“Libellulə” è un progetto che nasce dalla sinergia e dalla contaminazione di quattro donne: Silvia Grasso, Venera Leto, Laura Lipari e Serena Todesco. Attraverso la ricerca, la scrittura, i libri e la passione l’intento comune è far emergere aspetti poco noti del mondo letterario femminile e in generale di soggettività che vengono relegate ai margini. L’obiettivo è porre un focus su tematiche attuali e far riflettere sulla necessità di instaurare un dialogo tra i generi e modificare alcuni retaggi culturali. Il titolo è un omaggio a “La Libellula” di Amalia Rosselli ed è un augurio di leggerezza ed equilibro per chiunque lotti per la propria autodeterminazione. Di seguito la settima puntata.

 

Serena Todesco intervista Marialaura Simeone

 

Marialaura Simeone è laureata in Lettere moderne (Università degli Studi di Napoli “Federico II”) ed è dottore di ricerca in Comparatistica: letteratura, teatro, cinema (Università di Siena). Si è occupata dei rapporti tra cinema e teatro in tre progetti cinematografici di Luigi Pirandello nel volume “Il palcoscenico sullo schermo. Luigi Pirandello: una trilogia metateatrale per il cinema” (Franco Cesati Editore, Firenze 2016). Per la collana Ciliegie della stessa casa editrice ha pubblicato i saggi divulgativi “Amori letterari. Quando gli scrittori fanno coppia” (2017) sulle influenze reciproche in diciotto coppie di scrittori e “Viaggio in Italia. Itinerari letterari da Nord a Sud” (2018). Ha partecipato a diversi convegni in Italia e all’estero, occupandosi dei rapporti interdisciplinari tra letteratura, cinema, teatro, arti visive e ha pubblicato in riviste specializzate (Between, Cinergie, Quaderni di Cinema Sud, Sinestesie) e volumi collettanei. Si è occupata di scrittrici, registe e attrici (Annie Vivanti e Anna Vertua Gentile, Elvira Notari, Soava Gallone, Greta Garbo e Marta Abba) e sta spostando sempre più il suo interesse verso l’universo femminile creativo e narrativo (progetti editoriali in corso su Colette, Elsa De Giorgi, Sibilla Aleramo, Anna Banti e sulle scrittrici impegnate nella Resistenza). Collabora alla rivista «Leggendaria» con una rubrica di aneddoti e consigli di lettura sulle scrittrici.

Il tuo eclettismo critico ti permette di spaziare tra lo studio vero e proprio della letteratura, l’organizzazione di convegni e club di lettura raffinati, l’ideazione e la collaborazione a progetti teatrali e performance. Potresti dirmi se esiste un fil rouge che accomuna queste esperienze, così belle e, a mio parere, complementari del tuo percorso? Penso, ad esempio, alla messa in scena di “Atto unico” di Beppe Fenoglio al Teatro Mulino Pacifico, ma anche alle tantissime altre cose che organizzi all’interno del mondo della scuola, sempre con grande tenacia e creatività.

«Sicuramente è un mio dato caratteriale, forse anche un difetto che, però, ho tentato di trasformare in pregio: il non saper stare su una cosa sola! Più metto insieme progetti, più ricevo stimoli e di conseguenza aumenta il numero delle cose da fare. E poi, sono davvero troppe le necessità, a mio avviso, che non ricevono una risposta adeguata. Penso al mondo della scuola in primis, dove ho avviato un progetto in collaborazione con il comitato di Benevento della Società Dante Alighieri (Fuori canone). Si tratta di un webinar per docenti e studenti sugli scrittori e specialmente sulle scrittrici ignorate dalle programmazioni didattiche. Il gruppo di lettura #leintrovabili (nato da una rubrica pensata per Instagram) presso la Libreria Masone di Benevento risponde alla stessa necessità: riscoprire autrici il cui contributo è stato fondamentale nella storia della letteratura e può esserlo ancora a livello etico, civile. Non è pensabile, oggi, continuare a veicolare una cultura parziale. Fin dall’istruzione di primo grado, la scuola italiana non rende giustizia alle figure femminili, sia come autrici dirette del sapere, sia come figure dell’immaginario. Si reiterano stereotipi e pregiudizi e c’è una netta predominanza del polo maschile, o peggio un’esclusività di un punto di vista che pretende di essere esaustivo e invece è solo riduttivo e diseducativo. Mi viene sempre in mente Calvino: “L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di stare in mezzo al mondo”. La rappresentazione di Atto unico, messo in scena dalla Compagnia teatrale Solot lo scorso 8 settembre, nell’ambito delle celebrazioni per l’Anniversario dell’Armistizio del 1943 da parte dell’ANPI è allo stesso modo legata alla passione per la letteratura che spesso coincide con un impegno civile in senso ampio».

Sei tra le principali studiose in Italia di Elsa de’ Giorgi. Perché, secondo te, si tratta di una scrittrice che andrebbe riscoperta? E perché nel nostro Paese questo non è ancora avvenuto?

«L’ostracismo di cui è stata vittima è davvero sorprendente. Elsa de’ Giorgi è stato molto di più di quell’immagine che ci viene trasmessa, della bella attrice del cinema degli anni Trenta che intraprese una relazione con Italo Calvino negli anni Cinquanta. Hanno pesato su di lei il lungo processo legato alla sparizione del marito Sandrino Contini Bonacossi e alla collezione d’arte di famiglia, mentre iniziava la relazione con il giovane ma già affermato scrittore e soprattutto lo scandalo delle lettere pubblicate su Epoca e poi bloccate da Chichita Calvino, non ultimo i veri e propri attacchi subiti da critici di fama come ad esempio Pietro Citati. La stessa bellezza, così straordinaria, le è stata spesso d’intralcio, lei la chiamava «la mia nemica», lo schermo tra il suo cervello e gli altri e ammetteva di aver dovuto faticare moltissimo per farsi riconoscere come «persona pensante». Negli ultimi anni la ricerca accademica la sta riscoprendo e anche all’estero comincia a destare un interesse non esclusivamente legato al gossip. La sua è una scrittura eccezionale, vibrante, che sottostà a un’analisi lucidissima della società del suo tempo. I coetanei è un libro unico nel panorama della letteratura resistenziale, una vera e propria autobiografia collettiva degli intellettuali e degli artisti vissuti a cavallo del Fascismo e della seconda guerra mondiale. Unisce al suo interno vari generi in un equilibrio perfetto. Anche Storia di una donna bella, l’autobiografia romanzata di una parte fondamentale della sua vita, intreccia il romance alla memoria storica, l’autobiografia narcisistica a quella di testimonianza. A questo si aggiungono le analisi sul mezzo cinematografico e sul teatro di un’esattezza e di una bellezza rare nella narrativa italiana. Ci ho messo anni per riuscire a ripubblicarlo e finalmente il 27 ottobre esce la nuova edizione del romanzo, a mia cura, con postfazione di Elio Pecora, edito da 13Lab, una casa editrice indipendente che ha creduto quanto me nel progetto di valorizzazione dell’autrice, inserendo il volume accanto a nomi noti della letteratura, nel posto che finalmente le spetta!»

Il cinema e il teatro sono dei ‘luoghi del cuore’ per il tuo lavoro. Potresti raccontare in che modo hai iniziato a occuparti di questi ambiti?

«Devo per forza tornare molto indietro nel tempo! Anche in questo caso a volte sono le attitudini se non addirittura le casualità della vita a determinare un interesse. La passione del teatro nasce sui banchi di scuola, quando il mio prof di italiano mi fece scoprire Sei personaggi in cerca d’autore. Ho iniziato a frequentare i teatri e a sentire quella stessa febbre che prendeva Pirandello quando metteva piede in un teatro. Ho scelto Lettere all’università, con un piano di studi nettamente orientato verso la relazione tra letteratura e teatro. Dopo l’Università a Napoli, ho preso una sorta di anno sabbatico, trasferendomi a Roma per seguire un corso di giornalismo. Scrivevo recensioni per una rivista online di teatro e andavo a vedere spettacoli quasi tutte le sere. Dopodiché ho scelto di tentare un dottorato molto caratterizzato, unico in Italia: Comparatistica: letteratura, teatro, cinema al dipartimento di Arezzo dell’Università di Siena. Il cinema faceva parte della mia vita da sempre e negli anni di approfondimento dottorale l’ho reso ancora più mio, connettendolo alle altre discipline. Dopo 10 anni, 5 città e svariate case, sono tornata (inspiegabilmente!) a vivere a Benevento. Nel frattempo il cinema aveva preso il sopravvento e così con la Solot iniziò l’avventura breve ma intensa del Mulino del cinema (ospiti della rassegna Bellocchio, Bruni, Taviani, Calopresti, Bonfanti, De Lillo…) e tutta una serie di esperienze che si è portata dietro, compresi i laboratori che mi hanno accompagnata per anni, nei contesti più disparati, dalla scuola dell’infanzia al Carcere. Non ultima l’applicazione quotidiana nella mia pratica didattica. Uno degli indirizzi della scuola dove ho scelto di insegnare – grafica e comunicazione – mi è sembrato l’ideale per esprimere al meglio la mia formazione interdisciplinare».

Seguendoti sui social, si nota una particolare propensione a fare di ciascun viaggio un racconto con una sua ossatura personale, una dimensione caratteristica. In che cosa sono vicine le pratiche del viaggio e della letteratura, secondo te? Corro con il pensiero al tuo Viaggio in Italia, ma non solo…

«Ti ringrazio per aver notato questo aspetto a cui tengo così tanto! Anche questa è una passione che viene da lontano. Viaggiare è una dimensione che mi è sempre appartenuta, da bambina sognavo di fare la giostraia per cambiare città in continuazione! Il racconto di viaggio oltre a essere un genere letterario vero e proprio è parte della letteratura stessa. Banalmente, ma neanche troppo, ogni libro ci permette di viaggiare da fermi, di vedere posti che magari non avremo mai modo di conoscere da vicino, ma che la valida penna di uno scrittore o di una scrittrice è in grado di restituirci. Bufalino diceva che c’è chi viaggia per perdersi e chi viaggia per trovarsi. Io faccio parte della seconda categoria. E credo che viaggiare si porti dietro l’esigenza di raccontare. Viaggiando mi sembra di venire a contatto con la parte migliore di me, inevitabilmente ho voglia di dire chi e cosa ha contribuito all’esperienza. L’idea del libro Viaggio in Italia. Itinerari letterari da Nord a Sud è nata in un momento particolare e preziosissimo della mia vita. Ero in attesa del primo figlio e stava per uscire un altro mio libro: Amori letterari. Quando gli scrittori fanno coppia (Franco Cesati Editore, Firenze 2017). La notte iniziai a soffrire di insonnia, ma era un’insonnia bella, piena di idee, di progetti, di immaginazione. E iniziai a pensare ai viaggi che avremmo fatto un giorno insieme, a quelli che avevo fatto e alle parole degli scrittori che mi avevano accompagnata sempre. E il vissuto personale, fatto di altre piccole storie, prendeva forma intrecciandosi a M.me de Stael, a Goethe, a Natalia Ginzburg, a Giorgio Manganelli… Anche fuori dalle pagine del mio libro, per me viaggiare equivale sempre anche a narrare, come ho detto prima. E molti dei miei viaggi sono legati a convegni o a presentazioni di libri, in qualche modo sempre profondamente connessi all’esperienza letteraria. E ormai anche quando (raramente) devo scegliere un luogo da visitare, lo scelgo perché già mi ha raccontato la sua storia attraverso personaggi veri o fittizi che l’hanno abitato e mi piace andare a sovrapporre il mio punto di vista».

Pensando al tuo denso e assai interessante libro sulla trilogia metateatrale di Pirandello, ti vorrei chiedere qualcosa di più generale sul concetto di sguardo critico in ambito letterario e artistico. Dove, secondo te, si stanno muovendo le tendenze più interessanti e, forse, quelle meno ‘modaiole’ contemporanee?

«Hai dato già la chiave di lettura, purtroppo privilegiata, dei nostri tempi. Lo sguardo critico è viziato da un errore di fondo, la necessità di rispecchiare il trend del momento. Lo vediamo tutti i giorni nell’inutilità di certi dibattiti pubblici. Anche la letteratura subisce la stessa sorte. Penso alla polemica di qualche mese fa che ha investito Susanna Tamaro a proposito di una frase su Verga, estrapolata da un lungo discorso sulla letteratura. Sembra che nessuno abbia più voglia di farsi domande. Poteva essere l’occasione per scatenare un dibattito serio sul ripensamento del canone: giustissimo lasciare Verga, ma iniziamo a inserire almeno le autrici che hanno portato un contributo fondamentale nella storia della letteratura, a cominciare dalle origini; invece si è trasformato nell’ennesimo copia e incolla, nell’ironia da meme, nella polemica (sterile) a prescindere. Dobbiamo tornare ad allenare lo sguardo critico e ripartire dai margini. Credo che alcune delle riflessioni più interessanti, dalla letteratura al cinema, si intercettino proprio tra le studiose e gli studiosi non strutturati. Il problema è che questo sguardo molto spesso non arriva troppo lontano, perché difficilmente chi fa ricerca autonomamente riesce a intercettare i canali che contano. Va sicuramente “di moda” la riscoperta delle scrittrici ultimamente e più in generale delle donne nei vari campi del sapere. Dobbiamo impegnarci tutt* affinché non si esaurisca nel giro di poco tempo come tutte le tendenze. Ben vengano le iniziative di gruppi di studiose nell’ambito cinematografico, i convegni degli italianisti sulle scrittici e le collane editoriali dedicate ma, a mio avviso, l’unico modo per valorizzare veramente la scrittura femminile è inserirla a poco a poco in un più generale contesto di riferimento. Parlo delle scrittrici perché mi compete di più come ambito: ad esempio se ho ripubblicato de’ Giorgi è per il suo sguardo originale sul periodo storico in cui è vissuta, per le riflessioni su cinema e teatro, per lo stare in equilibrio in mezzo a generi differenti, non (solo) in quanto autrice. Recentemente ho introdotto una raccolta di sketch umoristici di Amalia Guglielminetti, Il pigiama del moralista (Tab Edizioni, Roma 2023). La prima cosa che ho notato e apprezzato è stata la scelta della casa editrice di inserirlo in una collana (AnteLitteram) che riscopre indifferentemente autori e autrici. Un’onda nuova e interessante sta venendo dal teatro. Non parlo soltanto di Martone e Nanni Moretti che hanno recentemente messo in scena rispettivamente Fabrizia Ramondino e Natalia Ginzburg, ma delle registe di vecchia e nuova generazione (l’ultimo numero di Hystrio ha dedicato loro un dossier di approfondimento). Mi sembra uno sguardo più puro, incline a leggere il nostro mondo senza cadere nei tranelli del mainstream».

 

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