gennaio 2018 14:18
Reply to  Joshua

Sull’edificio c’era il vincolo A1 di inedificabilità assoluta, apposto dal sottoscritto quando lavorava all’Ufficio Piano per la sua rielaborazione totale. Erano consentiti solo il restauro conservativo, il consolidamento statico e la ristrutturazione,con divieto di creare nuova volumetria. L’area oggi vuota, infatti, non ha indice di fabbricabilità, nè numero di piani e nè altezza.

emmeaics
emmeaics
18 Gennaio 2018 14:54

tutto molto in stile Messina, come ad esempio per la palazzina gotica sul viale Annunziata demolita in una notte, nonostante che la professoressa Pugliatti la avesse annoverata tra i beni artistici della città in una sua pubblicazione.